Oggetto del contendere nella lettera è questa frase: "Renzi, tanto per fare un esempio, voleva un cambiamento nel suo partito e c'è riuscito anche se ha perso le primarie. Poi ha mantenuto la parola data, non come Ichino". Ecco, dunque, la lettera di Ichino:
Caro Direttore, a Eugenio Scalfari, che nel suo editoriale di ieri mi accusa di aver mancato alla parola data, accettando la candidatura nella lista Monti, rispondo che l'unico impegno da me assunto nel novembre scorso, partecipando alle primarie del centrosinistra, è consistito nella sottoscrizione, all'atto del voto, della Carta di Intenti. Proprio quella Carta era nata come promessa del centrosinistra al Paese di fedeltà agli impegni europei assunti dall'Italia; ma il giorno dopo la chiusura delle urne abbiamo sentito Nichi Vendola affermare che essa è invece "la pietra tombale" su quegli impegni. E non abbiamo sentito il segretario del Pd protestare per questo, richiamando l'«alleato principale» agli impegni originari. Allora, di quale "parola data" stiamo parlando? La verità è che quella Carta era viziata da un'ambiguità di fondo, che ho denunciato fin dall'inizio pubblicamente; e che tuttora mina la credibilità della coalizione di centrosinistra sul tema decisivo per le sorti del nostro Paese. Se il 23 dicembre scorso ho accettato l'invito di Monti a collaborare alla nuova formazione politica che intorno a lui sta nascendo è proprio per uscire da quell'ambiguità; e per non espormi al rischio di dover domani, per disciplina di partito, disattendere o adempiere in modo imperfetto l'impegno assunto con gli elettori sulla strategia europea dell'Italia.
Eugenio Scalfari così replica alla lettera:
Il professor Pietro Ichino sa benissimo che Pierluigi Bersani ha ribadito pubblicamente più volte che terrà fede agli impegni con l'Europa presi dal governo Monti e votati lealmente dal Pd per la parte già attuata che riguarda soprattutto il rigore e il risanamento dei conti pubblici. Quanto a Vendola, che guida un partito diverso dal Pd ma alleato, ha firmato il cosiddetto patto di maggioranza che prevede un gruppo parlamentare unico tra gli alleati e la regola che prescrive, a chi propone comportamenti politici non collimanti con i comportamenti proposti dalla maggioranza del gruppo, di seguire lealmente le proposte risultate maggioritarie nella votazione.
Ovviamente si può cambiare idea e il professor Ichino l'ha cambiata passando da un partito ad un'altra formazione politica.
Personalmente, ritengo la vicenda Ichino emblematica di un aspetto di ambiguità esistente nel Partito democratico di cui si dovrebbe discutere e non alla fine, perché alla fin fine aiuta a stendere un velo pietoso, accontentarsi di un'uscita, com'è avvenuto per onestà intellettuale. Ma quanti altri Ichino ci sono all'interno del partito di Bersani, che al contrario dell'originale, domani disattenderanno o adempieranno in modo imperfetto l'impegno assunto con gli elettori, e che soprattutto gli elettori hanno loro affidato in buona fede e contando sulla buona fede dei candidati? Mi chiedo perché non si sia sentito e non si senta proprio la necessità d'un chiarimento che il buonsenso dovrebbe suggerire d'una certa urgenza, vista la scelta dei candidati e l'imminente apertura della campagna elettorale per il voto di febbraio?
Qui sotto allego l'intervento di Pietro Ichino a Viva l'Italia Viva, la manifestazione dei renziani che si è tenuta a Firenze alla Leopolda lo scorso novembre il 15, 16 e 17. Una posizione sviluppata dentro il partito democratico, che oggi è fuori dal partito. Ma quanto di suo ha lasciato all'interno. Gli applausi che si sentono erano solo di circostanza?
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