Mercoledì scorso gli Stati Uniti hanno effettuato un test nucleare sotterraneo nel Nevada. L'esperimento denominato Polluce è stato condotto a Los Alamos, da scienziati del New Mexico National Laboratory e dei Sandia National Laboratories. Il test, che ha riguardato l'uso di un piccolo campione di materiale per bombe al plutonio, è uno dei numerosi esperimenti nucleari subcritici che sono stati condotti negli Stati Uniti dal 1997 con lo scopo di aiutare gli scienziati a capire come "invecchiano" le scorte di plutonio, per garantire l'affidabilità e l'efficacia delle armi nucleari americane.
Il test consiste nell'utilizzo di esplosivi chimici per far esplodere materiale nucleare progettato in modo tale che l'esperimento cessi poco prima di raggiungere il livello di criticità, cioè poco prima che il materiale fissile erompa in una reazione nucleare a catena. In questo esperimento sono state utilizzate nuove apparecchiature di diagnostica che hanno permesso ai ricercatori di raccogliere una mole di dati come mai era avvenuto prima. Il test sarebbe stato effettuato allo scopo di garantire un sicuro stoccaggio delle testate nucleari.
Non è stato permesso ad ispettori internazionali di assistere all'esperimento, cosa non nuova in quanto gli Stati Uniti hanno impedito dalla fine degli anni Novanta il loro accesso al sito dove si effettuano test. L'esperimento di mercoledì è il ventisettesimo del genere da quando nel 1992 furono banditi i test completi sulle armi nucleari.
Il test è stato criticato dal sindaco di Hiroshima Kazumi Matsui, che si è chiesto perché l'America abbia effettuato la prova dal momento che l'amministrazione Obama va dicendo di "cercare un mondo libero dal nucleare". Mentre Hirotami Yamada, che guida il Nagasaki Atomic Bomb Survivors Council ha affermato che il test dimostra che gli Stati Uniti "potrebbero usare armi nucleari in qualsiasi momento".
L'Iran ha condannato gli Usa per la realizzazione del test nucleare dicendo che è una mossa che minaccia la pace nel mondo e che mostra da parte di Washington l'ipocrisia dei due pesi e due misure per quanto riguanda la ricerca nucleare. Il ministro iraniano degli Esteri ha dichiarato che il test dimostra che la politica estera americana si basa pesantemente sull'uso di armi nucleari, non tenendo in alcun conto i richiami delle Nazioni Unite per il disarmo globale.
sabato 8 dicembre 2012
Prove tecniche di fuga
"Per i tecnici prove tecniche di fuga dal governo. Con classe, senza accalcarsi sui maniglioni antipanico. Ma anche senza esitazioni, ché chi si attarda è perduto", scriveva così stamane Andrea Cuomo su Il Giornale online. "I ministri esodati del governo Monti forse non mangeranno il panettone al governo, ma molti sperano di sbocconcellare il prossimo uovo di Pasqua nel quadrante di Roma che comprende Palazzo Chigi, Montecitorio, Palazzo Madama e il Quirinale". Dio ne scampi dai tecnici, diciamolo subito, ben forte dopo il disastro per il ceto medio, lavoratori e pensionati, e per le classi più deboli della popolazione del paese, perpetrato dalla loro congrega consociata nel governo del Presidente.
Altro che Garibaldi, tanto per citare un altro "fratello d'Italia", e il suo ritiro all'isola di Caprera: un pacco di merluzzo, un sacchetto di semi di fave e uno di fagioli e tre cavalli, in tasca duemila lire! L'articolo di Cuomo fa l'elenco dei possibili coinvolgimenti futuri di tutti i personaggi montiani, nonostante quasi tutti abbiano dimostrato limiti in termini di capacità nel farsi amministratori del bene comune e degli interessi di tutti, sottolineo, tutti gli italiani. Ad esempio Passera, per dirne uno, come dice Cuomo "nel governo un po' la «sora Camilla», quella che «tutti la vogliono e nessuno la piglia»": "Se ci potrà essere qualche cosa che continui e allarghi il lavoro che sto facendo adesso non mi tirerò indietro". L'articolo, leggetelo, insinua un possibile coinvolgimento di Elsa Fornero, per nulla escluso da parte di Bersani. Così come quello di Francesco Profumo e di Lorenzo Ornaghi, o di Fabrizio Barca. C'è poi nel novero Giulio Terzi di Sant'Agata e Giampaolo Di Paola. Ma pure anche Renato Balduzzi che, dice Cuomo, "ha la sfortuna di essere ritenuto vicino a Rosy Bindi, in odore di rottamazione, ma ha comunque guadagnato punti in quota Pd opponendosi con durezza ai tagli sulla sanità".
Poi ci sono altri che punterebbero ad un loro coinvolgimento in un governo centrista, come Corrado Clini o Mario Catania o ancora Andrea Riccardi che "ha detto no a una possibile candidatura a sindaco di Roma (ma qualcuno giura che questa pista è tutt'altro che tramontata)". Per Annamaria Cancellieri, la ministra dell'Interno, si profilerebbe secondo il giornalista del Giornale "uno scenario ancora lontanissimo ma assai suggestivo: diventare la prima presidente della Repubblica donna qualora il gioco dei veti incrociati rendesse una mano di rosa al Quirinale la soluzione più indolore".
C'è naturalmente chi non è interessato, come il ministro dell'Economia Vittorio Grilli "per il quale è pronta la poltrona in un'importante banca d'affari a cui aveva rinunciato per entrare a Palazzo Chigi". Come anche Paola Severino, "che non vede l'ora di tornare a occuparsi a tempo pieno del suo studio di avvocato". E Filippo Patroni Griffi, Enzo Moavero Milanesi, Dino Piero Giarda e Piero Gnudi, di cui Cuomo dice "messi fuorigioco anche dalla carta d'identità abbondantemente «over 70»".
E sempre parlando di ministri tecnici, sullo stesso quotidiano online Salvatore Tramontano ci racconta una curiosa quanto inquietante uscita del ministro Giarda che ieri sera era alla prima della Scala: "Che fine farà il governo? In Lohengrin c’è un aiuto dall’alto. Succederà anche ora". L'aiuto nell'opera di Wagner è chiaro, ma per il governo Monti? "Giarda invece a chi si riferisce? Anche lui a Dio? A Giove capitolino? Al Papa? All’Europa? Alla setta dei sette savi? Al mago Otelma o alla moviola? Ai soliti mercati? Mica si capisce. Il ministro dovrebbe essere più chiaro". Ma aggiunge subito Tramontano, una cosa è certa: "il governo moribondo, diciamo pure quasi morto, spera di arrivare caracollando fino alle porte della primavera". E, dunque? Chi può dare l'aiuto forse è "lui, il dio dei tecnici", l'inquilino del Colle. Non si parla del resto di elezioni a marzo? Appunto.
Altro che Garibaldi, tanto per citare un altro "fratello d'Italia", e il suo ritiro all'isola di Caprera: un pacco di merluzzo, un sacchetto di semi di fave e uno di fagioli e tre cavalli, in tasca duemila lire! L'articolo di Cuomo fa l'elenco dei possibili coinvolgimenti futuri di tutti i personaggi montiani, nonostante quasi tutti abbiano dimostrato limiti in termini di capacità nel farsi amministratori del bene comune e degli interessi di tutti, sottolineo, tutti gli italiani. Ad esempio Passera, per dirne uno, come dice Cuomo "nel governo un po' la «sora Camilla», quella che «tutti la vogliono e nessuno la piglia»": "Se ci potrà essere qualche cosa che continui e allarghi il lavoro che sto facendo adesso non mi tirerò indietro". L'articolo, leggetelo, insinua un possibile coinvolgimento di Elsa Fornero, per nulla escluso da parte di Bersani. Così come quello di Francesco Profumo e di Lorenzo Ornaghi, o di Fabrizio Barca. C'è poi nel novero Giulio Terzi di Sant'Agata e Giampaolo Di Paola. Ma pure anche Renato Balduzzi che, dice Cuomo, "ha la sfortuna di essere ritenuto vicino a Rosy Bindi, in odore di rottamazione, ma ha comunque guadagnato punti in quota Pd opponendosi con durezza ai tagli sulla sanità".
Poi ci sono altri che punterebbero ad un loro coinvolgimento in un governo centrista, come Corrado Clini o Mario Catania o ancora Andrea Riccardi che "ha detto no a una possibile candidatura a sindaco di Roma (ma qualcuno giura che questa pista è tutt'altro che tramontata)". Per Annamaria Cancellieri, la ministra dell'Interno, si profilerebbe secondo il giornalista del Giornale "uno scenario ancora lontanissimo ma assai suggestivo: diventare la prima presidente della Repubblica donna qualora il gioco dei veti incrociati rendesse una mano di rosa al Quirinale la soluzione più indolore".
C'è naturalmente chi non è interessato, come il ministro dell'Economia Vittorio Grilli "per il quale è pronta la poltrona in un'importante banca d'affari a cui aveva rinunciato per entrare a Palazzo Chigi". Come anche Paola Severino, "che non vede l'ora di tornare a occuparsi a tempo pieno del suo studio di avvocato". E Filippo Patroni Griffi, Enzo Moavero Milanesi, Dino Piero Giarda e Piero Gnudi, di cui Cuomo dice "messi fuorigioco anche dalla carta d'identità abbondantemente «over 70»".
E sempre parlando di ministri tecnici, sullo stesso quotidiano online Salvatore Tramontano ci racconta una curiosa quanto inquietante uscita del ministro Giarda che ieri sera era alla prima della Scala: "Che fine farà il governo? In Lohengrin c’è un aiuto dall’alto. Succederà anche ora". L'aiuto nell'opera di Wagner è chiaro, ma per il governo Monti? "Giarda invece a chi si riferisce? Anche lui a Dio? A Giove capitolino? Al Papa? All’Europa? Alla setta dei sette savi? Al mago Otelma o alla moviola? Ai soliti mercati? Mica si capisce. Il ministro dovrebbe essere più chiaro". Ma aggiunge subito Tramontano, una cosa è certa: "il governo moribondo, diciamo pure quasi morto, spera di arrivare caracollando fino alle porte della primavera". E, dunque? Chi può dare l'aiuto forse è "lui, il dio dei tecnici", l'inquilino del Colle. Non si parla del resto di elezioni a marzo? Appunto.
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Il mercatino fuoriluogo
Da oggi, 8 dicembre, e fino al 23 dicembre si terrà a Lodi, presso la ex chiesa di San Cristoforo in via Fanfulla al numero 14, il "Mercato Fuoriluogo" organizzato dal Comune e da Lodisolidale con la partecipazione di numerose associazioni, cooperative e comunità, tra cui, segnalo, la onlus "Amici di Serena". Gli orari di apertura sono: lunedì, mercoledì e venerdì dalle 15.00 alle 19.00; martedì e giovedì dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 19.00; sabato, domenica e festivi dalle 10.00 alle 19.00.
Numerose le manifestazioni di contorno, iniziando da oggi 8 dicembre con la "Notte bianca di Santa Lucia" e l'apertura straordinaria del mercatino fino alle ore 24.00: alle ore 16.00 dai Portici del Broletto all'ex-chiesa di San Cristoforo animazione degli Scout ed inaugurazione del "Mercato Fuoriluogo, con un festoso rifresco con i prodotti offerti dal Comitato Soci Coop di Lodi. Alle ore 20.45 al Liceo Verri "Illuminazioni" Veglia di S. Lucia, a cura del Laboratorio degli Archetipi. Il 10 dicembre alle ore 21.00 presso l'Aula magna del Liceo Verri, all'interno de "I lunedì del Meic", incontro con Andrea Baranes sui temi dell'economia e della finanza. Il 15 dicembre, alle ore 17.00, Peppino Castelvecchio con gli "Esodati" presenta "L'utopia possibile" ed il progetto di social housing, a cui seguirà il concerto del cantautore Evasio Muraro. Il 16 dicembre, alle ore 16.00, spettacolo di burattini con i ragazzi del doposcuola popolare "Pierre", concluso da una merenda. Il 17 dicembre, alle ore 20.30, da Monte Oliveto a Castiraga Vidardo 21ª Fiaccolata della Solidarietà con riflessioni finali sul "lavoro". Il 22 dicembre, alle ore 16.00, merenda per i piccoli visitatori offerta da Lodisolidale.
Dedicato alle scuole è "Solidargiocando", laboratori per bambini delle Scuole Primarie con Anna e gli studenti dell'Istituto Maffeo Vegio. Inoltre saranno esposte mostre fotografiche tra cui "Oltre... la speranza" a cura dell'Associazione "Bambini nel deserto".
Numerose le manifestazioni di contorno, iniziando da oggi 8 dicembre con la "Notte bianca di Santa Lucia" e l'apertura straordinaria del mercatino fino alle ore 24.00: alle ore 16.00 dai Portici del Broletto all'ex-chiesa di San Cristoforo animazione degli Scout ed inaugurazione del "Mercato Fuoriluogo, con un festoso rifresco con i prodotti offerti dal Comitato Soci Coop di Lodi. Alle ore 20.45 al Liceo Verri "Illuminazioni" Veglia di S. Lucia, a cura del Laboratorio degli Archetipi. Il 10 dicembre alle ore 21.00 presso l'Aula magna del Liceo Verri, all'interno de "I lunedì del Meic", incontro con Andrea Baranes sui temi dell'economia e della finanza. Il 15 dicembre, alle ore 17.00, Peppino Castelvecchio con gli "Esodati" presenta "L'utopia possibile" ed il progetto di social housing, a cui seguirà il concerto del cantautore Evasio Muraro. Il 16 dicembre, alle ore 16.00, spettacolo di burattini con i ragazzi del doposcuola popolare "Pierre", concluso da una merenda. Il 17 dicembre, alle ore 20.30, da Monte Oliveto a Castiraga Vidardo 21ª Fiaccolata della Solidarietà con riflessioni finali sul "lavoro". Il 22 dicembre, alle ore 16.00, merenda per i piccoli visitatori offerta da Lodisolidale.
Dedicato alle scuole è "Solidargiocando", laboratori per bambini delle Scuole Primarie con Anna e gli studenti dell'Istituto Maffeo Vegio. Inoltre saranno esposte mostre fotografiche tra cui "Oltre... la speranza" a cura dell'Associazione "Bambini nel deserto".
Il Paese delle assurdità
Sono gli ultimi giorni in cui è possibile ancora leggere Il Cittadino online gratuitamente. Ne approfitto per contribuire a diffondere una lettera inviata al direttore da un anziano di Lodi, Nonno Ugo si firma, che evidenzia come il nostro Paese sia nemico del buon senso e della correttezza. Scrive Nonno Ugo:
Egregio Direttore,
sono un anziano di Lodi ricoverato in casa di riposo e, visto che la mia pensione è inferiore alla retta, ho pensato, per poter togliermi le spese, di cedere il mio unico appartamento di tre locali + servizi in uso gratuito (il tutto regolarmente dichiarato) a mia nipote che, essendo giovane e precaria, per rendersi autonoma non può permettersi un affitto e tantomeno un mutuo.
Ma, sorpresa, il comune ha considerato il mio unico appartamento come seconda casa, Imu agevolata di circa 1.000 euro. Se avessi lasciato la casa vuota, sarebbe stata considerata prima casa, avrei pagato meno della metà e il comune non avrebbe neppure incassato la tassa sui rifiuti. Inoltre, mia nipote sarebbe una bambocciona, come ha definito i giovani quel famoso ministro.
Quindi, chi è corretto paga doppio. Che giustizia sarà mai questa?
Mi permetto di dare un suggerimento al sindaco: per favore, faccia controllare chi ha rendite catastali pari a quelle di un pollaio.
Grazie e buona giornata.
Egregio Direttore,
sono un anziano di Lodi ricoverato in casa di riposo e, visto che la mia pensione è inferiore alla retta, ho pensato, per poter togliermi le spese, di cedere il mio unico appartamento di tre locali + servizi in uso gratuito (il tutto regolarmente dichiarato) a mia nipote che, essendo giovane e precaria, per rendersi autonoma non può permettersi un affitto e tantomeno un mutuo.
Ma, sorpresa, il comune ha considerato il mio unico appartamento come seconda casa, Imu agevolata di circa 1.000 euro. Se avessi lasciato la casa vuota, sarebbe stata considerata prima casa, avrei pagato meno della metà e il comune non avrebbe neppure incassato la tassa sui rifiuti. Inoltre, mia nipote sarebbe una bambocciona, come ha definito i giovani quel famoso ministro.
Quindi, chi è corretto paga doppio. Che giustizia sarà mai questa?
Mi permetto di dare un suggerimento al sindaco: per favore, faccia controllare chi ha rendite catastali pari a quelle di un pollaio.
Grazie e buona giornata.
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venerdì 7 dicembre 2012
Saviano, no grazie
Scrive Andrea Indini su Il Giornale online: "È bastato un mezzo annuncio per farli scatenare. La pletora anti Cav, ancora inebriata dalla vittoria di Pier Luigi Bersani sul berlusconiano Matteo Renzi, ha reagito subito d'istinto al ritorno in campo del Cavaliere. I desaparecido hanno serrato i ranghi e sono partiti all'attacco contro il nemico comune. Lunghi editoriali sul Financial Times, invettive calunniose da parte di Roberto Saviano, battutacce da Serena Dandini. Insomma, gli anti Cav sono tornati". E commenta: "È sempre il solito teatrino. Comici, intellighenzia rossa, columnist, editorialisti hanno rispolverato le armi, per tornare a occupare televisioni, quotidiani, trasmissioni radiofoniche e agenzie stampa. Dopo un anno di silenzio, si sono risvegliati di colpo".
Già, come sempre il peggior nemico della sinistra è la sinistra stessa, o meglio certa sinistra, quella che si crede depositaria del "verbo", che pontifica sempre, a proposito e a sproposito cosa è di sinistra e cosa non lo è; e quel che è peggio, chi è di sinistra e chi non lo è, acuendo le divisioni. Quella sinistra che ha fatto negli ultimi vent'anni dell'antiberlusconismo il proprio programma di governo. Col solo risultato di consegnare il paese ai banchieri e regalare la politica ai comici.
Invece di farsi forti del grande risultato partecipativo delle primarie e contare sulla rinascita dell'idea di un governo possibile, probabile della sinistra, seppure senza la prospettiva di voli pindarici verso un'utopia, oggi ancor più irrealizzabile di ieri, capace di mettere comunque al primo posto il lavoro ed una equità reale difronte alla crisi fondata sulla solidarietà sociale, eccoti qua l'armata Brancaleone, ha ragione Indini, che butta tutto alle ortiche pur di dedicarsi allo sport preferito di dire peste e corna sul Cavaliere. Rischiando di vanificare l'eccellente lavoro fatto da Bersani fin qui. L'antiberlusconismo integralista rischia davvero con la sua cecità politica di far risorgere dalle ceneri la fenice di Arcore, allontanando molto del consenso extra, recuperato con una intelligente azione che mirava a riportare la gente alla politica attiva, rendendola protagonista di scelte di prospettiva. Buttare tutto per dedicarsi a battaglie di retroguardia, invece di marciare alla testa di chi ha voglia di costruire un'Italia che sia davvero un irrinunciabile bene comune per tutti, significa dichiararsi da subito perdenti. Ed è ben evidente che con i perdenti nessuno si schiera.
Già, come sempre il peggior nemico della sinistra è la sinistra stessa, o meglio certa sinistra, quella che si crede depositaria del "verbo", che pontifica sempre, a proposito e a sproposito cosa è di sinistra e cosa non lo è; e quel che è peggio, chi è di sinistra e chi non lo è, acuendo le divisioni. Quella sinistra che ha fatto negli ultimi vent'anni dell'antiberlusconismo il proprio programma di governo. Col solo risultato di consegnare il paese ai banchieri e regalare la politica ai comici.
Invece di farsi forti del grande risultato partecipativo delle primarie e contare sulla rinascita dell'idea di un governo possibile, probabile della sinistra, seppure senza la prospettiva di voli pindarici verso un'utopia, oggi ancor più irrealizzabile di ieri, capace di mettere comunque al primo posto il lavoro ed una equità reale difronte alla crisi fondata sulla solidarietà sociale, eccoti qua l'armata Brancaleone, ha ragione Indini, che butta tutto alle ortiche pur di dedicarsi allo sport preferito di dire peste e corna sul Cavaliere. Rischiando di vanificare l'eccellente lavoro fatto da Bersani fin qui. L'antiberlusconismo integralista rischia davvero con la sua cecità politica di far risorgere dalle ceneri la fenice di Arcore, allontanando molto del consenso extra, recuperato con una intelligente azione che mirava a riportare la gente alla politica attiva, rendendola protagonista di scelte di prospettiva. Buttare tutto per dedicarsi a battaglie di retroguardia, invece di marciare alla testa di chi ha voglia di costruire un'Italia che sia davvero un irrinunciabile bene comune per tutti, significa dichiararsi da subito perdenti. Ed è ben evidente che con i perdenti nessuno si schiera.
L'urlo di Munch
Le "Parlamentarie" di Beppe Grillo si sono, dunque, concluse. E così abbiamo qualche numero confidato dal guru in persona. I candidati erano circa 1.400, presenti in tutte le circoscrizioni elettorali incluse quelle estere. Grillo nel suo post sul blog, che è la "Botteghe Oscure" del suo "movimento", non dà il numero dei votanti, ma parla di circa 95.000 voti disponibili, una sessantina cioè per ciascun candidato. Attenzione, però: ciascun votante, cioè i "militanti" iscrittisi al M5S entro in 30 settembre scorso, avevano a disposizione 3 preferenze, cioè 3 voti ovviamente per tre candidati diversi. Questo potrebbe far pensare che i votanti in realtà siano stati poco più di 31.000. C'è da aggiungere che si votava per i candidati della propria circoscrizione elettorale e questo rende più difficile capire il consenso ottenuto nella realtà da ciascun candidato. Il quadro dei candidati scelti per la lista di ognuna delle 27 circoscrizioni, li riporta in ordine, si pensa, di preferenze, ma il numero dei voti ottenuto da ciascuno non è indicato. Non solo, ma ad esempio per la circoscrizione Lombardia 3, cui ho dato un'occhiata e che raggruppa le province lombarde del Po: Pavia, Lodi, Cremona e Mantova, la provenienza dei candidati non era a macchia di leopardo, ma da particolari località, soprattutto Viadana, Voghera e il Cremasco. Cosa che fa capire, se occorreva dirlo, quanto poco esteso sul territorio sia il M5S.
Da Lodi viene il candidato Gianluigi Norbiato, diciassettesimo: 58 anni, ragioniere, disoccupato. Dopo una iniziale esperienza nella ditta del padre, si è adattato a fare di tutto, maitre d'hotel, imbianchino, elettrotecnico, arrotino. Se sarà eletto, cosa praticamente impossibile se varrà il Porcellum, il suo intento maggiore sarà "quello di riportare il sociale senza legami di sorta ed espandere al massimo le tecnologie ecologiche". Perché la terra "è l'unico pianeta che si ha e se non lo si tratta un po' bene, il futuro sarà molto difficile se non impossibile".
Di Codogno è Mauro Visigalli, nono: 49 anni, cattolico, coniugato da 13, un figlio. Ha conseguito una laurea in giurisprudenza ed un dottorato in diritto canonico, "sicché la mia professione è quella di avvocato, che esercito sia in Italia che all'estero nei tribunali civili nonché in quelli ecclesiastici e della Santa Sede". Il suo obiettivo risolvere il "problema giustizia".
Sempre di Codogno è Alessandro Montanari. undicesimo: ragioniere, commerciante, attività attuale "confezione e vendita fiori e piante, artificiali e freschi". Quali sono i suoi obiettivi ve li racconta direttamente nel video di presentazione che riporto sotto. Non ho capito se è un caso o autoironia la riproduzione dell'urlo di Munch presente sulla parete di fondo.
Da Lodi viene il candidato Gianluigi Norbiato, diciassettesimo: 58 anni, ragioniere, disoccupato. Dopo una iniziale esperienza nella ditta del padre, si è adattato a fare di tutto, maitre d'hotel, imbianchino, elettrotecnico, arrotino. Se sarà eletto, cosa praticamente impossibile se varrà il Porcellum, il suo intento maggiore sarà "quello di riportare il sociale senza legami di sorta ed espandere al massimo le tecnologie ecologiche". Perché la terra "è l'unico pianeta che si ha e se non lo si tratta un po' bene, il futuro sarà molto difficile se non impossibile".
Di Codogno è Mauro Visigalli, nono: 49 anni, cattolico, coniugato da 13, un figlio. Ha conseguito una laurea in giurisprudenza ed un dottorato in diritto canonico, "sicché la mia professione è quella di avvocato, che esercito sia in Italia che all'estero nei tribunali civili nonché in quelli ecclesiastici e della Santa Sede". Il suo obiettivo risolvere il "problema giustizia".
Sempre di Codogno è Alessandro Montanari. undicesimo: ragioniere, commerciante, attività attuale "confezione e vendita fiori e piante, artificiali e freschi". Quali sono i suoi obiettivi ve li racconta direttamente nel video di presentazione che riporto sotto. Non ho capito se è un caso o autoironia la riproduzione dell'urlo di Munch presente sulla parete di fondo.
Le Roi s'amuse
Ieri faceva, senza esagerazione, ribrezzo l'enfasi con cui i tg annunciavano che nelle casse dello Stato erano entrati più soldi. Oggi, ma forse e sicuramente non ho visto tutto il pubblicato, trovo solo sul Secolo d'Italia la denuncia di quella che viene definita una sceneggiata, la festa dei ministri-stangatori, che come viene sintetizzato nel titolo dell'articolo di Francesco Signoretta, non hanno proprio niente da festeggiare.
"Tutti a brindare, i ministri tecnici, scrive Signoretta. C'è grande festa, si abbracciano come i calciatori dopo un gol decisivo nel derby: alleluja, nelle casse dello Stato ci sono più soldi, parecchi miliardi in più rispetto allo scorso anno. Una vittoria, sostengono, perché il dato è positivo nonostante la gravissima crisi economia".
"La prima sensazione, continua l'articolo, - frutto del tam-tam sulla caccia ai commercianti che non rilasciano lo scontrino e i blitz nei luoghi più «in» della penisola - è che la lotta all'evasione abbia portato grossi risultati. E invece no, i dati sono pressoché gli stessi". Già, che bastasse qualche incursione estemporanea delle Fiamme Gialle per risolvere un problema annoso, poteva crederlo solo chi crede ancora a Babbo Natale. È ben esplicito Signoretta: "La pioggia di euro è arrivata soprattutto grazie al pagamento dell'Imu. Nessun merito, quindi, ai ministri-giustizieri e ai ministri-sceriffo, bisogna ringraziare piuttosto i ministri-stangatori, che hanno riscosso l'odiosa tassa sulla casa". E, dunque, la verità vera: "C'è poco da gioire, quindi, perché la crescita è determinata solo dai sacrifici della gente e non certo dalle intuizioni economiche di Palazzo Chigi".
La realtà anzi è altra e denuncia il danno prodotto dai "fratelli d'Italia", il partito dei poteri forti e della borghesia finanziaria, con il loro tirare fuori dal cilindro il vampiro Monti e spacciarlo al Pinocchio credulone per una fatina azzurra: "Con questo governo, peraltro, scrive Signoretta, la pressione fiscale ha raggiunto la quota record del 55% ed è praticamente raddoppiata rispetto all'anno scorso, come dimostra un'analisi della Confcommercio. L'aumento, infatti, è stato addirittura del 94,5 per cento". Non solo, ma "il gettito fiscale complessivo dell'Imu potrebbe arrivare fino a 28,21 miliardi di euro, e cioè sette miliardi in più. Che sono sette miliardi sottratti alle famiglie e ai consumi".
E Signoretta chiude: "I toni di esultanza dei ministri sono un altro schiaffo in pieno viso a chi è costretto a raschiare il barile per andare avanti. Oltre al danno, la beffa".
"Tutti a brindare, i ministri tecnici, scrive Signoretta. C'è grande festa, si abbracciano come i calciatori dopo un gol decisivo nel derby: alleluja, nelle casse dello Stato ci sono più soldi, parecchi miliardi in più rispetto allo scorso anno. Una vittoria, sostengono, perché il dato è positivo nonostante la gravissima crisi economia".
"La prima sensazione, continua l'articolo, - frutto del tam-tam sulla caccia ai commercianti che non rilasciano lo scontrino e i blitz nei luoghi più «in» della penisola - è che la lotta all'evasione abbia portato grossi risultati. E invece no, i dati sono pressoché gli stessi". Già, che bastasse qualche incursione estemporanea delle Fiamme Gialle per risolvere un problema annoso, poteva crederlo solo chi crede ancora a Babbo Natale. È ben esplicito Signoretta: "La pioggia di euro è arrivata soprattutto grazie al pagamento dell'Imu. Nessun merito, quindi, ai ministri-giustizieri e ai ministri-sceriffo, bisogna ringraziare piuttosto i ministri-stangatori, che hanno riscosso l'odiosa tassa sulla casa". E, dunque, la verità vera: "C'è poco da gioire, quindi, perché la crescita è determinata solo dai sacrifici della gente e non certo dalle intuizioni economiche di Palazzo Chigi".
La realtà anzi è altra e denuncia il danno prodotto dai "fratelli d'Italia", il partito dei poteri forti e della borghesia finanziaria, con il loro tirare fuori dal cilindro il vampiro Monti e spacciarlo al Pinocchio credulone per una fatina azzurra: "Con questo governo, peraltro, scrive Signoretta, la pressione fiscale ha raggiunto la quota record del 55% ed è praticamente raddoppiata rispetto all'anno scorso, come dimostra un'analisi della Confcommercio. L'aumento, infatti, è stato addirittura del 94,5 per cento". Non solo, ma "il gettito fiscale complessivo dell'Imu potrebbe arrivare fino a 28,21 miliardi di euro, e cioè sette miliardi in più. Che sono sette miliardi sottratti alle famiglie e ai consumi".
E Signoretta chiude: "I toni di esultanza dei ministri sono un altro schiaffo in pieno viso a chi è costretto a raschiare il barile per andare avanti. Oltre al danno, la beffa".
Tristis est anima mea
La copertina dell'antologia della prima edizione. |
Nel 2005-2006, per volontà del consigliere comunale Giorgio Soldati, delegato alla cultura, il premio risorse, curato dalla commissione della Biblioteca comunale, guidata da Barbara Alberoni, con la collaborazione in quella edizione dell'editore milanese Albalibri, ricalcando le modalità gestionali ed organizzative delle origini. Fino al 2009, quando - non per altri motivi, va detto - le vicende politiche locali modificarono equilibri e composizione della commissione e le stesse finalità, rompendo con il passato per una sorta di - mi si perdoni l'aggettivo - stupida "presunzione" personale dei "timonieri".
Dico queste cose, perché ieri ho ricevuto una lettera dell'amico Pasquale Balestriere, poeta, vincitore tra l'altro dell'edizione 1992-1993 del "Chiesetta"; lettera che mi ha molto rattristato, come succede per un padre informato d'un figlio che ha intrapreso strade non condivisibili. In tutta sincerità non ho seguito l'ultima edizione del premio e non ho letto alcuna delle opere inviate al concorso. Però mi fido del giudizio dell'amico che mi scrive: "Ieri ho ricevuto il libretto con le liriche del premio Chiesetta del Monasterolo e, confesso, sono rimasto letteralmente inorridito dai componimenti classificati al primo e al terzo posto. Ho poi continuato a leggere le altre ma, pur avendolo fatto piuttosto superficialmente, ho notato che il livello generale è piuttosto basso. Mi ha stupito che non sia stata tenuta in alcuna considerazione un'autrice provetta come Fryda Rota. Poi ho notato che Lei non è più presente in giuria e allora mi sono spiegato un po' di cose. In ogni caso, con siffatta giuria, la mia partecipazione al premio Chiesetta del Monasterolo finisce qui".
Annoto il brano della lettera non per sterile spirito polemico, ma per suggerire alla nuova commissione della Biblioteca, da poco formata purtroppo con gli stessi criteri della precedente, di riflettere sugli ultimi due anni e, relativamente al premio, di ricordarsi che quanto si organizza è un concorso di poesia, non altro.
giovedì 6 dicembre 2012
Non facciamone un mito
«Le primarie sono ormai come Figaro», scrive oggi su Il Fatto Quotidiano Paolo Flores d'Arcais. «Tutti le vogliono», e snocciola: «Chi già le ha (gli elettori del centrosinistra) ne vuole di più. Chi non le ha (la destra "sotto padrone") le invidia. Chi le sta praticando secondo il rito Verdone "famolo strano" (i militanti M5S) mugugna on line perché le vorrebbe molto più corpose e trasparenti (non c'è contraddizione)». Per Flores d'Arcais «sono tutti sintomi incoraggianti di vitalità democratica, rivendicazioni sacrosante di cittadinanza attiva, di politica vera e non degradata a "cosa loro"». E aggiunge: «Sta diventando senso comune che un ricorso sistematico a primarie vere costituisce, almeno oggi, lo strumento principe per ridurre il tasso di partitocrazia e restituire robuste once di sovranità agli elettori». Arrivando quindi a dire: «Se l'attuale Parlamento fosse in sintonia con l'opinione pubblica anche solo in dosi omeopatiche, perciò, sostituirebbe il Porcellum con l'uninominale francese a due turni, che con una modesta modifica (...) consentirebbe di indire le primarie nel corso della tornata elettorale, rendendole vincolanti».
Proviamo a portare allora all'estremo il discorso. Se fossero le primarie, cioè il voto degli elettori di un partito, che solo in minima parte sono iscritti, a determinare i candidati di quel partito in ogni elezione, c'è da chiedersi che senso avrebbe la struttura di un partito, i suoi organismi, i suoi congressi, la stessa vita di sezione: il partito si ridurrebbe alla stregua d'un organizzatore di un concorso di "bellezza". Se ne potrebbe benissimo fare a meno. Basterebbe una legge che, permettendo ad ogni singolo cittadino di partecipare presentando un adeguato numero di firme di sostegno, consentisse l'accesso diretto all'elezione di "On. Universo".
I partiti di plastica, i partiti e partitini personali, i partiti dei comici che non vogliono essere partito, hanno traviato e offuscato la nostra capacità di intendere e di volere politica. Un partito degno di tale nome, come la storia ci insegna, non è solo una macchina elettorale, anche se questo è il motivo fondamentale che determina la sua esistenza. È una fabbrica di idee, incarna un preciso modo di vedere e di ragionare sulla società, sull'economia, sulla qualità della vita di ognuno, sulla nostra quotidianità. È, anche se può sembrare una affermazione imbarazzante in un'epoca di antipolitica, uno strumento di cultura.
Certo, l'eccesso, la partitocrazia è un danno gravissimo, ma si può anche morire di troppa partecipazione, soprattutto quando la politica non è vista come servizio e l'educazione a partecipare in modo consapevole, critico, non è troppo elevata. Ho partecipato alle primarie del Pd perché vedevo un pericolo: non era indifferente se vinceva Bersani o Renzi. Per la sinistra e per tutti i progressisti, anche per quelli che in buona fede vedono nelle idee simil-liberiste un bene. Ho dato un voto a Bersani, contribuendo in maniera insignificante ovviamente, a stabilire per un possibile prossimo governo una linea nel centrosinistra, che appariva e appare più vicina ai ceti più deboli e disagiati, ai lavoratori e pensionati colpiti pesantemente dalla crisi e dalla politica allegra di almeno quarant'anni a questa parte. Ho apprezzato in questo caso il coinvolgimento aperto e trasparente della cittadinanza. Però se saranno fatte le primarie per le regionali non voterò, come non voterò se vi saranno primarie per la scelta dei singoli candidati. Se un partito è un organismo democratico e partecipativo, con un apparato che è servizio e non padrone, non c'è bisogno di esagerare con stucchevoli primarie. Le primarie sono uno strumento di cui è meglio non abusare, se no si rischia una fine simile a quella fatta, per troppo uso, dallo strumento referendario. Se in un partito regna sovrano il rispetto dell'elettore, l'onestà intellettuale di non presentare in lista gli eterni portaborse capaci solo di alzare la mano a comando o di gratificare qualche fidato funzionario, ma validi candidati propositivi e disponibili a mettersi al servizio realmente degli interessi della collettività, alla fin fine va bene anche il porcellum.
Proviamo a portare allora all'estremo il discorso. Se fossero le primarie, cioè il voto degli elettori di un partito, che solo in minima parte sono iscritti, a determinare i candidati di quel partito in ogni elezione, c'è da chiedersi che senso avrebbe la struttura di un partito, i suoi organismi, i suoi congressi, la stessa vita di sezione: il partito si ridurrebbe alla stregua d'un organizzatore di un concorso di "bellezza". Se ne potrebbe benissimo fare a meno. Basterebbe una legge che, permettendo ad ogni singolo cittadino di partecipare presentando un adeguato numero di firme di sostegno, consentisse l'accesso diretto all'elezione di "On. Universo".
I partiti di plastica, i partiti e partitini personali, i partiti dei comici che non vogliono essere partito, hanno traviato e offuscato la nostra capacità di intendere e di volere politica. Un partito degno di tale nome, come la storia ci insegna, non è solo una macchina elettorale, anche se questo è il motivo fondamentale che determina la sua esistenza. È una fabbrica di idee, incarna un preciso modo di vedere e di ragionare sulla società, sull'economia, sulla qualità della vita di ognuno, sulla nostra quotidianità. È, anche se può sembrare una affermazione imbarazzante in un'epoca di antipolitica, uno strumento di cultura.
Certo, l'eccesso, la partitocrazia è un danno gravissimo, ma si può anche morire di troppa partecipazione, soprattutto quando la politica non è vista come servizio e l'educazione a partecipare in modo consapevole, critico, non è troppo elevata. Ho partecipato alle primarie del Pd perché vedevo un pericolo: non era indifferente se vinceva Bersani o Renzi. Per la sinistra e per tutti i progressisti, anche per quelli che in buona fede vedono nelle idee simil-liberiste un bene. Ho dato un voto a Bersani, contribuendo in maniera insignificante ovviamente, a stabilire per un possibile prossimo governo una linea nel centrosinistra, che appariva e appare più vicina ai ceti più deboli e disagiati, ai lavoratori e pensionati colpiti pesantemente dalla crisi e dalla politica allegra di almeno quarant'anni a questa parte. Ho apprezzato in questo caso il coinvolgimento aperto e trasparente della cittadinanza. Però se saranno fatte le primarie per le regionali non voterò, come non voterò se vi saranno primarie per la scelta dei singoli candidati. Se un partito è un organismo democratico e partecipativo, con un apparato che è servizio e non padrone, non c'è bisogno di esagerare con stucchevoli primarie. Le primarie sono uno strumento di cui è meglio non abusare, se no si rischia una fine simile a quella fatta, per troppo uso, dallo strumento referendario. Se in un partito regna sovrano il rispetto dell'elettore, l'onestà intellettuale di non presentare in lista gli eterni portaborse capaci solo di alzare la mano a comando o di gratificare qualche fidato funzionario, ma validi candidati propositivi e disponibili a mettersi al servizio realmente degli interessi della collettività, alla fin fine va bene anche il porcellum.
mercoledì 5 dicembre 2012
Il movimento proprietario
Abbiamo visto nel post precedente, che chi, come Lorenzo Andraghetti è fuori target Crozza (vedi la parte finale del filmato sottostante), dal MoVimento è messo semplicemente alla porta. Ho anche detto, facendo il verso al solito modo di Grillo di chiudere i suoi post, che, se conosci il movimento, non lo voti.
È importante conoscere ciò di cui si parla, altrimenti il rischio di essere buggerati dopo, è semplice realtà. Ad esempo, l'ultima esternazione di Grillo è stata su un nuovo emendamento al testo sulla legge elettorale che imporrebbe ai partiti e ai movimenti che vogliono concorrere alle prossime elezioni politiche di dotarsi di un vero e proprio statuto. L'emendamento, presentato dai relatori Enzo Bianco (Pd) e Lucio Malan (Pdl), stabilisce che "insieme ai contrassegni devono essere depositate le copie degli statuti dei partiti o dei gruppi politici organizzati". E Grillo, da cui la lamentatio, per ora, ha solo una scrittura, che chiama "non statuto", sebbene sia articolata in 7 punti, e che è la cartina di tornasole di quanto movimento sia il MoVimento 5 Stelle.
Ma vediamolo questo non statuto. All'articolo 1 si dice che «il "MoVimento 5 Stelle" è una "non Associazione". Rappresenta una piattaforma ed un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel blog www.beppegrillo.it». La sua sede «coincide con l’indirizzo web www.beppegrillo.it. I contatti con il MoVimento sono assicurati esclusivamente attraverso posta elettronica».
All'articolo 2 si dice che «Il MoVimento 5 Stelle, in quanto "non associazione", non ha una durata prestabilita».
L'articolo 3 stabilisce chiaramente che «il nome del MoVimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso». Chiaro? Quanto a contrassegni, cioè nessuna differenza tra Grillo e Berlusconi!
L'articolo 4 parla dell'oggetto del movimento e delle finalità. Nella sua stringatezza è per contro molto complesso. Innanzitutto si dice che «Il “MoVimento 5 Stelle” intende raccogliere l’esperienza maturata nell’ambito del blog www.beppegrillo.it, dei “meetup”, delle manifestazioni ed altre iniziative popolari e delle “Liste Civiche Certificate”». Il movimento - «in occasione delle elezioni per la Camera dei Deputati, per il Senato della Repubblica o per i Consigli Regionali e Comunali, organizzandosi e strutturandosi attraverso la rete Internet cui viene riconosciuto un ruolo centrale nella fase di adesione al MoVimento, consultazione, deliberazione, decisione ed elezione» - «va a costituire, nell’ambito del blog stesso, lo strumento di consultazione per l’individuazione, selezione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociale, culturale e politica promosse da Beppe Grillo così come le proposte e le idee condivise nell’ambito del blog www.beppegrillo.it». Capito bene? Sicuro? Più che la partecipazione popolare, richiama, o diciamo che quanto meno ricorda molto il modo di selezionare i venditori porta a porta di una nota marca di cosmetici. No? Uno strumento di marketing? Un gioco di società o di ruolo? Certo non un partito. Perché sempre nello stesso articolo 4, si dice a chiare lettere: «Il MoVimento 5 Stelle non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro».
Ma allora? L'articolo continua spiegando finalmente (forse): «Esso vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi». Aaah... Un esperimento sociale e gli elettori le cavie.
Non mi dilungo più oltre; l'articolo 5 detta le modalità di adesione, l'articolo 6 le modalità di finanziamento (in sintesi nessuna quota di adesione, solo sottoscrizioni volontarie in particolari occasioni). L'articolo 7 riguarda le procedure di designazione dei candidati alle elezioni. Il passaggio chiave: «Il MoVimento 5 Stelle costituirà il centro di raccolta delle candidature ed il veicolo di selezione e scelta dei soggetti», e fino qui vero quanto viene fatto credere, ma i soggetti selezionati alla fine «saranno, di volta in volta e per iscritto, autorizzati all'uso del nome e del marchio "MoVimento 5 Stelle" nell'ambito della propria partecipazione a ciascuna consultazione elettorale». Chi autorizza? ovviamente il proprietario del marchio, ovvero Beppe Grillo in persona. Una sorta di spudorato "porcellum" con il travestimento "democratico" di una sorta di primarie per pochi intimi, sospettato di assai poca trasparenza, dal momento che per paradosso tutto avviene in rete con accesso per soli "addetti ai lavori". Non tragga in inganno l'affermazione contenuta sempre nello stesso articolo che dice: «L’identità dei candidati a ciascuna carica elettiva sarà resa pubblica attraverso il sito internet appositamente allestito nell’ambito del blog; altrettanto pubbliche, trasparenti e non mediate saranno le discussioni inerenti tali candidature». Dal punto di vista della trasparenza, per i meccanismi della rete non significa nulla.
Ma torniamo ai candidati che impazzano in rete, eccovene uno, fa di nome Alfredo Ronzino, ma come sognatore, in questo paese di santi, poeti e appunto sognatori, è un cavallo di razza.
È importante conoscere ciò di cui si parla, altrimenti il rischio di essere buggerati dopo, è semplice realtà. Ad esempo, l'ultima esternazione di Grillo è stata su un nuovo emendamento al testo sulla legge elettorale che imporrebbe ai partiti e ai movimenti che vogliono concorrere alle prossime elezioni politiche di dotarsi di un vero e proprio statuto. L'emendamento, presentato dai relatori Enzo Bianco (Pd) e Lucio Malan (Pdl), stabilisce che "insieme ai contrassegni devono essere depositate le copie degli statuti dei partiti o dei gruppi politici organizzati". E Grillo, da cui la lamentatio, per ora, ha solo una scrittura, che chiama "non statuto", sebbene sia articolata in 7 punti, e che è la cartina di tornasole di quanto movimento sia il MoVimento 5 Stelle.
Ma vediamolo questo non statuto. All'articolo 1 si dice che «il "MoVimento 5 Stelle" è una "non Associazione". Rappresenta una piattaforma ed un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel blog www.beppegrillo.it». La sua sede «coincide con l’indirizzo web www.beppegrillo.it. I contatti con il MoVimento sono assicurati esclusivamente attraverso posta elettronica».
All'articolo 2 si dice che «Il MoVimento 5 Stelle, in quanto "non associazione", non ha una durata prestabilita».
L'articolo 3 stabilisce chiaramente che «il nome del MoVimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso». Chiaro? Quanto a contrassegni, cioè nessuna differenza tra Grillo e Berlusconi!
L'articolo 4 parla dell'oggetto del movimento e delle finalità. Nella sua stringatezza è per contro molto complesso. Innanzitutto si dice che «Il “MoVimento 5 Stelle” intende raccogliere l’esperienza maturata nell’ambito del blog www.beppegrillo.it, dei “meetup”, delle manifestazioni ed altre iniziative popolari e delle “Liste Civiche Certificate”». Il movimento - «in occasione delle elezioni per la Camera dei Deputati, per il Senato della Repubblica o per i Consigli Regionali e Comunali, organizzandosi e strutturandosi attraverso la rete Internet cui viene riconosciuto un ruolo centrale nella fase di adesione al MoVimento, consultazione, deliberazione, decisione ed elezione» - «va a costituire, nell’ambito del blog stesso, lo strumento di consultazione per l’individuazione, selezione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociale, culturale e politica promosse da Beppe Grillo così come le proposte e le idee condivise nell’ambito del blog www.beppegrillo.it». Capito bene? Sicuro? Più che la partecipazione popolare, richiama, o diciamo che quanto meno ricorda molto il modo di selezionare i venditori porta a porta di una nota marca di cosmetici. No? Uno strumento di marketing? Un gioco di società o di ruolo? Certo non un partito. Perché sempre nello stesso articolo 4, si dice a chiare lettere: «Il MoVimento 5 Stelle non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro».
Ma allora? L'articolo continua spiegando finalmente (forse): «Esso vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi». Aaah... Un esperimento sociale e gli elettori le cavie.
Non mi dilungo più oltre; l'articolo 5 detta le modalità di adesione, l'articolo 6 le modalità di finanziamento (in sintesi nessuna quota di adesione, solo sottoscrizioni volontarie in particolari occasioni). L'articolo 7 riguarda le procedure di designazione dei candidati alle elezioni. Il passaggio chiave: «Il MoVimento 5 Stelle costituirà il centro di raccolta delle candidature ed il veicolo di selezione e scelta dei soggetti», e fino qui vero quanto viene fatto credere, ma i soggetti selezionati alla fine «saranno, di volta in volta e per iscritto, autorizzati all'uso del nome e del marchio "MoVimento 5 Stelle" nell'ambito della propria partecipazione a ciascuna consultazione elettorale». Chi autorizza? ovviamente il proprietario del marchio, ovvero Beppe Grillo in persona. Una sorta di spudorato "porcellum" con il travestimento "democratico" di una sorta di primarie per pochi intimi, sospettato di assai poca trasparenza, dal momento che per paradosso tutto avviene in rete con accesso per soli "addetti ai lavori". Non tragga in inganno l'affermazione contenuta sempre nello stesso articolo che dice: «L’identità dei candidati a ciascuna carica elettiva sarà resa pubblica attraverso il sito internet appositamente allestito nell’ambito del blog; altrettanto pubbliche, trasparenti e non mediate saranno le discussioni inerenti tali candidature». Dal punto di vista della trasparenza, per i meccanismi della rete non significa nulla.
Ma torniamo ai candidati che impazzano in rete, eccovene uno, fa di nome Alfredo Ronzino, ma come sognatore, in questo paese di santi, poeti e appunto sognatori, è un cavallo di razza.
Parlamentarie? No, parrocchiali
Il Movimento 5 Stelle si presenta alla platea più ingenua e meno smaliziata della rete e, più in generale, mediatica come "una libera associazione di cittadini. Non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro". Niente, dunque "ideologie di sinistra o di destra, ma idee". Perché lo scopo è "realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici". ma soprattutto "senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo ed indirizzo normalmente atribuito a pochi". È così? È veramente così?
Ieri la nuova denuncia di tre candidature scomparse alle "parlamentarie", tre attivisti che, pur avendo tutti i requisiti richiesti, sono stati esclusi d'imperio. I tre sono Ivano Mazzacurati, Alessandro Cuppone e Lorenzo Andraghetti. L'ultimo aveva già pubblicato online il video di presentazione della candidatura.
Annotavo ieri dopo aver visto per caso il video: Andraghetti uno certo meglio di Renzi, ma dove sta l'antipolitica? Evidentemente troppo serio e soprattutto in gamba, fuori target per il guru, padre e padrone del movimento, alla faccia delle dichiarazioni di facciata.
Anche l'ostracizzata Federica Salsi, l'antiGrillo, con merito, oggi se vi fossero le primarie per la leadership del movimento, ha denunciato la consumata esclusione dicendo all'emittente bolognese Radiotau: "Queste persone avevano a tutti gli effetti i requisiti. Mi piacerebbe che Grillo, Casaleggio o lo staff dessero delle motivazioni chiare su determinate esclusioni".
Come riportano giornali online, l'espulso Valentino Tavolazzi ha definito le "primarie" per i parlamentari del movimento grillino, cui ambiva partecipare, "una grande delusione. Il Casaleggium ha stabilito chi sia candidabile, senza alcun confronto preventivo, ed ha tradito quanto promesso da Grillo in tutte le piazze: chiunque si può candidare, se incensurato, non iscritto a partiti e se non ha svolto due mandati. Le scarse informazioni disponibili e le modalità di voto hanno impedito una partecipazione più larga e consapevole". E dunque: "Le parlamentarie stanno assumendo una dimensione parrocchiale" e usano "un metodo inqualificabile in base ai valori fondanti per il M5S, quali trasparenza e partecipazione". Inconfrontabili, insomma, con le primarie democratiche e i suoi milioni al voto. Tavolazzi, inoltre, ricorda che "Casaleggio ha anche impedito alle città di Ferrara e di Cento di essere rappresentate alle parlamentarie, colpendo non solo due liste civiche, centinaia di attivisti e migliaia di elettori, ma anche due intere comunità" e comunque ha mandato un "in bocca al lupo a tutti i cittadini di buona volontà che credono nel Movimento del non statuto e ci mettono anima, corpo e faccia per cambiare il paese".
Mutuando il vezzo di Grillo di chiudere i suoi post con una frase ad effetto, a questo punto ci sta un "Ci vediamo alle elezioni: Movimento 5 Stelle, se lo conosci non lo voti".
Ieri la nuova denuncia di tre candidature scomparse alle "parlamentarie", tre attivisti che, pur avendo tutti i requisiti richiesti, sono stati esclusi d'imperio. I tre sono Ivano Mazzacurati, Alessandro Cuppone e Lorenzo Andraghetti. L'ultimo aveva già pubblicato online il video di presentazione della candidatura.
Annotavo ieri dopo aver visto per caso il video: Andraghetti uno certo meglio di Renzi, ma dove sta l'antipolitica? Evidentemente troppo serio e soprattutto in gamba, fuori target per il guru, padre e padrone del movimento, alla faccia delle dichiarazioni di facciata.
Anche l'ostracizzata Federica Salsi, l'antiGrillo, con merito, oggi se vi fossero le primarie per la leadership del movimento, ha denunciato la consumata esclusione dicendo all'emittente bolognese Radiotau: "Queste persone avevano a tutti gli effetti i requisiti. Mi piacerebbe che Grillo, Casaleggio o lo staff dessero delle motivazioni chiare su determinate esclusioni".
Come riportano giornali online, l'espulso Valentino Tavolazzi ha definito le "primarie" per i parlamentari del movimento grillino, cui ambiva partecipare, "una grande delusione. Il Casaleggium ha stabilito chi sia candidabile, senza alcun confronto preventivo, ed ha tradito quanto promesso da Grillo in tutte le piazze: chiunque si può candidare, se incensurato, non iscritto a partiti e se non ha svolto due mandati. Le scarse informazioni disponibili e le modalità di voto hanno impedito una partecipazione più larga e consapevole". E dunque: "Le parlamentarie stanno assumendo una dimensione parrocchiale" e usano "un metodo inqualificabile in base ai valori fondanti per il M5S, quali trasparenza e partecipazione". Inconfrontabili, insomma, con le primarie democratiche e i suoi milioni al voto. Tavolazzi, inoltre, ricorda che "Casaleggio ha anche impedito alle città di Ferrara e di Cento di essere rappresentate alle parlamentarie, colpendo non solo due liste civiche, centinaia di attivisti e migliaia di elettori, ma anche due intere comunità" e comunque ha mandato un "in bocca al lupo a tutti i cittadini di buona volontà che credono nel Movimento del non statuto e ci mettono anima, corpo e faccia per cambiare il paese".
Mutuando il vezzo di Grillo di chiudere i suoi post con una frase ad effetto, a questo punto ci sta un "Ci vediamo alle elezioni: Movimento 5 Stelle, se lo conosci non lo voti".
martedì 4 dicembre 2012
Il Gargamella felice e il Grillo sparlante
Grillo oggi alla carica contro il risultato delle primarie, Bersani e il suo squadrone: "Gargamella è felice, è diventato un leader. Uno su mille ce la fa e lui, modestamente, ce l'ha fatta a diventare l'allenatore di una squadra vincente, un team da triplete, uno squadrone che tremare il mondo fa. Tutti i giornali, lo hanno proclamato nuovo Cesare insieme ai pappagalli a comando dei talk show...". Tutto, lui che di comunicazione se ne intende, per distrarre l'attenzione dalle sue parlamentarie, sulle quali è meglio non mettere troppo gli occhi. Troppa essendo in giro, tanta, la tentazione di fare le pulci alla sua creatura che veste e nutre di "antipolitica".
I media ieri hanno dedicato un po' di spazio alla denuncia, sporta da Federica Salsi, consigliere comunale di Bologna - eletta nelle fila del Movimento 5 Stelle e colpita dall'ostracismo di Grillo dopo la sua apparizione a Ballarò, - dopo che la sua pagina Facebook è stata oggetto di insulti e minacce, che andavano dall'augurarle la morte politica e non solo quella, a quella aberrante e veramente intollerabile che diceva "Se hai figli, glieli facciamo togliere, perché se non vuoi bene a Grillo allora non sei una brava donna e non sei una brava madre".
"Il contenuto dei commenti, per il linguaggio utilizzato volgare e scurrile, per i riferimenti del tutto indebiti alla mia famiglia e ai miei figli, per le minacce di morte in essi contenuti, mi hanno profondamente turbato. Quei commenti sono unicamente volti a ingenerare in me timore, prospettando un male ingiusto al fine di diminuire la mia libertà di pensiero e morale", ha dichiarato la Salsi. Un trattamento simile qualche mese fa era toccato a Giovanni Favia, altro ostracizzato dopo che aveva sollevato la questione della democrazia interna e del ruolo di Casaleggio all'interno del movimento grillino.
Da annotare che i due colleghi, Massimo Bugani e Marco Piazza, con cui dopo il "fattaccio" di Ballarò era stata rottura in consiglio comunale, hanno espresso solidarietà dichiarando, come riportato dai giornali: "Il confronto politico, anche se acceso, anche se con critiche e con posizioni molto discordanti, non deve mai sconfinare nelle minacce e negli insulti. Ci troviamo purtroppo a doverlo di nuovo ribadire, condannando ogni violenza verbale e minacce di qualsiasi genere e in qualunque forma, web compreso". Certo, se no, non è "antipolitica", è fascismo.
I media ieri hanno dedicato un po' di spazio alla denuncia, sporta da Federica Salsi, consigliere comunale di Bologna - eletta nelle fila del Movimento 5 Stelle e colpita dall'ostracismo di Grillo dopo la sua apparizione a Ballarò, - dopo che la sua pagina Facebook è stata oggetto di insulti e minacce, che andavano dall'augurarle la morte politica e non solo quella, a quella aberrante e veramente intollerabile che diceva "Se hai figli, glieli facciamo togliere, perché se non vuoi bene a Grillo allora non sei una brava donna e non sei una brava madre".
"Il contenuto dei commenti, per il linguaggio utilizzato volgare e scurrile, per i riferimenti del tutto indebiti alla mia famiglia e ai miei figli, per le minacce di morte in essi contenuti, mi hanno profondamente turbato. Quei commenti sono unicamente volti a ingenerare in me timore, prospettando un male ingiusto al fine di diminuire la mia libertà di pensiero e morale", ha dichiarato la Salsi. Un trattamento simile qualche mese fa era toccato a Giovanni Favia, altro ostracizzato dopo che aveva sollevato la questione della democrazia interna e del ruolo di Casaleggio all'interno del movimento grillino.
Da annotare che i due colleghi, Massimo Bugani e Marco Piazza, con cui dopo il "fattaccio" di Ballarò era stata rottura in consiglio comunale, hanno espresso solidarietà dichiarando, come riportato dai giornali: "Il confronto politico, anche se acceso, anche se con critiche e con posizioni molto discordanti, non deve mai sconfinare nelle minacce e negli insulti. Ci troviamo purtroppo a doverlo di nuovo ribadire, condannando ogni violenza verbale e minacce di qualsiasi genere e in qualunque forma, web compreso". Certo, se no, non è "antipolitica", è fascismo.
Overdose da zelo mediatico
Oggi, su Europa, Federico Orlando ha riconosciuto una verità vera. In un articolo che inizia ricondando quanto Ilvo Diamanti aveva evidenziato ieri "che, se tutti i centomila elettori che avevano chiesto di votare al secondo turno avessero potuto farlo; e se per ipotesi avessero tutti preferito Renzi a Bersani, il risultato non sarebbe cambiato". Ma veniamo al punto.
Più addentro nell'articolo Orlando scrive, dopo aver ricordato gli errori di comunicazione che Renzi si autoattribuisce: "È tuttavia giusto che proprio da parte nostra, dei giornalisti, si riconosca la responsabilità dei media d'aver accreditato ed esaltato quella predicazione per troppo zelo verso il predicatore. Carta stampata e tv, con eccezioni importanti ma minoritarie, sono state unanimi nell'inseguire La7 e altri media oltranzisti pro Renzi, sul quale sono confluite le più opposte scuole di pensiero: da quelle filogrilline, in cerca di un idolo più presentabile, a quelle berlusconiane, a caccia di un successore non contaggiato, a quelle comunque antisinistra, anche se a guidare il centrosinistra ci fosse papa Giovanni in persona".
Ed esplicita l'asserzione con un esempio: "Questa complicità assoluta e determinante s'è evidenziata domenica sera nello studio di Mentana, dov'era schierata una parte dell'ex politburo dell'informazione comunista doc, poi passata, come accade, al campo opposto. E nessuno ha osato replicare, se non con qualche accenno retrò, a D'Alema, quando, intervistato, ha concluso puntando l'indice proprio contro quel politburo e tanti altri: «Renzi ha perso per il danno che gli avete fatto voi, tutti uniti nell'indicare lui contro di noi»".
E questa è l'inevitabile conclusione di Orlando: "Insieme a Renzi, insomma, le primarie le ha perse una parte dell'informazione. Che non ha fatto il tifo per un candidato contro un altro, ma per un governo contro un altro". Come inevitabile è la citazione di Diamanti: il confronto Bersani-Renzi «più che di selezione del candidato di schieramento, ha dato l'idea di un confronto presidenziale».
La preoccupazione di Orlando è che i media non intendano imparare la lezione, ma che vogliano continuare "con un nuovo tentativo di pulizia etnica, facendo seguire alla grande attenzione sul confronto Renzi-Bersani un altrettanto grande silenzio su Bersani e le sue iniziative" future; la preoccupazione, cioè, della presenza, per dirla con parole di Diamanti, di una informazione assillata "da paure quarantottesche per gli interessi che la supportano, e per i loro affari". Che non aiuterebbe il «gestire bene e maneggiare con cautela il dopo-primarie» da parte del Pd.
Più addentro nell'articolo Orlando scrive, dopo aver ricordato gli errori di comunicazione che Renzi si autoattribuisce: "È tuttavia giusto che proprio da parte nostra, dei giornalisti, si riconosca la responsabilità dei media d'aver accreditato ed esaltato quella predicazione per troppo zelo verso il predicatore. Carta stampata e tv, con eccezioni importanti ma minoritarie, sono state unanimi nell'inseguire La7 e altri media oltranzisti pro Renzi, sul quale sono confluite le più opposte scuole di pensiero: da quelle filogrilline, in cerca di un idolo più presentabile, a quelle berlusconiane, a caccia di un successore non contaggiato, a quelle comunque antisinistra, anche se a guidare il centrosinistra ci fosse papa Giovanni in persona".
Ed esplicita l'asserzione con un esempio: "Questa complicità assoluta e determinante s'è evidenziata domenica sera nello studio di Mentana, dov'era schierata una parte dell'ex politburo dell'informazione comunista doc, poi passata, come accade, al campo opposto. E nessuno ha osato replicare, se non con qualche accenno retrò, a D'Alema, quando, intervistato, ha concluso puntando l'indice proprio contro quel politburo e tanti altri: «Renzi ha perso per il danno che gli avete fatto voi, tutti uniti nell'indicare lui contro di noi»".
E questa è l'inevitabile conclusione di Orlando: "Insieme a Renzi, insomma, le primarie le ha perse una parte dell'informazione. Che non ha fatto il tifo per un candidato contro un altro, ma per un governo contro un altro". Come inevitabile è la citazione di Diamanti: il confronto Bersani-Renzi «più che di selezione del candidato di schieramento, ha dato l'idea di un confronto presidenziale».
La preoccupazione di Orlando è che i media non intendano imparare la lezione, ma che vogliano continuare "con un nuovo tentativo di pulizia etnica, facendo seguire alla grande attenzione sul confronto Renzi-Bersani un altrettanto grande silenzio su Bersani e le sue iniziative" future; la preoccupazione, cioè, della presenza, per dirla con parole di Diamanti, di una informazione assillata "da paure quarantottesche per gli interessi che la supportano, e per i loro affari". Che non aiuterebbe il «gestire bene e maneggiare con cautela il dopo-primarie» da parte del Pd.
Dare i numeri (fino in fondo)
Oltre a correggere il "miracolo" del 27 a 27 a Cavacurta, trasformato in un 27 a 29, oggi Il Cittadino pubblica il dettaglio del voto nel Lodigiano alle primarie del Partito democratico. Curioso il sottotitolo dell'articolo di Greta Boni, che accompagna la scheda: "L'appoggio di Guerini non ha cambiato gli equilibri". Guerini? Chi mai è Guerini? Vien da dire. Certo, Guerini è una persona rispettabile, che ha fatto una sua carriera politica di tutto rilievo, un utile vessillo per il partito, il giusto volto cattolico per la città di Lodi. Le bandiere sventolano, sono le aste che sostengono. Del resto, dichiarazione di Guerini riportata oggi, sempre da Greta Boni: "Ho sempre detto che un minuto dopo le primarie avrei lavorato per il vincitore affinché possa diventare presidente del Consiglio e così sarà".
Mauro Soldati, invece, il segretario provinciale del partito, evidenzia un dato sul quale, esteso ed inteso più ampiamente, nelle sezioni forse non si riflette abbastanza: "Il Pd sul territorio, ha detto, ha 1.500 iscritti, portare più di 10mila persone ai seggi dimostra che questa non era affatto una partita interna". Forse, da queste parti non sarebbe male cominciare a guardare il partito non come un gruppo chiuso o un circolo familiare, ma un partito appunto nel reale significato del termine. E la riflessione dovrebbe stimolare ad intraprendere questa via. E affermazioni come questa di Diego Bosoni, referente del Comitato pro Renzi, potrebbero aiutare: "Sarebbe riduttivo mettere dieci uomini in Parlamento e quattro in Regione, quella di Renzi non è una candidatura che si presta a questo genere di cose".
Ma torniamo ai dati. L'articolo della Boni si presta alla sottolineatura di alcune curiosità, soprattutto per un uso disinvolto delle percentuali per enfatizzare qualcosa piuttosto che qualcos'altro, come, del resto, l'indicare Bersani preferibilmente come ex ministro, piuttosto che segretario del Pd, e Renzi sindaco di Firenze o rottamatore, sottointendendo una connotazione positiva per questa qualifica. Faccio un paio di esempi. Nell'articolo si scrive: "Santo Stefano, dove invece Renzi spopola", e si aggiunge: "Il risultato migliore del rottamatore si è raggiunto a Santo Stefano, con il 67,21 per cento dei consensi". Perbacco, dirà qualcuno, che risultatone! Già, ma andando a vedere i voti si scopre che l'enorme bottino di Renzi sono 41 voti (20 quelli di Bersani). E ancora: "A Lodi il candidato toscano ha avuto la meglio solamente nella zona del centro storico: 51,91 per cento dei voti contro il 48,09 per cento dell'avversario". Anche qui, andando a vedere si scopre che è solo questione di una differenza di 12 voti (151 Bersani, 163 Renzi). Perché non allora citare, dirà qualcuno, anche San Fiorano dove le percentuali sono di pochissimo diverse: 48,61% Bersani e 51,39% Renzi? Si sarebbe tolto il velo: nel paese della Bassa le due percentuali stanno ad indicare una differenza di soli 2 voti: 35 Bersani, 37 Renzi.
Ma cambiamo luogo e veniamo al sito del Partito democratico, oppure se volete al sito che riportava la conta dei voti del ballottaggio in diretta. C'è la delibera del Comitato dei garanti che sancisce che i votanti sono stati 2.808.662; il vincitore è Bersani con voti: 1.706.457 (pari al 60,9%); mentre Renzi ha ottenuto voti 1.095.925 (pari al 39,1%). Nel contatore però il risultato è ancora fermo alle 17:02:37 di ieri e ovviamente indica una conta totale non conclusa (vedere l'immagine sotto). Bersani ha vinto senza ogni dubbio, e si può piantarla lì, ma dare i numeri ufficiali di tutte le sezioni non sarebbe segno di serietà? Anche perché, nel mio piccolo, mi permetterebbe di fare il conteggio, che riporto sotto, in maniera più precisa. Ed invece relativamente alla provincia di Cremona manca il conteggio dei dati di tre sezioni. Comunque, perché ormai siamo virtualmente, nel luogo dove scrivo, nella provincia di Cremona-Lodi-Mantova, può risultare interessante il dato sommatoria delle tre province. Abbiamo così (ovviamente con la carenza indicata) che Bersani ha ottenuto 26.172 voti, Renzi 15.706, pari rispettivamente al 62,5% e al 37,5%. Sono questi i numeri che contraddistinguono il Pd nella futura realtà provinciale.
Mauro Soldati, invece, il segretario provinciale del partito, evidenzia un dato sul quale, esteso ed inteso più ampiamente, nelle sezioni forse non si riflette abbastanza: "Il Pd sul territorio, ha detto, ha 1.500 iscritti, portare più di 10mila persone ai seggi dimostra che questa non era affatto una partita interna". Forse, da queste parti non sarebbe male cominciare a guardare il partito non come un gruppo chiuso o un circolo familiare, ma un partito appunto nel reale significato del termine. E la riflessione dovrebbe stimolare ad intraprendere questa via. E affermazioni come questa di Diego Bosoni, referente del Comitato pro Renzi, potrebbero aiutare: "Sarebbe riduttivo mettere dieci uomini in Parlamento e quattro in Regione, quella di Renzi non è una candidatura che si presta a questo genere di cose".
Ma torniamo ai dati. L'articolo della Boni si presta alla sottolineatura di alcune curiosità, soprattutto per un uso disinvolto delle percentuali per enfatizzare qualcosa piuttosto che qualcos'altro, come, del resto, l'indicare Bersani preferibilmente come ex ministro, piuttosto che segretario del Pd, e Renzi sindaco di Firenze o rottamatore, sottointendendo una connotazione positiva per questa qualifica. Faccio un paio di esempi. Nell'articolo si scrive: "Santo Stefano, dove invece Renzi spopola", e si aggiunge: "Il risultato migliore del rottamatore si è raggiunto a Santo Stefano, con il 67,21 per cento dei consensi". Perbacco, dirà qualcuno, che risultatone! Già, ma andando a vedere i voti si scopre che l'enorme bottino di Renzi sono 41 voti (20 quelli di Bersani). E ancora: "A Lodi il candidato toscano ha avuto la meglio solamente nella zona del centro storico: 51,91 per cento dei voti contro il 48,09 per cento dell'avversario". Anche qui, andando a vedere si scopre che è solo questione di una differenza di 12 voti (151 Bersani, 163 Renzi). Perché non allora citare, dirà qualcuno, anche San Fiorano dove le percentuali sono di pochissimo diverse: 48,61% Bersani e 51,39% Renzi? Si sarebbe tolto il velo: nel paese della Bassa le due percentuali stanno ad indicare una differenza di soli 2 voti: 35 Bersani, 37 Renzi.
Ma cambiamo luogo e veniamo al sito del Partito democratico, oppure se volete al sito che riportava la conta dei voti del ballottaggio in diretta. C'è la delibera del Comitato dei garanti che sancisce che i votanti sono stati 2.808.662; il vincitore è Bersani con voti: 1.706.457 (pari al 60,9%); mentre Renzi ha ottenuto voti 1.095.925 (pari al 39,1%). Nel contatore però il risultato è ancora fermo alle 17:02:37 di ieri e ovviamente indica una conta totale non conclusa (vedere l'immagine sotto). Bersani ha vinto senza ogni dubbio, e si può piantarla lì, ma dare i numeri ufficiali di tutte le sezioni non sarebbe segno di serietà? Anche perché, nel mio piccolo, mi permetterebbe di fare il conteggio, che riporto sotto, in maniera più precisa. Ed invece relativamente alla provincia di Cremona manca il conteggio dei dati di tre sezioni. Comunque, perché ormai siamo virtualmente, nel luogo dove scrivo, nella provincia di Cremona-Lodi-Mantova, può risultare interessante il dato sommatoria delle tre province. Abbiamo così (ovviamente con la carenza indicata) che Bersani ha ottenuto 26.172 voti, Renzi 15.706, pari rispettivamente al 62,5% e al 37,5%. Sono questi i numeri che contraddistinguono il Pd nella futura realtà provinciale.
La leggenda del Davide della Leopolda
Una delle leggende metropolitane più raccontate sui giornali è che Matteo Renzi, ha perso, sì, stavolta, ma ha aggregato una componente "democratica" del tutto nuova, che include sia precedenti sostenitori del Pd sia nuovi arrivati, alcuni già pronti a tornare verso i molteplici rivoli da cui erano affluiti, altri che non sarà facile trattenere senza di lui. Come la racconta Elisabetta Gualmini oggi su La Stampa. Siamo proprio sicuri che nella realtà delle cose sia andata così, o l'accadimento non sia stato invece altro; un'offensiva dell'industria del marketing, per così dire, per mettere le mani sull'unico partito che può dare un profitto politico-economico nel futuro prossimo. Non tutti possono costruirsi di botto un partito di plastica, non tutti sono Berluscon de' Berlusconi. Un caso unico.
Nell'articolo, infatti, vengono snocciolati dati, che, osservati con altra ottica, sono più assimilabili all'effetto d'una ricerca di mercato che al proselitismo politico per un partito con precise caratteristiche, seppure desideroso di ampliare la propria base elettorale. Un'azione di marketing, quella che aveva per oggetto il sindaco di Firenze, da subito verso un target ben definito. Innanzitutto soggetti sotto ai 55 anni, poco identificabili con le strutture del partito, ma aggiungerei con il partito stesso; per lo più che non avevano in precedenza partecipato alle primarie, liberi professionisti, studenti, imprenditori, gente che si colloca al centro, o magari, anche se con minor consistenza, a destra. Tanto per far dire, come Renzi ha fatto e la Gualmini sottolinea, "che il Pd può intercettare anche quel tipo di consensi, senza l'intermediazione di altri partiti"; certo ma, evidentemente e lo si è dimostrato, con una campagna di marketing ad hoc, cioè, alla stregua di Berlusconi e, per paradosso, di Grillo, raccontando favole. Non sto qui a ripetere le altre argomentazioni dell'articolo de La Stampa, ma, per chi lo avesse letto, anche le risultanze territoriali del voto svolte dall'Istituto Cattaneo, così come interpretate e raccontate dalla Gualmini, non fanno altro che evidenziare come il "fenomeno Renzi" non sia stato altro che una campagna mirata di marketing. Un popolo di "consumatori", quello renziano, creato in un momento sostanzialmente di vuoto politico, in ambiti territoriali ritenuti ricettivi, da un'abile strategia e da un battage ben condotto, la cui scomparsa dopo l'evento delle primarie, più mediatico che politico, non potrà comunque essere attribuito al segretario del Pd. Se Bersani riuscirà a condurre alle urne per il suo partito anche una minima parte degli elettori tendenzialmente di centro, centrodestra, affascinati dalla metafora del Davide della Leopolda contro il Golia ex Botteghe Oscure, sarà, dopo il consolidamento ed il rilancio del partito ottenuto con l'apertura alla partecipazione dei cittadini, un ulteriore successo della sua segreteria. Innegabilmente.
Nell'articolo, infatti, vengono snocciolati dati, che, osservati con altra ottica, sono più assimilabili all'effetto d'una ricerca di mercato che al proselitismo politico per un partito con precise caratteristiche, seppure desideroso di ampliare la propria base elettorale. Un'azione di marketing, quella che aveva per oggetto il sindaco di Firenze, da subito verso un target ben definito. Innanzitutto soggetti sotto ai 55 anni, poco identificabili con le strutture del partito, ma aggiungerei con il partito stesso; per lo più che non avevano in precedenza partecipato alle primarie, liberi professionisti, studenti, imprenditori, gente che si colloca al centro, o magari, anche se con minor consistenza, a destra. Tanto per far dire, come Renzi ha fatto e la Gualmini sottolinea, "che il Pd può intercettare anche quel tipo di consensi, senza l'intermediazione di altri partiti"; certo ma, evidentemente e lo si è dimostrato, con una campagna di marketing ad hoc, cioè, alla stregua di Berlusconi e, per paradosso, di Grillo, raccontando favole. Non sto qui a ripetere le altre argomentazioni dell'articolo de La Stampa, ma, per chi lo avesse letto, anche le risultanze territoriali del voto svolte dall'Istituto Cattaneo, così come interpretate e raccontate dalla Gualmini, non fanno altro che evidenziare come il "fenomeno Renzi" non sia stato altro che una campagna mirata di marketing. Un popolo di "consumatori", quello renziano, creato in un momento sostanzialmente di vuoto politico, in ambiti territoriali ritenuti ricettivi, da un'abile strategia e da un battage ben condotto, la cui scomparsa dopo l'evento delle primarie, più mediatico che politico, non potrà comunque essere attribuito al segretario del Pd. Se Bersani riuscirà a condurre alle urne per il suo partito anche una minima parte degli elettori tendenzialmente di centro, centrodestra, affascinati dalla metafora del Davide della Leopolda contro il Golia ex Botteghe Oscure, sarà, dopo il consolidamento ed il rilancio del partito ottenuto con l'apertura alla partecipazione dei cittadini, un ulteriore successo della sua segreteria. Innegabilmente.
lunedì 3 dicembre 2012
Fine corsa
C'è un aspetto di cui i diversi commentatori non tengono conto, cioè proprio del fatto fondamentale, che le primarie erano per la leadership del centro sinistra, per determinare un possibile inquilino di Palazzo Chigi. Non è cosa da poco. Correre per diventare capo del governo apre una finestra mediatica enorme. Non è la stessa cosa, per dire, di correre per la segreteria di un partito, un posto in parlamento, o per il vertice di una amministrazione locale, per quanto importante sia. E, dunque, la corsa di Matteo Renzi si ferma qui. Del resto se si va a leggere l'intervista a Giorgio Gori, l'ideatore della campagna di Renzi, pubblicata oggi dal quotidiano Il Giorno, si comprende bene che Gori parli di marketing e non di politica.
Così nella prima risposta, dove si tirano le somme: "La nostra è stata una grande campagna elettorale. Avevamo contro tutti i pronostici e la quasi totalità della struttura del partito: Bersani poteva contare su 9 mila circoli in tutto il Paese, sull'appoggio della stragrande maggioranza dei parlamentari e dei segretari locali. Nonostante questo, in poche settimane, abbiamo messo in piedi 2500 comitati, mobilitato migliaia di persone, ottenuto un consenso che molti partiti non hanno costruito neppure in molti anni". Certo, qualcosa di paragonabile, alla grande, al battage che ha preceduto la discesa in campo del Cavaliere, qui all'interno di un partito contando sugli scontentati dall'apparato e sui rampanti, giovani e meno giovani, che si riconoscevano nel modello Matteo Renzi, "ragazzo" di successo.
Ecco ancora qualche passaggio: "Matteo ha detto che l'aver insistito sulla sburocratizzazione può aver allontanato chi lavora nella pubblica amministrazione, specie nel Lazio. Però quello è un elemento cardine del nostro progetto, mica si poteva omettere". Col sorriso sulla bocca, se no che business plan era? Che fa il paio con l'insistenza sulla rottamazione: "Sacrosanta. Abbiamo espresso un sentimento largamente diffuso nel Paese". Oppure "Non abbiamo enfatizzato a sufficienza il tema del sostegno al potere d'acquisto delle famiglie meno abbienti. E non abbiamo raccontato con efficacia le molte proposte «di sinistra» [sic!] del nostro programma". L'estraneità al contesto trasuda anche da altre parole, quelle con cui giustifica la criticata cena da Davide Serra: "La cena da Davide Serra con il mondo della finanza, di per sé legittima e utile per proporre a quel mondo le nostre idee, ha offerto il fianco a facili strumentalizzazioni che non ci hanno aiutato con l'elettorato più legato a un'idea tradizionale di sinistra". Cioè, praticamente la stragrande maggioranza, e si è visto, del Partito democratico.
L'ultima affermazione di Gori sull'elettorato, assieme all'altra, riferita al contesto della rottamazione: "Nel solo elettorato di centrosinistra è paradossalmente più presente la tendenza a conservare", fa capire l'errore Matteo Renzi, questo Matteo Renzi: il business plan insomma era ok, sbagliato era il pubblico di riferimento. Il popolo di centrodestra era quello giusto. C'è da scommetterci che ad Arcore quel volpone del Cavaliere glielo avesse anche fatto notare. O forse no? La speranza di una prospettiva possibile di rottura nel Pd, chissà, era più allettante. Ed i giornali del centrodestra nel day after sembrano confermarlo.
Così nella prima risposta, dove si tirano le somme: "La nostra è stata una grande campagna elettorale. Avevamo contro tutti i pronostici e la quasi totalità della struttura del partito: Bersani poteva contare su 9 mila circoli in tutto il Paese, sull'appoggio della stragrande maggioranza dei parlamentari e dei segretari locali. Nonostante questo, in poche settimane, abbiamo messo in piedi 2500 comitati, mobilitato migliaia di persone, ottenuto un consenso che molti partiti non hanno costruito neppure in molti anni". Certo, qualcosa di paragonabile, alla grande, al battage che ha preceduto la discesa in campo del Cavaliere, qui all'interno di un partito contando sugli scontentati dall'apparato e sui rampanti, giovani e meno giovani, che si riconoscevano nel modello Matteo Renzi, "ragazzo" di successo.
Ecco ancora qualche passaggio: "Matteo ha detto che l'aver insistito sulla sburocratizzazione può aver allontanato chi lavora nella pubblica amministrazione, specie nel Lazio. Però quello è un elemento cardine del nostro progetto, mica si poteva omettere". Col sorriso sulla bocca, se no che business plan era? Che fa il paio con l'insistenza sulla rottamazione: "Sacrosanta. Abbiamo espresso un sentimento largamente diffuso nel Paese". Oppure "Non abbiamo enfatizzato a sufficienza il tema del sostegno al potere d'acquisto delle famiglie meno abbienti. E non abbiamo raccontato con efficacia le molte proposte «di sinistra» [sic!] del nostro programma". L'estraneità al contesto trasuda anche da altre parole, quelle con cui giustifica la criticata cena da Davide Serra: "La cena da Davide Serra con il mondo della finanza, di per sé legittima e utile per proporre a quel mondo le nostre idee, ha offerto il fianco a facili strumentalizzazioni che non ci hanno aiutato con l'elettorato più legato a un'idea tradizionale di sinistra". Cioè, praticamente la stragrande maggioranza, e si è visto, del Partito democratico.
L'ultima affermazione di Gori sull'elettorato, assieme all'altra, riferita al contesto della rottamazione: "Nel solo elettorato di centrosinistra è paradossalmente più presente la tendenza a conservare", fa capire l'errore Matteo Renzi, questo Matteo Renzi: il business plan insomma era ok, sbagliato era il pubblico di riferimento. Il popolo di centrodestra era quello giusto. C'è da scommetterci che ad Arcore quel volpone del Cavaliere glielo avesse anche fatto notare. O forse no? La speranza di una prospettiva possibile di rottura nel Pd, chissà, era più allettante. Ed i giornali del centrodestra nel day after sembrano confermarlo.
Civati e lo Small Bang
Pippo Civati è stato intervistato per il Secolo XIX di Genova da Bruno Lugaro. Riporto alcune delle affermazioni del consigliere regionale lombardo sulle primarie, cominciando dalla motivazione del voto dato a Bersani. Il voto al segretario "perché il merito di aver tenuto delle primarie vere è tutto di Bersani, nonostante non tutti coloro che gli stanno dietro condividessero questa scelta". Voto a Bersani, ma, comunque, "in campagna elettorale ho mantenuto una posizione «terza»".
Civati, come si ricorderà, fu, ai primi passi dei rottamatori, al fianco di Renzi, ma poi si è allontanato. Al giornalista che gli chiede il perché della sua delusione, risponde: "La sua [di Renzi] è una sfida politica importante. È doveroso criticare il centrosinistra che ha governato fin qui, ma non si può soltanto «spaccare». Questo non mi è piaciuto".
Sulla sconfitta di Renzi è laconico: "Matteo non ha vinto, come del resto avevo ampiamente previsto. Punto". E aggiunge un po' più in là, "mi sarei risparmiato volentieri queste due settimane di polemiche deliranti". Ma Renzi può spaccare il partito? "Sarebbe un grave errore. No, non mi aspetto «strappi» da Renzi, anche se una parte minoritaria del suo entourage avrebbe questa tentazione. Io credo che per Matteo questa sia una prova di maturità: ora deve fare un lavoro nuovo, costruire relazioni all'interno del Pd, dare un contributo al dibattito interno".
Ancora una annotazione, Civati è per le primarie per la scelta dei parlamentari: "Le chiedo da tempo e credo ci sia ancora il tempo per organizzarle, ma dobbiamo metterci subito al lavoro. Sarebbero una scelta ancora più rivoluzionaria delle primarie per la leadership del centrosinistra. E ci consentirebbero di costruire una relazione costante tra elettori ed eletti". Parola di "aspirante" segretario.
Civati, come si ricorderà, fu, ai primi passi dei rottamatori, al fianco di Renzi, ma poi si è allontanato. Al giornalista che gli chiede il perché della sua delusione, risponde: "La sua [di Renzi] è una sfida politica importante. È doveroso criticare il centrosinistra che ha governato fin qui, ma non si può soltanto «spaccare». Questo non mi è piaciuto".
Sulla sconfitta di Renzi è laconico: "Matteo non ha vinto, come del resto avevo ampiamente previsto. Punto". E aggiunge un po' più in là, "mi sarei risparmiato volentieri queste due settimane di polemiche deliranti". Ma Renzi può spaccare il partito? "Sarebbe un grave errore. No, non mi aspetto «strappi» da Renzi, anche se una parte minoritaria del suo entourage avrebbe questa tentazione. Io credo che per Matteo questa sia una prova di maturità: ora deve fare un lavoro nuovo, costruire relazioni all'interno del Pd, dare un contributo al dibattito interno".
Ancora una annotazione, Civati è per le primarie per la scelta dei parlamentari: "Le chiedo da tempo e credo ci sia ancora il tempo per organizzarle, ma dobbiamo metterci subito al lavoro. Sarebbero una scelta ancora più rivoluzionaria delle primarie per la leadership del centrosinistra. E ci consentirebbero di costruire una relazione costante tra elettori ed eletti". Parola di "aspirante" segretario.
Chiedere conferma ad Arcore
Renzi ridimensionato e rottamato? No, la destra, più destra che destra non si può, la destra "stupidamente" destra non si rassegna. Così oggi sui giornali si possono leggere assurdità straordinarie. Mi soffermo sull'articolo di Davide Giacalone sul Tempo che sbava perché Renzi rompa con il Pd. "Se chiude la stagione con la partita delle primarie, fidando che il patrimonio di consensi accumulato possa tornare in campo nel campionato successivo, rischia fortemente di fare la fine di Mario Segni: aveva il biglietto vincente della lotteria elettorale, ma non andò a incassarlo, lo tenne in tasca, fin quando scadde".
Saltando i "deliri" analitici giacalonici sul futuro d'un centrosinistra "bersaniano", che dimostrano, solo per accennare qualcosa, che la destra sa ragionare sulla sinistra unicamente per stereotipi, di Renzi si dice: "Il centro sinistra di marca renziana sarebbe stato una cosa diversa. Gli sarebbe bastato tenere duro sui programmi (a parte i soldi da dare ai redditi più bassi, segno che uno scivolone demagogico non si nega a nessuno) e non mollare sulle alleanze. Vale a dire non farle". Sì, non farle, per far fare al centrosinistra, e all'Italia, la fine voluta da Veltroni l'africano: cinque anni (o quasi) di catastrofico centrodestra berlusconiano. E Giacalone, convinto continua: "Gli sarebbe bastato questo per raccogliere le urla di dolore di non poca parte degli apparati di sinistra, ma il consenso di una fetta rilevantissima (sic!) dei voti di sinistra, al tempo stesso accedendo al forziere incustodito (sic!) di quelli di destra". A parte lo strano modo di figurarsi il consenso e le idee della gente, che ha il sapore d'un passato non molto lontano quando l'informazione era scarsa e l'oratoria la faceva da padrone, c'è da chiedersi se Giacalone creda realmente alla leggenda metropolitana del Renzi descritto come un deus ex machina nel teatro politico italiano. Il risultato finale, la vittoria di Bersani, non è solo frutto dell'albero degli apparati di sinistra. Il popolo del centrosinistra ha scelto altrimenti. Io stesso, del resto, che non sono poi così vicino al Pd locale, sono andato a votare fiutando la buggeratura ai danni della sinistra e dando il mio seppur insignificante contributo per sventarla.
"Non è andata così", cioè come Giacalone s'aspettava, che schiumante di rabbia dice: "La sinistra ha scelto la propria continuità post comunista. Con un gruppo dirigente che fu interamente comunista, che non ha mai condananto quell'odioso passato, e che ancora crede sia un approdo di modernità la socialdemocrazia". Certo, un partito che ha per presidente la compagna Rosy Bindi e capogruppo alla Camera il compagno Franceschini...
Ma più "curioso" ancora è il futuro che ci aspetta secondo Giacalone: "Il fatto è che noi già conosciamo le tappe successive del purgatorio italiano. Sappiamo che voteremo e che le urne non consegneranno a nessuno, non consegneranno a questa sinistra, una maggioranza tale da potere governare autonomamente. Potranno fare un colpo di mano per la presidenza della Repubblica, ma sarà, ancora una volta (è già successo) l'inizio della sua fine. Poi giungerà a maturazione la crisi dell'euro, rimettendo in difficoltà il finanziamento del nostro debito. Quindi si verificherà l'incapacità del governo di far fronte alla situazione e, dunque, si passerà ancora a un governo commissariale". Tranquilli però: "Non uguale a quello Monti, ma comunque con lo stesso incipit: visto che non siete capaci, fatevi da parte". E, tenetevi: "se la prima fu emergenza, la seconda è malattia della democrazia". Mangiato ieri sera veramente pesante per fare simili incubi!
Bene, per dire; vi chiederete, ma l'unico destino è l'abisso? No, dice Giacalone, c'è sempre Renzi, il Gian Burrasca che invece di "Bandiera rossa" canta "Viva la pappa col pomodoro"; sempre rosso è, ma vuoi mettere! "Se di questo [le tragedie future descritte e altre ancora omesse perché questo post è pubblicato in fascia protetta] Renzi è consapevole si renderà conto che attendere è perdersi. Anche senza avere vinto le primarie, un prodotto politico alternativo può essere proposto agli elettori. Basato sulla consapevolezza di quella necessità e mettendosi in anticipo laddove anche gli altri dovranno arrivare. Ma deve trovare il coraggio e la forza di rompere. Altrimenti resterà solo il bel ricordo di una gara inutile". Già, rompere, il pio desiderio. Ma a parte l'epilogo da pizia, davvero Giacalone vuol farci credere che Renzi sia un "salva Italia" in nuce? O, nella sua ottica, il messia della destra che caccia il centrosinistra dal tempio? Non per dire, ma è poi così certo che la destra aspetti un nuovo messia? Ha chiesto conferma ad Arcore?
Saltando i "deliri" analitici giacalonici sul futuro d'un centrosinistra "bersaniano", che dimostrano, solo per accennare qualcosa, che la destra sa ragionare sulla sinistra unicamente per stereotipi, di Renzi si dice: "Il centro sinistra di marca renziana sarebbe stato una cosa diversa. Gli sarebbe bastato tenere duro sui programmi (a parte i soldi da dare ai redditi più bassi, segno che uno scivolone demagogico non si nega a nessuno) e non mollare sulle alleanze. Vale a dire non farle". Sì, non farle, per far fare al centrosinistra, e all'Italia, la fine voluta da Veltroni l'africano: cinque anni (o quasi) di catastrofico centrodestra berlusconiano. E Giacalone, convinto continua: "Gli sarebbe bastato questo per raccogliere le urla di dolore di non poca parte degli apparati di sinistra, ma il consenso di una fetta rilevantissima (sic!) dei voti di sinistra, al tempo stesso accedendo al forziere incustodito (sic!) di quelli di destra". A parte lo strano modo di figurarsi il consenso e le idee della gente, che ha il sapore d'un passato non molto lontano quando l'informazione era scarsa e l'oratoria la faceva da padrone, c'è da chiedersi se Giacalone creda realmente alla leggenda metropolitana del Renzi descritto come un deus ex machina nel teatro politico italiano. Il risultato finale, la vittoria di Bersani, non è solo frutto dell'albero degli apparati di sinistra. Il popolo del centrosinistra ha scelto altrimenti. Io stesso, del resto, che non sono poi così vicino al Pd locale, sono andato a votare fiutando la buggeratura ai danni della sinistra e dando il mio seppur insignificante contributo per sventarla.
"Non è andata così", cioè come Giacalone s'aspettava, che schiumante di rabbia dice: "La sinistra ha scelto la propria continuità post comunista. Con un gruppo dirigente che fu interamente comunista, che non ha mai condananto quell'odioso passato, e che ancora crede sia un approdo di modernità la socialdemocrazia". Certo, un partito che ha per presidente la compagna Rosy Bindi e capogruppo alla Camera il compagno Franceschini...
Ma più "curioso" ancora è il futuro che ci aspetta secondo Giacalone: "Il fatto è che noi già conosciamo le tappe successive del purgatorio italiano. Sappiamo che voteremo e che le urne non consegneranno a nessuno, non consegneranno a questa sinistra, una maggioranza tale da potere governare autonomamente. Potranno fare un colpo di mano per la presidenza della Repubblica, ma sarà, ancora una volta (è già successo) l'inizio della sua fine. Poi giungerà a maturazione la crisi dell'euro, rimettendo in difficoltà il finanziamento del nostro debito. Quindi si verificherà l'incapacità del governo di far fronte alla situazione e, dunque, si passerà ancora a un governo commissariale". Tranquilli però: "Non uguale a quello Monti, ma comunque con lo stesso incipit: visto che non siete capaci, fatevi da parte". E, tenetevi: "se la prima fu emergenza, la seconda è malattia della democrazia". Mangiato ieri sera veramente pesante per fare simili incubi!
Bene, per dire; vi chiederete, ma l'unico destino è l'abisso? No, dice Giacalone, c'è sempre Renzi, il Gian Burrasca che invece di "Bandiera rossa" canta "Viva la pappa col pomodoro"; sempre rosso è, ma vuoi mettere! "Se di questo [le tragedie future descritte e altre ancora omesse perché questo post è pubblicato in fascia protetta] Renzi è consapevole si renderà conto che attendere è perdersi. Anche senza avere vinto le primarie, un prodotto politico alternativo può essere proposto agli elettori. Basato sulla consapevolezza di quella necessità e mettendosi in anticipo laddove anche gli altri dovranno arrivare. Ma deve trovare il coraggio e la forza di rompere. Altrimenti resterà solo il bel ricordo di una gara inutile". Già, rompere, il pio desiderio. Ma a parte l'epilogo da pizia, davvero Giacalone vuol farci credere che Renzi sia un "salva Italia" in nuce? O, nella sua ottica, il messia della destra che caccia il centrosinistra dal tempio? Non per dire, ma è poi così certo che la destra aspetti un nuovo messia? Ha chiesto conferma ad Arcore?
Se il "Noi" si fa "Io"
La Repubblica riporta una selezione di tweet di vip (il migliore quello di Fabio Volo: "Primarie Pd finite. Ora quelle del centrodestra. Il leader del Pdl sarà eletto il 25 dicembre in una mangiatoia.") e di lettori. Di quest'ultimi ha attratto la mia attenzione quello di Linda Mencaroni: "Se vinciamo è un NOI ma se perdiamo è un IO #Renzi". Acuto. Già, e, fuori dai denti, c'è da aspettarsi nei prossimi giorni, settimane, mesi, quando l'incombenza delle elezioni si farà più pressante, molte abiure importanti soprattutto a livello dei tanti aspiranti portaborse locali.
Il rottamatore rottamato
Parto da una battuta, bisogna saper perdere. Il riferimento è al quotidiano di Lodi, Il Cittadino, "sfegatato" sostenitore di Renzi, o meglio di Guerini, renziano della prima ora, renziano doc, e della sua corte o cortile che sia. La notizia della rottamazione di Renzi da parte degli elettori del centrosinistra viene messa in prima pagina nel taglio basso, niente più d'una sorta di link all'articolo di Emanuele Dolcini, una colonna in nona pagina.
Va detto che, per contro, un giusto peso viene dato all'evento nella sua dimensione nazionale in pagina 3 degli "Interni". Pure con una vignetta che mostra Renzi e la scritta "Adesso" con una croce sopra e sotto "Un'altra volta". Domani è un altro giorno e certamente, passato il magone, la redazione sarà senza dubbio più prodiga.
A Brembio, Bersani ha vinto col 52,4%, 87 voti. Rispetto al primo turno guadagna due voti vendoliani. Renzi è rimasto fermo ai 79 voti del primo turno e poiché l'affluenza è calata, 166 votanti contro i 174 di domenica 25, aumenta comunque in percentuale, passando dal 45,4 al 47,6%. Se può consolare qualcuno.
Nel Lodigiano, secondo i dati raccolti dal Cittadino, Bersani si è portato a casa circa 800 voti in più, raggiungendo quota 5633 e il 60,4%, Renzi dietro con circa duemila voti in meno, 3678, ed una perdita di circa 180 voti. Dolcini mette in evidenza nel suo pezzo una curiosità che come tale cito, il pareggio perfetto a Cavacurta: 27 a 27. Manco a mettersi d'accordo.
Quanto al dato nazionale, Renzi è promosso solo in Toscana, la sua regione. Dopo le sue esperienze come presidente della provincia di Firenze e di sindaco del capoluogo, un promoveatur ut amoveatur? Al di là delle facezie, Renzi ha dichiarato che torna a fare il militante, magari anche il sindaco di Firenze. I fiorentini ringraziano.
Va detto che, per contro, un giusto peso viene dato all'evento nella sua dimensione nazionale in pagina 3 degli "Interni". Pure con una vignetta che mostra Renzi e la scritta "Adesso" con una croce sopra e sotto "Un'altra volta". Domani è un altro giorno e certamente, passato il magone, la redazione sarà senza dubbio più prodiga.
A Brembio, Bersani ha vinto col 52,4%, 87 voti. Rispetto al primo turno guadagna due voti vendoliani. Renzi è rimasto fermo ai 79 voti del primo turno e poiché l'affluenza è calata, 166 votanti contro i 174 di domenica 25, aumenta comunque in percentuale, passando dal 45,4 al 47,6%. Se può consolare qualcuno.
Nel Lodigiano, secondo i dati raccolti dal Cittadino, Bersani si è portato a casa circa 800 voti in più, raggiungendo quota 5633 e il 60,4%, Renzi dietro con circa duemila voti in meno, 3678, ed una perdita di circa 180 voti. Dolcini mette in evidenza nel suo pezzo una curiosità che come tale cito, il pareggio perfetto a Cavacurta: 27 a 27. Manco a mettersi d'accordo.
Quanto al dato nazionale, Renzi è promosso solo in Toscana, la sua regione. Dopo le sue esperienze come presidente della provincia di Firenze e di sindaco del capoluogo, un promoveatur ut amoveatur? Al di là delle facezie, Renzi ha dichiarato che torna a fare il militante, magari anche il sindaco di Firenze. I fiorentini ringraziano.
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Primarie, i dati a mezzanotte
A Trieste, definitivo: Bersani 5553 voti, 67,9%; Renzi 2625 voti, 32,1%.
In provincia di Lodi, i risultati sono fermi a 51 sezioni su 58. Bersani: 4416 voti (59,8%); Renzi 2968 voti (40,2%).
A Cremona siamo a 94 sezioni su 104: Bersani 7417 voti (64,4%); Renzi 4100 (35,6%).
A Mantova siamo a 74 sezioni su 88: Bersani 9974 voti (63,31%); Renzi 5781 (36,69%).
In provincia di Lodi, i risultati sono fermi a 51 sezioni su 58. Bersani: 4416 voti (59,8%); Renzi 2968 voti (40,2%).
A Cremona siamo a 94 sezioni su 104: Bersani 7417 voti (64,4%); Renzi 4100 (35,6%).
A Mantova siamo a 74 sezioni su 88: Bersani 9974 voti (63,31%); Renzi 5781 (36,69%).
domenica 2 dicembre 2012
Lodi, 8 sezioni dalla fine
Mancano 8 sezioni. Questi i risultati di 50 sezioni su 58, i voti per Bersani sono 4329 (59,98%); i voti per Renzi 2889 (40,02%).
Lodi 49 su 58 seggi
Dati pervenuti 49 seggi su 58. Voti per Bersani 4281 (59,81%), voti per Renzi 2877 (40,19%), schede bianche e nulle 7.
Primarie e parlamentarie
La prossima settimana le "parlamentarie" del Movimento 5 Stelle, elezioni online per scegliere i candidati alle prossime elezioni politiche tra -alla faccia dell'antipolitica e dell'anticasta - 1.400 candidati che hanno presentato la loro candidatura ad una poltrona in parlamento. "Parlamentarie" e non primarie? Già, in Grillo un po' di pudore forse sopravvive ancora dopo tutto, e vediamo in sintesi il perché del nome. Ma prima diciamo come era possibile candidarsi.
I candidati di Grillo in parlamento dovevano essersi in precedenza presentati alle elezioni comunali o regionali per il Movimento, non avere precedenti penali, non essere in carica come sindaci o consiglieri e non aver fatto due mandati. Insomma essere candidati illustri sconosciuti e, particolare non trascurabile, trombati localmente. Bene, ma chi può votare alle parlamentarie grilline? Chi risulta iscritto al Movimento 5 Stelle al 30 settembre 2012 - avete letto bene, - e ha inviato i suoi documenti di identità digitalizzati. Altro che la richiesta di Renzi di far votare gli amici degli amici fuori tempo massimo! L'antipolitica è una cosa seria, meglio una setta, parola della Salsi, seria. E la cosa buffa è che nel blog Grillo scrive: "Non ci saranno nominati in Parlamento, ma cittadini ecc. ecc.". Tenere chiusa la scelta ai propri adepti non è una sorta di "nomina" del Movimento? Ah, ma avverrà in maniera "trasparente" online. Mah... e mi domando, però allora, che differenza ci sia con le altre liste che verranno formate per le elezioni: a ben guardare fino in fondo proprio nessuna.
E a proposito del blog di Grillo, aggancio a questo post, per chi si fosse perso qualche passaggio, il video che segue, dove Travaglio.spiega perché ha abbandonato la collaborazione col comico genovese.
I candidati di Grillo in parlamento dovevano essersi in precedenza presentati alle elezioni comunali o regionali per il Movimento, non avere precedenti penali, non essere in carica come sindaci o consiglieri e non aver fatto due mandati. Insomma essere candidati illustri sconosciuti e, particolare non trascurabile, trombati localmente. Bene, ma chi può votare alle parlamentarie grilline? Chi risulta iscritto al Movimento 5 Stelle al 30 settembre 2012 - avete letto bene, - e ha inviato i suoi documenti di identità digitalizzati. Altro che la richiesta di Renzi di far votare gli amici degli amici fuori tempo massimo! L'antipolitica è una cosa seria, meglio una setta, parola della Salsi, seria. E la cosa buffa è che nel blog Grillo scrive: "Non ci saranno nominati in Parlamento, ma cittadini ecc. ecc.". Tenere chiusa la scelta ai propri adepti non è una sorta di "nomina" del Movimento? Ah, ma avverrà in maniera "trasparente" online. Mah... e mi domando, però allora, che differenza ci sia con le altre liste che verranno formate per le elezioni: a ben guardare fino in fondo proprio nessuna.
E a proposito del blog di Grillo, aggancio a questo post, per chi si fosse perso qualche passaggio, il video che segue, dove Travaglio.spiega perché ha abbandonato la collaborazione col comico genovese.
L'isola delle primarie
Nella prima pagina de Il Giornale online, c'è una manchette intrigante: "La rottamazione estetica. I brutti tifano il segretario. I belli stanno con il sindaco", questo il testo, accompagnato dalla foto di Bersani. Il link porta ad un articolo di Paolo Bracalini del 29 novembre, in cui il giornalista segnala che "Un tweet del longilineo e telegenico Giorgio Gori, storyteller della rottamazione renziana, sull’«inflessibile» Nico Stumpo, pingue uomo macchina dietro «l’amabile, ecumenico Bersani» ha scatenato il sospetto di un secondo fronte, anche estetico-televisivo, nella sfida". Insomma, "il Pd dei carini contro quello dei calvi (come Bersani) o sovrappeso (come Stumpo) o poco sexy (come Rosy Bindi) o dei nati vecchi come i «giovani turchi» Fassina o Orfini?". Sarà "una forzatura certamente, ma anche l’immagine conta in queste primarie-reality (materia che Gori, ex produttore dell'Isola dei famosi, conosce bene). E, detto tra parentesi, non c'è dubbio, del resto, che Renzi si sia mosso in questa kermesse delle primarie centrosinistre come un personaggio dell'Isola dei famosi, non come un politico seriamente meritevole di fiducia.
L'articolo del Giornale, da leggere, strappa il sorriso e fa riflettere sulla politica dell'immagine che da Berlusconi in poi va tanto di moda (e con quali risultati si è visto). Che dire, se non riconoscere che "la camicia bianca con maniche arrotolate, alla Baricco non è che si porti così facilmente". Insomma, come scrive Bracalini: "Di qui più giovani, di là più agée, di qui la cura dell’immagine, di là il guardaroba da Festa dell’Unità". Un cliché ovunque, anche in questo paese sperduto della Bassa lodigiana, come hanno potuto constatare i miei concittadini che hanno deciso col loro voto di partecipare alle primarie. Ma l'immagine, gli abiti di Ferragamo e Ermanno Scervino, o anche di Cavalli e Armani, è forma, può certo anche contare oggi; la sostanza, però, il guardaroba da Festa dell'Unità, è ben altro e lo si vede a Brembio, come a Firenze. come altrove. E, per dire una cosa di sinistra, resta preferibile.
L'articolo del Giornale, da leggere, strappa il sorriso e fa riflettere sulla politica dell'immagine che da Berlusconi in poi va tanto di moda (e con quali risultati si è visto). Che dire, se non riconoscere che "la camicia bianca con maniche arrotolate, alla Baricco non è che si porti così facilmente". Insomma, come scrive Bracalini: "Di qui più giovani, di là più agée, di qui la cura dell’immagine, di là il guardaroba da Festa dell’Unità". Un cliché ovunque, anche in questo paese sperduto della Bassa lodigiana, come hanno potuto constatare i miei concittadini che hanno deciso col loro voto di partecipare alle primarie. Ma l'immagine, gli abiti di Ferragamo e Ermanno Scervino, o anche di Cavalli e Armani, è forma, può certo anche contare oggi; la sostanza, però, il guardaroba da Festa dell'Unità, è ben altro e lo si vede a Brembio, come a Firenze. come altrove. E, per dire una cosa di sinistra, resta preferibile.
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