sabato 10 novembre 2012

Quei poveracci dei dipendenti della Provincia

Scriveva Greta Boni sul quotidiano di Lodi Il Cittadino il 6 novembre: "Per loro l'ipotesi più ottimistica sarebbe quella del trasferimento, a Cremona. «Almeno non perderemmo il posto di lavoro», dice qualcuno. «Però fare 50 chilometri per andare a lavorare inciderebbe sicuramente sul bilancio familiare e lo stipendio è quello che è», fa notare qualcun'altro". "Loro" sono i dipendenti della Provincia di Lodi, che si trovano di fronte il problema dell'ammucchiata di tre attuali province - Lodi, Cremona e Mantova - in una sola. La frase riportata dalla cronista del giornale lodigiano, per quanto legittima preoccupazione, è suonata stonata nell'attuale situazione di crisi che vede molte famiglie di lavoratori in grandi difficoltà economiche. Tant'è che da noi ("Fatti e Parole") era stata raccolta e segnalata come una delle tante memorabilia che quotidianamente riempiono carta stampata e spazi televisivi.
Ieri, il quotidiano di Lodi ha pubblicato nella rubrica "Lettere e Opinioni" un intervento di Angelo Cerri, titolato dalla redazione bonariamente "Ma i dipendenti della Provincia sanno di essere fortunati?", accompagnato, interpretando forse l'incipit della lettera, da un immagine dell'interno dello splendido palazzo dell'ente, dove il rapporto tra pieni (gente) e vuoti (architettonici) era nettamente a favore di questi ultimi. Scriveva infatti il Cerri: "Apprendo dall’articolo del vostro giornale che i dipendenti della provincia di Lodi, compongono un esercito di 180 persone; solo ora capisco la necessità di ampi spazi da dedicare alla grande industria quale la provincia di Lodi dove il premio di produzione è materia sconosciuta". E aggiungeva: "Per chi conosce l’ambiente lavorativo della nostra grande provincia, conosce pure il filo conduttore che accomuna i luoghi di lavoro pubblici".
Naturalmente: "Facendo un distinguo nel precisare che non tutti i lavoratori pubblici hanno la caratteristica di rientrare in questo quadro riassuntivo" desolante che così sempre il Cerri descrive, "Troppi sono sinonimo di mancanza di produttività, di indifferenza nei confronti dei cittadini che dovrebbero godere di questi servizi, senza tralasciare il significativo ruolo di datori di lavoro, che gli stessi cittadini ricoprono. Se questi dovessero prestare il proprio operato in un luogo di lavoro privato dove, l’equazione produttività=stipendio deve essere necessariamente soddisfatta, vagherebbero alla ricerca di posti di lavoro introvabili. Il mercato del lavoro serio li bandisce".
"Ma così non è, prosegue l'estensore della lettera. Dove andremo a finire? La prospettiva di fare 50 km per recarsi al lavoro non li esalta. Certo. Quando si è abituati alla passeggiata mattutina delle ore 9, se va bene, per recarsi al lavoro, con pause di caffè che iniziano alle 9,30 per ripetersi nella lunga mattinata, orari elastici, ambienti di lavoro troppo caldi, fare 50 chilometri modifica gli «assetti familiari»". E amcora il coltello rigirato nella piaga: "Aggiungo che non è raro incrociare lavoratori pubblici che durante la lunga mattinata si assentano dal posto di lavoro, con la condivisione dei colleghi, per effettuare compere di natura privata, assolvere impegni familiari".
E Angelo Cerri chiude amaramente, così, la sua lettera: "E i pendolari che fanno una vita lavorativa sostenendo ritmi settimanali che farebbero stramazzare il lavoratore pubblico tipo, cosa dovrebbero esclamare? E tutti i lavoratori che non hanno la fortuna dei lavoratori pubblici di sapere che una sistemazione ci sarà! Magari a 50 km ma ci sarà, cosa dovrebbero esclamare? Non c’è altro da aggiungere". Già non c'è proprio null'altro da aggiungere...

venerdì 9 novembre 2012

Guardare avanti

Il mio commento all'ultima replica del presidente dell'Anpi melegnanese, Sergio Fogagnolo, è stata pubblicata nell'edizione odierna del quotidiano "Il Cittadino". Di seguito il testo ed il ritaglio del giornale.


Caro Direttore,

capisco che il sig. Sergio Fogagnolo usi lo spazio del nostro dialogo indiretto attraverso le pagine del giornale, per esporre le sue idee e condurre la sua guerra personale contro ombre del passato che ritiene aggirarsi ancora nel presente; posso tentare – anche se con la difficoltà di chi non ha vissuto esperienze tragiche di simile portata – di comprendere quanto sia arduo far tacitare le conseguenze di un gravissimo torto subito nel lontano 10 agosto 1944, il padre Umberto fucilato da un plotone fascista in Piazzale Loreto a Milano assieme ad altri resistenti. E’ indubbio che quell’evento sia di quelli che segnano per sempre una vita. Tuttavia lo inviterei a rileggere i suoi interventi sul giornale e a riflettere se essi in alcune parti non siano forse almeno un pochino sopra le righe. Molta acqua è passata sotto i ponti, come si dice, da quel giorno di sessantotto anni fa, lo stesso ufficiale che comandò quell’eccidio – so che questo non può placare – fu fucilato dai partigiani a Como dopo il 25 aprile 1945 e quella stessa piazza milanese nei giorni della liberazione della città ha visto lo scempio del massimo responsabile di quella ed altre atrocità che vengono ricordate nei diversi interventi sul giornale. E’ giusto coltivare la memoria, ma in qualche modo è doveroso non fare del passato l’unico scopo del proprio esistere, ma guardare avanti. R-esistere, ma soprattutto resistere (senza trattino); e di motivi oggi di resistere ce ne sono tanti nel nostro paese ed ogni giorno si moltiplicano, molto più seri dell’esistenza di piccoli gruppi nostalgici che vedono nel futuro un passato irriproducibile. Nella lettera in cui il padre Umberto comunicava alla moglie la sua scelta di lotta (“Tu, Nadina, mi perdonerai se oggi io gioco la mia vita.”), non vi è un vuoto recriminare sui, lontani nel tempo, cannoni del generale Bava Beccaris, ma la coscienza della necessità dell’azione, in un tempo mutato, per raccogliere i “gridi d’umanità”: “se vi sono delle piaghe che bruciano e dei bisogni che spingono, si esce e si fa guerra”. Ecco, al sig. Fogagnolo e all’Anpi, di cui sono stato a suo tempo, e per molti anni, iscritto, proporrei oggi primario il fine di lottare ancora una volta per rendere concreti, una volta per tutte, quei Valori che dovrebbero essere il fondamento di una “Repubblica nata dalla Resistenza”. Contro i nemici veri, non larve d’un tempo che fu.


giovedì 8 novembre 2012

Un bravo per i compiti fatti a casa

Oggi il quotidiano Il Cittadino pubblica la replica al mio commento sulla precedente risposta al sig. Sergio Fogagnolo, presidente dell'Anpi di Melegnano. Ecco di seguito il testo della lettera che la redazione del giornale ha titolato, prendendo spunto dall'incipit, "Finalmente ha fatto i compiti a casa":
Gentile direttore,
Prendo atto che il signor Fumich ha finalmente corretto e integrato la sua precedente lettera in cui citava solo la Costituzione. Ha fatto i compiti a casa e si vede. Bravo!
Tuttavia, la replica piccata richiede qualche breve precisazione. In precedenza, ho semplicemente affermato che esiste «un quadro legislativo preciso col quale la Repubblica democratica ha stabilito i limiti entro cui un partito può esercitare la sua azione politica, senza il timore di essere accusato di voler fare risorgere il fascismo.» Mi fa piacere che finalmente anche Fumich ne abbia preso atto.
È necessario ricordarlo a causa del risorgente fascismo striciante che si tollera in ogni sede, anche giornalistica (da qui la mia prima lettera, dopo la quale ho preso atto che la mia opinione e quella del direttore sono divergenti). Senza parlare della toponomastica, usata per sdoganare personaggi a dir poco discutibili del fascismo; per fare un esempio, vale la pena di citare il recentemausoleo dedicato al criminale di guerra Graziani, realizzato, per di più, sottraendo risorse alla destinazione legittima (realizzazione di un parco pubblico), che ha suscitato indignate reazioni all’estero, nella quasi indifferenza nostrana. Indifferenza che è bene ricordarlo è il primo passo verso l’assassinio della memoria, come suggerisce lo storico francese Pierre Vidal Naquet.
Dire poi, tautologicamente, che spetta alla magistratura, e non a me, decidere della legittimità di un partito o di un’associazione, significa mettermi in bocca parole che non ho mai detto (scritto). Per inciso, che quelle associazioni o partiti siano fascisti, non è una mia opinione ma una loro orgogliosa rivendicazione.
Mi vien da dire, orgoglio di che? Che il fascismo abbia preso il potere con la violenza? Nel triennio nero (1919/22), le spedizioni “punitive” delle squadracce fasciste fecero circa tremila morti. Che il fascismo fosse violentemente contrario al sistema democratico e al parlamento? Che abbia fatto un uso politico dell’assassinio per sbarazzarsi dei suoi più agguerriti oppositori? Che abbia scatenato guerre di aggressione (guerra di Spagna, d’Etiopia e 2GM [60 milioni di morti]) e la sanguinosa guerra civile (circa 100 mila morti tra le due parti)? Che abbia emanato le vergognose leggi razziali (circa 40mila morti, prevalentemente nel periodo 1943/45)?
Per quanto si voglia sottoporre la storia e la storiografia a un «giudizio più equilibrato e obiettivo», questi sono fatti inconfutabili.
Per il resto, consiglierei a Fumich la lettura [del] libro di Emilio Gentile (allievo di Renzo De Felice e storico del fascismo di fama internazionale) «Fascismo. Storia e interpretazione» e del suo recentissimo «E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma».
Infine, sostenere che, chiedere il rispetto delle leggi che limitano l’operato dei partiti che si richiamano al fascismo, «contraddirebbe proprio quegli ideali della Resistenza posti a fondamento oltre sessant’anni fa della nostra Repubblica», mi sembra davvero una bestemmia. Ribadisco che, capitalizzando la tragica esperienza fascista, il quadro normativo intende preservare la libertà di tutti perché, negli anni 20, il fascismo utilizzò gli strumenti democratici e parlamentari per prendere il potere, con la violenza e con le conseguenze che tutti conosciamo.
Fumich vuole forse ripetere quell’esperienza? Se sì, si accomodi; ma mi auguro che sia disposto a pagarne personalmente il prezzo. Quanto a me, non ci tengo proprio: lamia famiglia e io abbiamo già dato.
La ringrazio per la cortese attenzione e la saluto cordialmente.
Sergio R. Fogagnolo
Presidente Anpi Melegnano


Poiché il lettore ha la possibilità di seguire su questo blog tutto il carteggio finora pubblicato, può confrontando i testi da solo chiosare quest'ultimo ed individuare i punti dove c'è qualche voluto misunderstanding e qualche gratuita attribuzione. Non mi interessa personalmente sottolinearli, né qui né altrove. Peraltro alla lettera del presidente Anpi melegnanese ho già risposto in tarda mattinata con un altro mio commento che pubblicherò qui, sul blog, quando avrà trovato spazio sul giornale.
Mi piace invece accennare al problema vero: quello cioè di poter studiare e discutere gli eventi storici del Ventennio e della lotta partigiana senza pregiudizi o preconcetti di sorta o tesi e verità preconfezionate, seppure esse talvolta possano trovare la loro motivazione nel vissuto personale.
Non dimentichiamo che il professor Renzo De Felice, così frequentemente citato dal mio intelocutore, si trovò contro la storiografia ufficiale, quando nel 1965 pubblicò il libro "Mussolini il rivoluzionario", proprio non piacendo quella sottolineatura, da lui fatta circa la formazione politica di Mussolini, della matrice di sinistra. Per non dire poi dello scandalo suscitato dal libro pubblicato da Laterza nel 1975 "Intervista sul fascismo", che scatenò contro il De Felice una sorta di caccia alle streghe non solo nell'ambiente accademico, ma anche tra i politici, appioppandogli gratuite accuse di revisionismo, di voler riabilitare il Ventennio e mettendolo all'indice perché sospettato di filofascismo. Una spiegazione dell'accanimento del 1975 la diede recentemente in un intervista al Corriere del Mezzogiorno lo stesso Michael Arthur Ledeen che nel libro era l'interlocutore di De Felice: "Nell’«Intervista» Renzo disse, per la prima volta, che comunismo e fascismo in un certo senso avevano lo stesso codice genetica: erano figli della rivoluzione francese. E questa — che oggi tutti riconoscono una banale verità — era un’affermazione tremenda per la sinistra. Indigeribile".

martedì 6 novembre 2012

Non è l'Anpi a decidere la legittimità

Oggi, il quotidiano di Lodi Il Cittadino ha pubblicato nello spazio delle "Lettere e Opinioni" il mio commento alla risposta del presidente dell'Anpi di Melegnano. Come promesso in un precedente post, ecco di seguito il testo:

Caro Direttore, questa mia più che una risposta è una veloce chiosa della lettera del Sig, Fogagnolo pubblicata il 2 novembre, dove mi si “accusa” di disinformazione solo perché – scrivevo nella mia - “per farla breve prendo appunto questa [la XII disposizione transitoria della Costituzione] ad esempio”, tralasciando l’altra normativa citata. Conosce bene la mia passata attività di giornalista, la quale mi ha insegnato come lo spazio sia sacro ed abusarne sempre sconveniente.
Mi perdoni se qui, sollecitato, mi permetto a scopo “didattico” un’altra citazione testuale, questa volta proprio dalla legge Scelba, tanto cara all’interlocutore. L’articolo 1 recita: “Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”.
Citazione necessaria a questo punto per sgomberare ogni equivoco. Ed inviterei lo stesso interlocutore a fare una attenta e corretta esegesi del testo, perché solo così si può comprendere, piaccia o no, la legittimità di associazioni come quelle che si crede personalmente giusto combattere perché personalmente ritenute “fasciste”. Il primo comma dell’articolo 7, ancora, ci dice che: “La cognizione dei delitti preveduti dalla presente legge appartiene al tribunale”. Cioè ci dice che è compito della Magistratura accertare o meno se un partito o una associazione rientri nella fattispecie prevista dalla legge; non certo un compito che spetti, mi perdoni, al presidente dell’Anpi melegnanese.
Ricordo ancora che la legge Scelba del 1952 abrogava le più pesanti disposizioni concernenti la repressione dell'attività fascista, in quanto incompatibili con essa, contenute nella legge 3 dicembre 1947, n. 1546, promulgata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, un segnale comunque di un’uscita da una emergenza; e che, ancora, la stessa legge, come dice l’articolo 10, aveva un carattere provvisorio (“La presente legge e le norme della L. 3 dicembre 1947, n. 1546, non abrogate, cesseranno di aver vigore appena che saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale.”). E poi non dimentichiamoci che dalla sua promulgazione sono passati sessant’anni, e che il quadro politico, interno e internazionale, è profondamente mutato da allora. E ancora, come ricordano i promotori di una sua abrogazione, che “la stessa storiografia accademica ha ormai da tempo formulato sull'esperienza del Ventennio mussoliniano un giudizio più equilibrato e obiettivo di quello che ancora risentiva delle passioni politiche e ideologiche dell'immediato dopoguerra”. Mi fermo qui. Cordialmente


lunedì 5 novembre 2012

Altri tempi, quelli del re, per il servizio postale

Il quotidiano Il Cittadino di Lodi ha pubblicato oggi una mia lettera che evidenzia le difficoltà dell'attuale servizio postale, confrontandone la qualità con le poste del Regno d'Italia.
Questo il testo della lettera:

Caro Direttore,
ha catturato la mia attenzione la lettera, pubblicata il 25 ottobre, del signor Paolo Vaga di Castiraga Vidardo che lamentava la consegna postale di un plico, a lui indirizzato, dopo diciassette giorni; spedito da Lodi, e, dunque, con un percorso definito, se non dalle poste, dal buon senso di circa quindici chilometri. Mi son sentito sollecitato a scriverle perché in queste settimane sto curando, per conto del Circolo Culturale Andreani di Brembio, la catalogazione della ricca raccolta di cartoline illustrate lasciate dalle sorelle Zanoni, nate negli anni Settanta del 1800 e che hanno trascorso a Brembio gli ultimi trent’anni della loro lunga vita. Cartoline spedite alle due signorine in un arco di tempo che va dagli inizi del 1900 ai primi anni Quaranta, nel corso del tempo indirizzate prima alle Cascine Muzzane di Vittadone, poi a Mairago e quindi a Brembio. La cosa che meraviglia è la costante rapidità nella consegna testimoniata dalle date, ma soprattutto dai timbri di partenza e quelli di arrivo, per distanze ben superiori a quella indicata dal signor Vaga in periodi in cui i trasporti non potevano avere la pretesa di competere con quelli moderni. Le allego a questa mia, il retro di quattro cartoline, scelte a caso tra le tante. Come può vedere tra partenza ed arrivo è passato al più un solo giorno: così la prima timbrata a Lecco il 10 agosto 1911, arrivata a Casalpusterlengo il giorno successivo; così la seconda che il timbro della censura indica spedita il 16 agosto 1917, da Camnago Volta, arrivata a Casalpusterlengo il 17 agosto; e ancora la terza spedita da Baveno il 21 agosto 1929, arrivata a Brembio il 22 agosto; e l’ultima spedita il 13 marzo 1930 da Pallanza e arrivata il 14 a Brembio. La rapidità nella consegna era un’ottima caratteristica delle Poste Regie, che in tempi di “Poste repubblicane” è stata pian piano messa in secondo piano, per arrivare all’oggi dove pare essere considerato da Poste Italiane un optional, curando, snaturata la propria funzione, altri businness giudicati più remunerativi. La morale è, purtroppo, che non sempre la “modernità” è apportatrice d’una qualità di vita migliore. Cordialmente