Scriveva Greta Boni sul quotidiano di Lodi Il Cittadino il 6 novembre: "Per loro l'ipotesi più ottimistica sarebbe quella del trasferimento, a Cremona. «Almeno non perderemmo il posto di lavoro», dice qualcuno. «Però fare 50 chilometri per andare a lavorare inciderebbe sicuramente sul bilancio familiare e lo stipendio è quello che è», fa notare qualcun'altro". "Loro" sono i dipendenti della Provincia di Lodi, che si trovano di fronte il problema dell'ammucchiata di tre attuali province - Lodi, Cremona e Mantova - in una sola. La frase riportata dalla cronista del giornale lodigiano, per quanto legittima preoccupazione, è suonata stonata nell'attuale situazione di crisi che vede molte famiglie di lavoratori in grandi difficoltà economiche. Tant'è che da noi ("Fatti e Parole") era stata raccolta e segnalata come una delle tante memorabilia che quotidianamente riempiono carta stampata e spazi televisivi.
Ieri, il quotidiano di Lodi ha pubblicato nella rubrica "Lettere e Opinioni" un intervento di Angelo Cerri, titolato dalla redazione bonariamente "Ma i dipendenti della Provincia sanno di essere fortunati?", accompagnato, interpretando forse l'incipit della lettera, da un immagine dell'interno dello splendido palazzo dell'ente, dove il rapporto tra pieni (gente) e vuoti (architettonici) era nettamente a favore di questi ultimi. Scriveva infatti il Cerri: "Apprendo dall’articolo del vostro giornale che i dipendenti della provincia di Lodi, compongono un esercito di 180 persone; solo ora capisco la necessità di ampi spazi da dedicare alla grande industria quale la provincia di Lodi dove il premio di produzione è materia sconosciuta". E aggiungeva: "Per chi conosce l’ambiente lavorativo della nostra grande provincia, conosce pure il filo conduttore che accomuna i luoghi di lavoro pubblici".
Naturalmente: "Facendo un distinguo nel precisare che non tutti i lavoratori pubblici hanno la caratteristica di rientrare in questo quadro riassuntivo" desolante che così sempre il Cerri descrive, "Troppi sono sinonimo di mancanza di produttività, di indifferenza nei confronti dei cittadini che dovrebbero godere di questi servizi, senza tralasciare il significativo ruolo di datori di lavoro, che gli stessi cittadini ricoprono. Se questi dovessero prestare il proprio operato in un luogo di lavoro privato dove, l’equazione produttività=stipendio deve essere necessariamente soddisfatta, vagherebbero alla ricerca di posti di lavoro introvabili. Il mercato del lavoro serio li bandisce".
"Ma così non è, prosegue l'estensore della lettera. Dove andremo a finire? La prospettiva di fare 50 km per recarsi al lavoro non li esalta. Certo. Quando si è abituati alla passeggiata mattutina delle ore 9, se va bene, per recarsi al lavoro, con pause di caffè che iniziano alle 9,30 per ripetersi nella lunga mattinata, orari elastici, ambienti di lavoro troppo caldi, fare 50 chilometri modifica gli «assetti familiari»". E amcora il coltello rigirato nella piaga: "Aggiungo che non è raro incrociare lavoratori pubblici che durante la lunga mattinata si assentano dal posto di lavoro, con la condivisione dei colleghi, per effettuare compere di natura privata, assolvere impegni familiari".
E Angelo Cerri chiude amaramente, così, la sua lettera: "E i pendolari che fanno una vita lavorativa sostenendo ritmi settimanali che farebbero stramazzare il lavoratore pubblico tipo, cosa dovrebbero esclamare? E tutti i lavoratori che non hanno la fortuna dei lavoratori pubblici di sapere che una sistemazione ci sarà! Magari a 50 km ma ci sarà, cosa dovrebbero esclamare? Non c’è altro da aggiungere". Già non c'è proprio null'altro da aggiungere...
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