Alle primarie per il candidato governatore della Lombardia del centrosinistra hanno partecipato 148.755 votanti. Sarà Umberto Ambrosoli il candidato, scelto dal 57,64 per cento degli elettori. Secondo è risultato Andrea Di Stefano con il 23,25 per cento dei voti, terza Alessandra Kustermann che ha ricevuto il consenso del 19,11 per cento degli elettori.
sabato 15 dicembre 2012
Numeri afgani
I "danni collaterali" sui civili in Afghanistan sono aumentati del 28 per cento tra l'1 agosto e il 31 ottobre di quest'anno, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Ad affermarlo è un rapporto delle Nazioni Unite. Il rapporto pubblicato ieri dall'United Nations Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA) afferma che almeno 967 civili sono stati uccisi ed altri 1.590 sono stati feriti nel terzo quarto dell'anno.
Secondo il rapporto, dell'80 per cento dei danni causati ai civili sarebbero responsabili i resistenti oppositori al regime di Karzai, solo il 6 per cento sarebbe il risultato di operazioni delle forze di sicurezza afgane, mentre la causa di un 10 per cento delle morti rimane poco chiaro. Scontri a fuoco e rudimentali ordigni esplosivi sono le principali cause degli incidenti. Da quando nel 2007 le Nazioni Unite hanno cominciato a conteggiare i morti, e fino ad agosto, in Afghanistan sono morti 13.431 civili.
Come è noto l'ISAF ha programmato di ritirare la gran parte dei suoi contingenti che ammontano a 130.000 uomini alla fine del 2014. La coalizione, secondo iCasualties.org, un'organizzazione indipendente che tiene conto dei morti, dall'inizio della guerra in Afghanistan nel 2001, ha perso circa 2 mila soldati americani e 1.190 delle restanti nazioni che partecipano.
Tanti i morti. Per che cosa? Qualcuno prima o poi darà una spiegazione "vera"?
Secondo il rapporto, dell'80 per cento dei danni causati ai civili sarebbero responsabili i resistenti oppositori al regime di Karzai, solo il 6 per cento sarebbe il risultato di operazioni delle forze di sicurezza afgane, mentre la causa di un 10 per cento delle morti rimane poco chiaro. Scontri a fuoco e rudimentali ordigni esplosivi sono le principali cause degli incidenti. Da quando nel 2007 le Nazioni Unite hanno cominciato a conteggiare i morti, e fino ad agosto, in Afghanistan sono morti 13.431 civili.
Come è noto l'ISAF ha programmato di ritirare la gran parte dei suoi contingenti che ammontano a 130.000 uomini alla fine del 2014. La coalizione, secondo iCasualties.org, un'organizzazione indipendente che tiene conto dei morti, dall'inizio della guerra in Afghanistan nel 2001, ha perso circa 2 mila soldati americani e 1.190 delle restanti nazioni che partecipano.
Tanti i morti. Per che cosa? Qualcuno prima o poi darà una spiegazione "vera"?
Se la cimice è il mouse
Un interessante articolo di Alfonso Maruccia è stato pubblicato giovedì scorso sulla testata online PuntoInformatico. Una tematica, del resto, ripresa da siti esteri specializzati. Nell'articolo si parla di una nuova vulnerabilità individuata nel browser Internet Explorer della Microsoft. La vulnerabilità è potenzialmente utilizzabile per tracciare ogni singolo movimento del mouse compiuto dall'utente. "Usando Internet Explorer, anche il semplice movimento del mouse può risultare essere un potenziale pericolo di sicurezza: a scoprirlo i ricercatori di sicurezza di Spider.io, che già lo scorso ottobre avevano avvertito Microsoft dell'esistenza del problema", scrive Maruccia. Del problema soffrirebbe una qualsiasi versione di Internet Explorer successiva alla 6.0. Con una pagina dimostrativa da visitare con il browser della Microsoft, si vedono gli effetti della vulnerabilità. Bastano 21 linee di codice javascript, affermano quelli di Spider.io, per tracciare i movimenti del mouse in tempo reale a casua della cattiva gestione della funzione fireEvent() da parte di Internet Explorer.
Come evidenzia Maruccia e come sostiene Spider.io, il problema non è il tracciamento dei movimenti del mouse in sé quanto piuttosto le sue potenziali conseguenze sull'uso di tastiere e tastierini numerici virtuali, cioè quelli usati come soluzione alternativa per l'immissione di dati sensibili, ad esempio password, pensati per rendere inoffensivi i keylogger che registrano la pressione dei tasti da parte di un utente sulla tastiera fisica. Secondo Spider.io alcune compagnie di analisi dell'uso pubblicitario del Web farebbero già uso di questa possibilità di tracciare i movimenti del cursore del mouse per i loro scopi.
Il meccanismo è semplice: basta un advertising infetto su una qualunque pagina che uno può visitare per lasciare ad un malintenzionato, fintanto che essa rimane aperta, la possibilità di tracciare e registrare i movimenti del mouse. Naturalmente per raccogliere informazioni significative con questo attacco, un qualunque hacker dovrebbe conoscere quale sito web o quale applicazione l'utente sta usando e dove sono posizionate sullo schermo e il layout della pagina. Ma il problema, per un "non comune" mortale, potrebbe non apparire di difficile soluzione.
Come evidenzia Maruccia e come sostiene Spider.io, il problema non è il tracciamento dei movimenti del mouse in sé quanto piuttosto le sue potenziali conseguenze sull'uso di tastiere e tastierini numerici virtuali, cioè quelli usati come soluzione alternativa per l'immissione di dati sensibili, ad esempio password, pensati per rendere inoffensivi i keylogger che registrano la pressione dei tasti da parte di un utente sulla tastiera fisica. Secondo Spider.io alcune compagnie di analisi dell'uso pubblicitario del Web farebbero già uso di questa possibilità di tracciare i movimenti del cursore del mouse per i loro scopi.
Il meccanismo è semplice: basta un advertising infetto su una qualunque pagina che uno può visitare per lasciare ad un malintenzionato, fintanto che essa rimane aperta, la possibilità di tracciare e registrare i movimenti del mouse. Naturalmente per raccogliere informazioni significative con questo attacco, un qualunque hacker dovrebbe conoscere quale sito web o quale applicazione l'utente sta usando e dove sono posizionate sullo schermo e il layout della pagina. Ma il problema, per un "non comune" mortale, potrebbe non apparire di difficile soluzione.
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Hollande non è Monti né Berlusconi né Prodi
Gli ultimi soldati francesi sono stati ritirati oggi dall'Afghanistan. Circa duecento soldati del 35° reggimento di fanteria Belfort sono decollati dalla capitale Kabul alle 14.30 ora locale per ritornare in patria. Siamo a due anni dal ritiro definitivo della forza internazionale: è stato il presidente francese François Hollande a mettere fine prima del previsto alla missione militare del suo paese in Afghanistan. Un altro tricolore, quello francese.
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Parole grosse per titoli grossi
Siamo al finto delirio oramai, quello che serve per far scrivere i giornali con titoli grossi. Oggi Grillo al "firma-day" a Firenze: "Se noi non entriamo a quel punto arrivano le «Albe dorate», gente che emula Hitler. Entrano i nazisti in Parlamento con il passo dell'oca". Ancora, secondo quanto riportano le agenzie: "Sta tornando la destra che non discute. Se arriva Hitler. vai a parlargli del comma 5...". E poi l'autocelebrazione: "Stiamo tenendo in piedi la democrazia. Noi siamo il cuscinetto. Siamo necessari alla democrazia".
Ma non c'era stato qualcuno nei giorni scorsi che aveva paragonato il movimento grillino ad Alba dorata, il movimento greco di estrema destra? Non è che nell'enfasi arruffapopolo Grillo abbia aggiunto una negazione di troppo, "se noi non entriamo"?...
Ma non c'era stato qualcuno nei giorni scorsi che aveva paragonato il movimento grillino ad Alba dorata, il movimento greco di estrema destra? Non è che nell'enfasi arruffapopolo Grillo abbia aggiunto una negazione di troppo, "se noi non entriamo"?...
Una promessa fatta a tre milioni di persone
Gennaro Migliore, di Sel, intervistato da Il Mattino ha fatto un paio di dichiarazioni da segnalazione. La prima: "Non ci sarà alleanza con l'Udc e i moderati, abbiamo fatto le primarie e fatto una promessa a tre milioni di persone. Noi contiamo di fare una proposta che parli agli italiani e contiamo di avere i numeri per governare. Parlare di Agenda Monti mentre ne stiamo costruendo un'altra mi sembra una questione inesistente".
L'altra, riguardo il Movimento arancione: "Bisogna capire qual è la loro proposta, io ho letto le dichiarazioni di Ferrero, si tratta di fare un quarto polo, io che considero ciò che accade a sinistra sempre positivo, auguro il miglior successo, ma noi siamo dentro una proposta per governare l'Italia, posizioni di pura testimonianza non ci interessano". Al momento, insomma, non si vede la possibilità di un'intesa con Rifondazione e i movimenti a sinistra di Sel.
L'altra, riguardo il Movimento arancione: "Bisogna capire qual è la loro proposta, io ho letto le dichiarazioni di Ferrero, si tratta di fare un quarto polo, io che considero ciò che accade a sinistra sempre positivo, auguro il miglior successo, ma noi siamo dentro una proposta per governare l'Italia, posizioni di pura testimonianza non ci interessano". Al momento, insomma, non si vede la possibilità di un'intesa con Rifondazione e i movimenti a sinistra di Sel.
venerdì 14 dicembre 2012
Grillismo, malattia infantile dell'antipolitica
La Stampa ieri ha pubblicato un'intervista raccolta a Torino da Giuseppe Salvaggiulo, uno tosto, e rilasciata da Davide Bono, capogruppo del Movimento 5 stelle in Piemonte. L'intervista permette di conoscere l'essenza del movimento grillino nella sua organizzazione, ma anche evidenzia in tutta la sua crudezza il fideismo degli adepti. Quando Federica Salsi parlava del movimento come una setta, non diceva alcuno spoposito. Sono le parole del Bono, d'un integralismo chiuso senza se e senza ma, a darne la conferma. Sconcerta che una struttura organizzativa così "stalinista" per molti versi sia tollerata dai seguaci, quanti in realtà?, che tuttavia dimostrano interesse per una ricerca di forme di partecipazione intelligente, pulita, costruttiva, per una militanza libera e aperta.
L'intervista mostra da subito un Davide Bono più realista del re: "Decisione attesa: non solo giusta, ma necessaria. Anzi io avrei fatto molto prima"; così si esprime sulla espulsione di Favia e della Salsi. Quando gli chiede il giornalista, dopo il fuori onda di Favia? "Era posticcio. Comunque anche prima. Favia, che rompeva le scatole a tutti, a settembre. Salsi subito dopo".
Ecco come Bono descrive Favia: "È un personaggio particolare: brigava, passava le giornate a parlar male: Grillo cattivo, Casaleggio cattivone... Gli stava antipatico". E ancora, udite udite: "Favia ha fatto di tutto per cacciare Casaleggio. E poi voleva far fuori anche Grillo. Voleva impadronirsi del movimento. Si è allargato un po' troppo, no?", e al giornalista che obietta un "chiedeva democrazia", sbotta: "Voleva candidarsi in Parlamento. Altro che ideali e democrazia! Puttanate".
L'attacco al padre e padrone per l'adepto Bono è sacrilegio, così anche Federica Salsi si prende le sue: "Di punto in bianco ha mostrato un grande interesse a mettersi in mostra in tv attaccando Grillo e Casaleggio. come impazzita di colpo". Ecco come dal capogruppo grillino viene descritta la colpa di Federica Salsi: "Contravveniva a una norma non scritta ma accettata". Non solo, Bono aggiunge "Io estenderei il divieto di andare nei talk show anche agli eletti, e per sempre". Vien da dire a quando l'istituzione di un'inquisizione grillina?
Ma ecco il punto, dove si può discutere? chiede l'intervistatore. Bono risponde: "Non abbiamo congressi. Ci sono assemblee locali per mandare critiche a Grillo e Casaleggio, che sempre le hanno recepite". Portare il cervello all'ammasso basta? Bono continua: "Le regole sono chiare fin dall'inizio: c'è un collegio di garanzia composto da due persone: Grillo e Casaleggio". Sì, avete letto bene. "Se non lo accetti e vuoi fare altro sei fuori". Del resto, dice Bono, "ci sono tanti partiti in cui puoi pensare di influire". Beh, si può cominciare a pensare che il paragone con Alba Dorata che gira nella rete non è poi tanto esagerato.
All'ultima memorabilia di Bono il giornalista de La Stampa osserva "Favia voleva influire qui". Bono commenta: "Voleva un movimento in cui il ragazzetto più in vista comanda su tutto... non è giusto che comandi chi ha più visibilità". Grillo ha più visibilità, ribatte il giornalista mettendo il dito nella piaga. "Ma Grillo ha quarant'anni di storia, ha fondato il movimento! Non confondiamo. Lui e Casaleggio non sono segretari di partito. Sono fondatori. Se uno decide di occuparsi di organizzazione, sbaglia. Fuori".
Fa venire il latte alle ginocchia, ma andiamo avanti. All'intervistatore che gli chiedeva se tutto ciò fosse democratico, Bono risponde: "Ormai i media hanno svuotato le parole. La domanda non ha senso, non so che cosa vuol dire democratico oggi". Ci sembrava di averlo capito; comunque, il giornalista gli chiede di scegliere lui una parola. Ecco: "Metodo sperimentale: niente segretari, niente responsabilità organizzative degli eletti". E gli iscritti decidono? "Neanche loro, certo". Dunque, solo Grillo e Casaleggio? "Sì, ma non entrano nel merito delle persone, delle liste". Sulle espulsioni sì! "Quando uno va palesemente contro il movimento...". Decidono da soli? "Come tutti i collegi di garanzia dei partiti". Lì i garanti sono eletti. "Ma nel nostro movimento non sono mica due passanti, Grillo e Casaleggio!". Proprietari. "Sì". Come cavia sottoposta al metodo "sperimentale" ha risposto bene, no? Come cavia.
Il giornalista de La Stampa coglie al volo quel "Sì": "Come Berlusconi". Bono si difende e difende il padre e padrone: "Paragone ingeneroso. Berlusconi è presidente e candidato premier, sceglie i candidati, tutto. Grillo e Casaleggio hanno un progetto, creano un contenitore, lo mettono a disposizione degli italiani e non vogliono vederlo distruggere da attacchi pretestuosi di quattro ragazzini". Nessun difetto? vien chiesto a Bono, e qui il pensiero si fa denso di contraddizioni: "Non è un metodo perfetto, ma c'è orizzontalità totale, piena autonomia degli eletti e due persone come garanti. Negli altri partiti non esiste la democrazia. Gli iscritti votano solo per cordate e c'è una struttura piramidale. Non è vero che i singoli contano. Il Pd è democratico? Vedi le primarie". Tre milioni di votanti. "E quindi?". Voi trentamila. "Non c'entra. Loro votavano il capo di una coalizione che non ha peso. Il nostro era un voto di persone iscritte on line". Il giornalista non se lo fa dire due volte e chiede: "Qual era la base elettorale?". Sentite la risposta: "Credo 250 mila, ma molti non hanno mandato la carta d'identità. In piazza ne avremmo portati 3-4 milioni, ma non avevamo soldi né apparato". Ahi!
Bono è alle corde: altre cose da correggere? "Lo staff di Grillo: piccolo". Come, come? Quanti sono? "Non so, una decina. Ci stiamo allargando, il nucleo organizzativo e il collegio di garanzia andranno aumentati, per esempio dagli eletti dopo i due mandati". Già , perché altrimenti, stante le regole, si buttano.
Siamo al punto topico dell'intervista. Inviterei chi, arrivato fin qui, pensasse ancora di votare il M5S, di leggere attentamente quanto resta. La domanda di Salvaggiulo è: "E i soldi dei futuri gruppi parlamentari gestiti da Grillo?". Bono risponde: "Regola condivisibile, comunicativamente non è stato il massimo, si poteva discutere successivamente". Ma chi fa le domande è fuori, dice il giornalista. "Siamo un po' strani, lo so, ma non vedo problemi di democrazia". Attenzione adesso: "Noi deleghiamo coscientemente organizzazione e comunicazione a livello nazionale a Grillo e Casaleggio. Il movimento nasce dal blog di Grillo gestito da Casaleggio. Se te ne accorgi dopo, o sei tonto o hai fini personalistici [capito?!]. Stiamo cercando di scrivere la storia del Paese e vai a rompere le palle su quisquilie che ci danneggiano?". Ma godetevi il finale.
Quisquilie? "Quisquilie. Siamo andati sempre bene, finora". Lo dice anche Berlusconi. "Ancora Berlusconi? E poi lui è solo, qui sono due...". Mamma mia! Che dire? Una preghiera, diffondete questo post. Facendo il verso a Bono, cerchiamo di scrivere una storia altra di questo povero Paese.
L'intervista mostra da subito un Davide Bono più realista del re: "Decisione attesa: non solo giusta, ma necessaria. Anzi io avrei fatto molto prima"; così si esprime sulla espulsione di Favia e della Salsi. Quando gli chiede il giornalista, dopo il fuori onda di Favia? "Era posticcio. Comunque anche prima. Favia, che rompeva le scatole a tutti, a settembre. Salsi subito dopo".
Ecco come Bono descrive Favia: "È un personaggio particolare: brigava, passava le giornate a parlar male: Grillo cattivo, Casaleggio cattivone... Gli stava antipatico". E ancora, udite udite: "Favia ha fatto di tutto per cacciare Casaleggio. E poi voleva far fuori anche Grillo. Voleva impadronirsi del movimento. Si è allargato un po' troppo, no?", e al giornalista che obietta un "chiedeva democrazia", sbotta: "Voleva candidarsi in Parlamento. Altro che ideali e democrazia! Puttanate".
L'attacco al padre e padrone per l'adepto Bono è sacrilegio, così anche Federica Salsi si prende le sue: "Di punto in bianco ha mostrato un grande interesse a mettersi in mostra in tv attaccando Grillo e Casaleggio. come impazzita di colpo". Ecco come dal capogruppo grillino viene descritta la colpa di Federica Salsi: "Contravveniva a una norma non scritta ma accettata". Non solo, Bono aggiunge "Io estenderei il divieto di andare nei talk show anche agli eletti, e per sempre". Vien da dire a quando l'istituzione di un'inquisizione grillina?
Ma ecco il punto, dove si può discutere? chiede l'intervistatore. Bono risponde: "Non abbiamo congressi. Ci sono assemblee locali per mandare critiche a Grillo e Casaleggio, che sempre le hanno recepite". Portare il cervello all'ammasso basta? Bono continua: "Le regole sono chiare fin dall'inizio: c'è un collegio di garanzia composto da due persone: Grillo e Casaleggio". Sì, avete letto bene. "Se non lo accetti e vuoi fare altro sei fuori". Del resto, dice Bono, "ci sono tanti partiti in cui puoi pensare di influire". Beh, si può cominciare a pensare che il paragone con Alba Dorata che gira nella rete non è poi tanto esagerato.
All'ultima memorabilia di Bono il giornalista de La Stampa osserva "Favia voleva influire qui". Bono commenta: "Voleva un movimento in cui il ragazzetto più in vista comanda su tutto... non è giusto che comandi chi ha più visibilità". Grillo ha più visibilità, ribatte il giornalista mettendo il dito nella piaga. "Ma Grillo ha quarant'anni di storia, ha fondato il movimento! Non confondiamo. Lui e Casaleggio non sono segretari di partito. Sono fondatori. Se uno decide di occuparsi di organizzazione, sbaglia. Fuori".
Fa venire il latte alle ginocchia, ma andiamo avanti. All'intervistatore che gli chiedeva se tutto ciò fosse democratico, Bono risponde: "Ormai i media hanno svuotato le parole. La domanda non ha senso, non so che cosa vuol dire democratico oggi". Ci sembrava di averlo capito; comunque, il giornalista gli chiede di scegliere lui una parola. Ecco: "Metodo sperimentale: niente segretari, niente responsabilità organizzative degli eletti". E gli iscritti decidono? "Neanche loro, certo". Dunque, solo Grillo e Casaleggio? "Sì, ma non entrano nel merito delle persone, delle liste". Sulle espulsioni sì! "Quando uno va palesemente contro il movimento...". Decidono da soli? "Come tutti i collegi di garanzia dei partiti". Lì i garanti sono eletti. "Ma nel nostro movimento non sono mica due passanti, Grillo e Casaleggio!". Proprietari. "Sì". Come cavia sottoposta al metodo "sperimentale" ha risposto bene, no? Come cavia.
Il giornalista de La Stampa coglie al volo quel "Sì": "Come Berlusconi". Bono si difende e difende il padre e padrone: "Paragone ingeneroso. Berlusconi è presidente e candidato premier, sceglie i candidati, tutto. Grillo e Casaleggio hanno un progetto, creano un contenitore, lo mettono a disposizione degli italiani e non vogliono vederlo distruggere da attacchi pretestuosi di quattro ragazzini". Nessun difetto? vien chiesto a Bono, e qui il pensiero si fa denso di contraddizioni: "Non è un metodo perfetto, ma c'è orizzontalità totale, piena autonomia degli eletti e due persone come garanti. Negli altri partiti non esiste la democrazia. Gli iscritti votano solo per cordate e c'è una struttura piramidale. Non è vero che i singoli contano. Il Pd è democratico? Vedi le primarie". Tre milioni di votanti. "E quindi?". Voi trentamila. "Non c'entra. Loro votavano il capo di una coalizione che non ha peso. Il nostro era un voto di persone iscritte on line". Il giornalista non se lo fa dire due volte e chiede: "Qual era la base elettorale?". Sentite la risposta: "Credo 250 mila, ma molti non hanno mandato la carta d'identità. In piazza ne avremmo portati 3-4 milioni, ma non avevamo soldi né apparato". Ahi!
Bono è alle corde: altre cose da correggere? "Lo staff di Grillo: piccolo". Come, come? Quanti sono? "Non so, una decina. Ci stiamo allargando, il nucleo organizzativo e il collegio di garanzia andranno aumentati, per esempio dagli eletti dopo i due mandati". Già , perché altrimenti, stante le regole, si buttano.
Siamo al punto topico dell'intervista. Inviterei chi, arrivato fin qui, pensasse ancora di votare il M5S, di leggere attentamente quanto resta. La domanda di Salvaggiulo è: "E i soldi dei futuri gruppi parlamentari gestiti da Grillo?". Bono risponde: "Regola condivisibile, comunicativamente non è stato il massimo, si poteva discutere successivamente". Ma chi fa le domande è fuori, dice il giornalista. "Siamo un po' strani, lo so, ma non vedo problemi di democrazia". Attenzione adesso: "Noi deleghiamo coscientemente organizzazione e comunicazione a livello nazionale a Grillo e Casaleggio. Il movimento nasce dal blog di Grillo gestito da Casaleggio. Se te ne accorgi dopo, o sei tonto o hai fini personalistici [capito?!]. Stiamo cercando di scrivere la storia del Paese e vai a rompere le palle su quisquilie che ci danneggiano?". Ma godetevi il finale.
Quisquilie? "Quisquilie. Siamo andati sempre bene, finora". Lo dice anche Berlusconi. "Ancora Berlusconi? E poi lui è solo, qui sono due...". Mamma mia! Che dire? Una preghiera, diffondete questo post. Facendo il verso a Bono, cerchiamo di scrivere una storia altra di questo povero Paese.
Paranoia d'un capo
Andrea Fabozzi è l'autore di un articolo pubblicato ieri su il manifesto, intitolato "La dannazione del capo". Il "capo" non è Monti o Berlusconi, è Grillo. Scrive Fabozzi: "Immaginate il prossimo parlamento. Il Movimento 5 stelle non manda più in tilt i sondaggi, ma è ancora in doppia cifra. Avrà molti deputati e senatori. E un capo, formalmente riconosciuto da tutti quelli che si sono candidati alle primarie online (e pure da quelli, non tantissimi, che hanno potuto votarli). Il capo sarà fuori dal parlamento: è incandidabile per il «non statuto» e per il decreto liste pulite. Però avrà potere assoluto sugli eletti dal popolo".
Un potere che, dice Fabozzi, sarà esercitato, e come sarà esercitato: "Quando gli girerà - e gli girerà - farà le sue scomuniche. Toglierà il diritto di parlare in nome della lista, del gruppo, del simbolo. Potrà farlo: è tutto roba sua". Cosa significa questo? Semplice, continua Fabozzi: "Per quante ragioni possa avere il Movimento 5 stelle, per quante battaglie abbia azzeccato Grillo, votarli significherà eleggere parlamentari ricattabili. Non liberi. Allineati o espulsi. È per questo che i sondaggi calano".
Fabozzi osserva giustamente che un po' dello spirito dei grillini è diventato "lo spirito del tempo, ha contagiato la campagna di «rottamazione». Ad esempio, dice, "adesso il Pd farà altre primarie, o una specie, anche per i parlamentari. Non tutti potranno votare, ma saranno certo più dei 30mila approvati da Casaleggio". E ancora il Movimento arancione che "incrocia molto la vicenda grillina, ma ne costituisce un'alternativa".
Dunque? Beh, "se fosse in grado di vederla in positivo, Grillo potrebbe concludere di aver cominciato a vincere. Invece teme la concorrenza. Ha bisogno che le vacche siano tutte nere perché possa essere notte". Fabozzi ricorda: "L'abbiamo visto fare il diavolo a quattro contro i tentativi di cambiare la legge elettorale, lo sentiamo urlare perché è rimasta la vecchia legge. Con tre righe dal tinello ha definito «il giorno dei morti viventi» le primarie del centrosinistra. E via scivolando. Fino al video di lunedì, più grave delle espulsioni di ieri".
Già, "di fronte all'annuncio che «chi fa domande» e «parla di democrazia» sarà mandato «fuori dalle palle» cosa c'è da aggiungere? si chiede Fabozzi che sottolinea: "Bisogna invece moltiplicarle le domande, tanto più che la gestione Casaleggio ne provoca sempre di nuove e serie. Domande, risposte nessuna".
Per Fabozzi "è bene che la contraddizione esploda", quella "tra una militanza libera e aperta e un capo prepotente e proprietario". Anzi, dice: "Ci si potrebbe augurare un'autoriforma popolare. Non fosse che nei partiti personali sono i fondatori a liberarsi del popolo". Niente di più vero.
Un potere che, dice Fabozzi, sarà esercitato, e come sarà esercitato: "Quando gli girerà - e gli girerà - farà le sue scomuniche. Toglierà il diritto di parlare in nome della lista, del gruppo, del simbolo. Potrà farlo: è tutto roba sua". Cosa significa questo? Semplice, continua Fabozzi: "Per quante ragioni possa avere il Movimento 5 stelle, per quante battaglie abbia azzeccato Grillo, votarli significherà eleggere parlamentari ricattabili. Non liberi. Allineati o espulsi. È per questo che i sondaggi calano".
Fabozzi osserva giustamente che un po' dello spirito dei grillini è diventato "lo spirito del tempo, ha contagiato la campagna di «rottamazione». Ad esempio, dice, "adesso il Pd farà altre primarie, o una specie, anche per i parlamentari. Non tutti potranno votare, ma saranno certo più dei 30mila approvati da Casaleggio". E ancora il Movimento arancione che "incrocia molto la vicenda grillina, ma ne costituisce un'alternativa".
Dunque? Beh, "se fosse in grado di vederla in positivo, Grillo potrebbe concludere di aver cominciato a vincere. Invece teme la concorrenza. Ha bisogno che le vacche siano tutte nere perché possa essere notte". Fabozzi ricorda: "L'abbiamo visto fare il diavolo a quattro contro i tentativi di cambiare la legge elettorale, lo sentiamo urlare perché è rimasta la vecchia legge. Con tre righe dal tinello ha definito «il giorno dei morti viventi» le primarie del centrosinistra. E via scivolando. Fino al video di lunedì, più grave delle espulsioni di ieri".
Già, "di fronte all'annuncio che «chi fa domande» e «parla di democrazia» sarà mandato «fuori dalle palle» cosa c'è da aggiungere? si chiede Fabozzi che sottolinea: "Bisogna invece moltiplicarle le domande, tanto più che la gestione Casaleggio ne provoca sempre di nuove e serie. Domande, risposte nessuna".
Per Fabozzi "è bene che la contraddizione esploda", quella "tra una militanza libera e aperta e un capo prepotente e proprietario". Anzi, dice: "Ci si potrebbe augurare un'autoriforma popolare. Non fosse che nei partiti personali sono i fondatori a liberarsi del popolo". Niente di più vero.
I numeri del fallimento
Il governo dei tecnici ha fatto bene o ha fallito? È una domanda che ci si deve porre, soprattutto da parte di chi intende votare alle prossime politiche un'armata raccogliticcia guidata direttamente o indirettamente dal Brancaleone dei tecnici, Monti. Il Giornale online oggi pubblica un'ìnfografica ed un articolo che evidenziano il sostanziale fallimento del "governo del presidente", insediato dal Capo dello Stato dopo aver indotto l'allora premier in carica Berlusconi alle dimissioni "spontanee".
Il Giornale, in buona sostanza, vuole dimostrare l'asserto del Cavaliere che ha detto nella sua critica al governo dei tecnici: "Non voglio dire che ci sono stati degli errori ma Monti ha seguito una politica troppo germanocentrica. Gli indicatori economici sono tutti peggiorati, non sta a me dare giudizi, ma i dati sono tutti negativi", portandosi a casa dal suo competitor l'accusa di populismo". L'articolo di Indini per il suo snocciolare dati che corroborano la tesi del Cavaliere, fa riferimento ai report trimestrali che l'Istat, la Banca d'Italia, il Centro studi di Confindustria e la Cgia di Mestre pubblicano periodicamente.
I grafici, che riprodurrò qui, in un ordine diverso rispetto l'infografica originale, sono, di per sé, più che eloquenti sui numeri ed autoesplicativi. Comincio da quello che sottolinea l'incremento delle tasse e dei suoi effetti riportando dati sui consumi della Cgia di Mestre riferiti alla differenza rispetto l'anno precedente e sulla pressione fiscale del Centro Studi di Confindustria.
Dice Giuseppe Bortolussi, il presidente della Cgia di Mestre, citato nell'articolo: "Con Monti la tassazione è aumentata in maniera ingiustificata penalizzando soprattutto le famiglie e le piccole imprese; a mio avviso doveva avere più coraggio nel tagliare la spesa improduttiva che invece è stata solo sfiorata. Se a questo si aggiunge la stretta creditizia che continua a penalizzare proprio il mondo dell’impresa, il quadro generale è disastroso". Vediamo la grafica che sottolinea la situazione sul fronte del lavoro.
Come scrive Indini, "anche il mercato del lavoro ha visto un netto peggioramento, nonostante la riforma portata avanti dal ministro del Welfare Elsa Fornero che avrebbe appunto dovuto favorire l'occupazione. Durante il governo Berlusconi, la disoccupazione era addirittura scesa passando dall'8,4% nel 2010 all'8% nel 2011, per poi balzare di nuovo in avanti con Monti toccando il 10,6%. "Se la gente non compra più, osserva il presidente della Cgia, le imprese devono ridurre la produzione e conseguentemente occorre meno personale. Non è un caso che le uniche filiere produttive che ancora reggono la sfida sono quelle che operano nei mercati esteri".
Nel 2011 il prodotto interno lordo era in crescita (+0,4%), quest'anno è letteralmente crollato (-2,3%). Una contrazione che ha subito inciso sui consumi, come si è detto, che sono passati da +0,1% a -3,4%. Il debito pubblico italiano, che a ottobre ha superato i 2mila miliardi, è aumentato da inizio anno (a gennaio 2012 era pari a 1.943,455 miliardi) di 71,238 miliardi. Il 3,7% in più dall’inizio dell’anno.
E veniamo all'unico indicatore favorevole a Monti, e non è a caso che a pranzo e a cena con i telegiornali mangiamo pane e spread.
I punti chiave del grafico: A. Berlusconi si dimette e dopo pochi giorni viene sostituito da Monti; B. La BCE scende in campo per calmierare gli spread dei vari stati; C. Termina l'influenza della BCE; D. La BCE ridiscende in campo acquistando titoli. E. Berlusconi decide di scendere in campo e Monti si dimette.
Resta da chiedersi, come evidenzia Indini, che utilità ha avere il differenziale sotto la quota psicologica dei 300 punti base, se il debito pubblico continua a salire. E poi non era stato lo stesso Berlusconi a far notare che "l'uso che viene fatto dai poteri forti dello spread è un imbroglio per abbattere una maggioranza votata dagli italiani"? L'ultimo grafico mostra altri due punti dolenti, l'export e la fiducia dei consumatori in caduta libera anche e soprattutto col governo Monti.
Il Giornale, in buona sostanza, vuole dimostrare l'asserto del Cavaliere che ha detto nella sua critica al governo dei tecnici: "Non voglio dire che ci sono stati degli errori ma Monti ha seguito una politica troppo germanocentrica. Gli indicatori economici sono tutti peggiorati, non sta a me dare giudizi, ma i dati sono tutti negativi", portandosi a casa dal suo competitor l'accusa di populismo". L'articolo di Indini per il suo snocciolare dati che corroborano la tesi del Cavaliere, fa riferimento ai report trimestrali che l'Istat, la Banca d'Italia, il Centro studi di Confindustria e la Cgia di Mestre pubblicano periodicamente.
I grafici, che riprodurrò qui, in un ordine diverso rispetto l'infografica originale, sono, di per sé, più che eloquenti sui numeri ed autoesplicativi. Comincio da quello che sottolinea l'incremento delle tasse e dei suoi effetti riportando dati sui consumi della Cgia di Mestre riferiti alla differenza rispetto l'anno precedente e sulla pressione fiscale del Centro Studi di Confindustria.
Dice Giuseppe Bortolussi, il presidente della Cgia di Mestre, citato nell'articolo: "Con Monti la tassazione è aumentata in maniera ingiustificata penalizzando soprattutto le famiglie e le piccole imprese; a mio avviso doveva avere più coraggio nel tagliare la spesa improduttiva che invece è stata solo sfiorata. Se a questo si aggiunge la stretta creditizia che continua a penalizzare proprio il mondo dell’impresa, il quadro generale è disastroso". Vediamo la grafica che sottolinea la situazione sul fronte del lavoro.
Come scrive Indini, "anche il mercato del lavoro ha visto un netto peggioramento, nonostante la riforma portata avanti dal ministro del Welfare Elsa Fornero che avrebbe appunto dovuto favorire l'occupazione. Durante il governo Berlusconi, la disoccupazione era addirittura scesa passando dall'8,4% nel 2010 all'8% nel 2011, per poi balzare di nuovo in avanti con Monti toccando il 10,6%. "Se la gente non compra più, osserva il presidente della Cgia, le imprese devono ridurre la produzione e conseguentemente occorre meno personale. Non è un caso che le uniche filiere produttive che ancora reggono la sfida sono quelle che operano nei mercati esteri".
Nel 2011 il prodotto interno lordo era in crescita (+0,4%), quest'anno è letteralmente crollato (-2,3%). Una contrazione che ha subito inciso sui consumi, come si è detto, che sono passati da +0,1% a -3,4%. Il debito pubblico italiano, che a ottobre ha superato i 2mila miliardi, è aumentato da inizio anno (a gennaio 2012 era pari a 1.943,455 miliardi) di 71,238 miliardi. Il 3,7% in più dall’inizio dell’anno.
E veniamo all'unico indicatore favorevole a Monti, e non è a caso che a pranzo e a cena con i telegiornali mangiamo pane e spread.
I punti chiave del grafico: A. Berlusconi si dimette e dopo pochi giorni viene sostituito da Monti; B. La BCE scende in campo per calmierare gli spread dei vari stati; C. Termina l'influenza della BCE; D. La BCE ridiscende in campo acquistando titoli. E. Berlusconi decide di scendere in campo e Monti si dimette.
Resta da chiedersi, come evidenzia Indini, che utilità ha avere il differenziale sotto la quota psicologica dei 300 punti base, se il debito pubblico continua a salire. E poi non era stato lo stesso Berlusconi a far notare che "l'uso che viene fatto dai poteri forti dello spread è un imbroglio per abbattere una maggioranza votata dagli italiani"? L'ultimo grafico mostra altri due punti dolenti, l'export e la fiducia dei consumatori in caduta libera anche e soprattutto col governo Monti.
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E adesso Napolitano conceda la grazia
Riprendo direttamente da ilGiornale.it la notizia dell'assoluzione di Alessandro Sallusti dalla accusa di evasione che aveva solletticato il tanto zelo della corporazione dei giornalisti nel sospenderlo dall'Ordine. Scrive Luca Fazzo: "Assolto «perché il fatto non sussiste». Alessandro Sallusti è innocente dell'accusa di evasione, per cui era stato arrestato e per cui il pubblico ministero Piero Basilone aveva avanzato questa mattina al termine della sua requisitoria la richiesta di sei mesi e venti giorni di carcere. Sallusti era accusato di avere lasciato sabato scorso la casa della sua compagna Daniela Santanché, dove era stato appena portato dalla polizia per scontare agli arresti domiciliari una condanna per diffamazione". Più avanti nell'articolo, il giornalista racconta dopo la requisitoria del pm è stato il turno dei legali di Sallusti, Valentina Ramella e Ignazio La Russa, "che hanno chiesto l'assoluzione di Sallusti «perché il fatto non sussiste», spiegando che la presunta evasione è stato solo un gesto simbolico di protesta. I legali hanno depositato al giudice la copia di un filmato in cui si vede chiaramente che Sallusti non aveva alcuna intenzione di darsi alla fuga, ma semplicemente di compiere un gesto simbolico di protesta contro gli arresti domiciliari disposti d'autorità e contro la sua volontá su richiesta della Procura di Milano". Come si ricorderà, Sallusti aveva invece manifestato, dopo che la condanna per diffamazione era divenuta definitiva, la determinazione di espiare la pena in carcere come qualunque altro detenuto. Sottolinea Fazzo: "Oggi, evidentemente, il giudice La Rocca ha ritenuto impossibile condannare per evasione un arrestato che voleva a tutti i costi andare in carcere".
Figura di m... a parte dell'Ordine, oggi Sallusti può tornare a firmare il Giornale come direttore responsabile. E inoltre, come conclude Fazzo, "la possibilità di azzerare la sua condanna per diffamazione con una grazia del presidente Napolitano torna all'ordine del giorno".
Figura di m... a parte dell'Ordine, oggi Sallusti può tornare a firmare il Giornale come direttore responsabile. E inoltre, come conclude Fazzo, "la possibilità di azzerare la sua condanna per diffamazione con una grazia del presidente Napolitano torna all'ordine del giorno".
giovedì 13 dicembre 2012
La via democratica
Poiché il "golpe" costituzionale può essere fatto solo una volta - la seconda sarebbe molto più difficile camuffarlo anche ad occhi disattenti, - adesso ci si prova per via democratica con le elezioni, scomodando addirittura il PPE. Con una sorta di DC degli anni duemila, non proprio una "democrazia cristiana", che, checché se ne dica, ha fatto il suo tempo, ma un "democratic center", che raccolga tutto l'usato sicuro della politica e residuati della Confindustria, i vari Casini, Fini, Montezemolo, e chi più ne ha più ne metta; e naturalmente tanti tanti berluscones (perché di loro non se ne può fare proprio a meno), e ancora, perché no?, magari lo stesso Berlusconi. I "moderati", cioè, come si definiscono politicamente gli odierni "fratelli d'Italia". Guarda caso signori dei media e delle televisioni, l'«oppio dei popoli» moderno. Lo strumento giusto per operazioni agit-prop di massa in vista delle elezioni.
Mi piacerebbe, in chiusura, celiare dicendo che forse agli amici europei qualcuno dovrebbe, prima o poi, trovare il coraggio di dire che la gente d'Italia tra Alpi e Appennini ne ha fin troppo di "Monti". Se le pressioni, che ancora oggi sono arrivate da Bruxelles, non significassero ben altro che una "Europa dei popoli".
Mi piacerebbe, in chiusura, celiare dicendo che forse agli amici europei qualcuno dovrebbe, prima o poi, trovare il coraggio di dire che la gente d'Italia tra Alpi e Appennini ne ha fin troppo di "Monti". Se le pressioni, che ancora oggi sono arrivate da Bruxelles, non significassero ben altro che una "Europa dei popoli".
Come i medici del Medioevo
"È come la medicina del Medioevo: salassavano i pazienti per curarli e, quando il sanguinamento li faceva star peggio, lì salassavano ancor di più"; sarà "semplicismo" quello di Paul Krugman come definisce Fabrizio Forquet sul giornale della Confindustria, con cui il Nobel 2008 per l'Economia "scarnifica le politiche attuate in Italia [che] sa di accademico e paternalistico". Ma lo si vada a dire agli operai, ai pensionati, al ceto medio che quella cura inutile (che tale sia gli stessi quotidiani pilotati dai poteri forti dell'economia e della finanza, anche oggi, ce lo sbattono sotto il naso) hanno subito, se non è una metafora non solo realistica ma reale e concreta. Soprattutto quando è ben noto quel "debito verso il 130 per cento del Pil e uno spread stabilmente oltre i 300 punti" non è stato causato da loro, ma da chi non ha dato finora una goccia di sangue per uscire dalla crisi cercata dalla propria stessa follia. E dai, continuiamo pure a esaltare Monti e i suoi "fratelli"! Magari lo si facesse Capo dello Stato, Monti, risparmieremmo uno stipendio.
Dirlo è doveroso
Durissima Margherita Boniver sul provvedimento dell'Ordine dei giornalisti nei confronti del direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, parole riportate dal Corriere della Sera: "Inaudita e incomprensibile la sentenza dell'Ordine dei giornalisti che ha sospeso Sallusti. Questa presa di didtanza di un collega «reo», in seconda battuta, di omesso controllo di un articolo diffamatorio spiega senza mezze misure il tragico doppiopesismo che da molto tempo vige nell'Ordine. Provo vergogna per quei giornalisti che di fronte alla gravissima detenzione di Sallusti trovano il tempo per prenderne le distanze comportandosi come un tribunale etico".
Anche Daniele Capezzone, temprato dalla militanza radicale, parole anche le sue riportate dal Corriere, è netto: "L'ordine dei giornalisti va semplicemente abolito. Nei Paesi liberali, non esiste nulla di simile. Non esiste alcuna ragione per tenere in piedi questo emblema del più vecchio spirito corporativo, che rappresenta solo una barriera all'accesso alla professione e al libero esercizio dell'attività giornalistica".
Degno di evidenza è anche un passo dell'articolo di Caterina Malavenda in prima pagina, oggi, su Il Sole 24 Ore in cui si evidenzia sia "paradossale" (un eufemismo per non dire a ragione di peggio? un "ad personam", per dirne una, che ci starebbe?) la decisione della dirigenza della corporazione: "L'articolo 39 è una norma la cui opportunità è indiscutibile, avendo la funzione di privare dei suoi effetti l'iscrizione all'albo di tutti i giornalisti sospettati di gravi reati e, perciò, detenuti in attesa di giudizio; ma finisce per assumere profili paradossali, se applicata a chi ha commesso un reato, con l'intenzione di compiere solo un «gesto simbolico», come l'interessato ha subito dichiarato al suo giudice. Un'evasione, dunque, tutt'altro che mirata a sottrarsi alla detenzione che, anzi l'imputato avrebbe voluto ancor più rigida, come dimostra la richiesta, più volte reiterata, di poter scontare la pena in carcere". E con molta onestà intellettuale la giornalista del Sole aggiunge: "Una chiave di lettura non usuale che consente almeno di ipotizzare, fra i vari esiti possibili, anche una sentenza favorevole".
Vittorio Feltri, in prima pagina su Il Giornale, non le manda a dire: "Un accanimento che umilia il diritto", titola il suo pezzo e nell'incipit: "Piove sul bagnato. Quando un uomo cade in disgrazia, c'è sempre qualcuno o qualcosa che gli impedisce di rialzarsi". E venendo subito ai motivi tecnico-giuridici di sospensione dall'Ordine che impediscono a Sallusti da oggi di assumere la responsabilità di una qualsivoglia pubblicazione, non ha peli sulla lingua: "Queste sono le norme, la cui interpretazione è affidata a persone non infallibili e talvolta, forse, in malafede".
Feltri poi, passando alla condanna a 14 mesi di reclusione per un articolo giudicato diffamatorio, scrive: "La diffamazione a mezzo stampa è un reato molto diffuso, commesso spesso da qualunque direttore e da numerosi giornalisti. C'è chi ha una copiosa collezione di condanne. Eppure, nonostante la legge preveda la galera (da uno a sei anni), da quando esiste la Repubblica italiana solo una volta un collega è finito in carcere, nel 1954: Giovannino Guareschi, il creatore di don Camillo che ispirò una serie felice di film. Uno scrittore di destra, guarda caso".
Feltri si chiede il perché Sallusti sì e altri no: "I giudici, riconoscendo l'eccessivo rigore della legge, per oltre mezzo secolo hanno trovato il modo di applicarla dolcemente: una multa e via andare. Se una regola crudele viene aggirata per anni è ovvio che vada cambiata, se non altro per evitare che un magistrato se ne serva per colpire un imputato in particolare, suscitando il sospetto di avercela con lui". Feltri insiste nel chiedere "come mai negli ultimi 58 anni soltanto due giornalisti, entrambi di destra, sono stati privati della libertà per uno straccio di articolo". E alla fin fine una risposta al lettore viene data: "Quando la soluzione [del Parlamento che aveva pensato di mettere una pezza all'enormità] sembrava essere stata trovata, il provvedimento (che avrebbe allineato l'Italia agli altri Paesi europei) invece di essere approvato è stato bocciato per volontà di parecchi senatori ignoranti in materia giornalistica". Col risultato non solo che "Sallusti non è stato salvato" (cosa che forse inconfessabilmente si desiderava), ma anche "tutti i suoi colleghi continuano a essere a rischio: il loro destino dipende dalle toghe chiamate a giudicare le cause di diffamazione in cui sono imputati".
Ma veniamo al fatto di ieri. Scrive Feltri: "Come se non bastasse che Alessandro si trovi da dieci giorni agli arresti domiciliari, i meccanismi della burocrazia corporativa (medievale) si sono avviati e lo hanno stritolato con la tipica indifferenza di ogni organismo avente funzioni disciplinari". E Feltri argomenta il suo disappunto: "Uno ha perso la libertà ingiustamente? Non importa. Occorre anche punirlo con pene «accessorie» (ma gravi). Quali? L'Ordine dei giornalisti, nella sua spietata asetticità, ha osservato alla lettera le proprie pandette, le quali recitano che un iscritto bastonato giudiziariamente debba anche essere disoccupato, quindi senza stipendio. In altre parole: la sospensione dall'albo (per una durata imprecisata) vieta a chi l'ha subita di esercitare la professione in qualsiasi forma. E qui siamo all'assurdità: tutti i cittadini possono scrivere (retribuiti o no) sui giornali, tranne i giornalisti sospesi o radiati dall'Ordine. La Costituzione ridotta a strame".
L'articolo di Feltri non è solo reprimenda, ma contiene proposte precise: "abolizione dell'Ordine professionale, che limita la libertà di manifestare il pensiero e di scrivere a chidesideri farlo senza lacci e lacciuoli; cancellazione immediata dal codice penale della detenzione per i reati di diffamazione e opinione; introduzione dell'obbligo di rettifica secondo un protocollo in cui non si trascurino i tempi e le modalità di pubblicazione; fissazione dei risarcimenti in base a criteri oggettivi". Sono riforme autenticamente liberali necessarie ed urgenti, si può concordare appieno.
Quanto a Sallusti, "la sua vicenda si commenta da sé", Feltri non esprime dubbi: "Siamo di fronte a un accanimento che ripugna la coscienza". E, dunque, l'appello: "Lasciate in pace questo nostro collega, tiratelo fuori dal cul-de-sac in cui l'avete infilato, e fatelo lavorare. Per lui il Giornale è ragione di vita". Vorremmo, vorrei che questo appello fosse accolto nella rete dalle tante organizzazione che della rete fanno uno strumento di pressione, che si schierano per la libertà di espressione del pensiero attraverso qualunque mezzo, le tante a cui non ho mai lesinato una firma; così come è stato fatto per altri casi altrettanto emblematici, senza stare lì a soppesare la propria e altrui appartenenza a questa o quella area politica.
Anche Daniele Capezzone, temprato dalla militanza radicale, parole anche le sue riportate dal Corriere, è netto: "L'ordine dei giornalisti va semplicemente abolito. Nei Paesi liberali, non esiste nulla di simile. Non esiste alcuna ragione per tenere in piedi questo emblema del più vecchio spirito corporativo, che rappresenta solo una barriera all'accesso alla professione e al libero esercizio dell'attività giornalistica".
Degno di evidenza è anche un passo dell'articolo di Caterina Malavenda in prima pagina, oggi, su Il Sole 24 Ore in cui si evidenzia sia "paradossale" (un eufemismo per non dire a ragione di peggio? un "ad personam", per dirne una, che ci starebbe?) la decisione della dirigenza della corporazione: "L'articolo 39 è una norma la cui opportunità è indiscutibile, avendo la funzione di privare dei suoi effetti l'iscrizione all'albo di tutti i giornalisti sospettati di gravi reati e, perciò, detenuti in attesa di giudizio; ma finisce per assumere profili paradossali, se applicata a chi ha commesso un reato, con l'intenzione di compiere solo un «gesto simbolico», come l'interessato ha subito dichiarato al suo giudice. Un'evasione, dunque, tutt'altro che mirata a sottrarsi alla detenzione che, anzi l'imputato avrebbe voluto ancor più rigida, come dimostra la richiesta, più volte reiterata, di poter scontare la pena in carcere". E con molta onestà intellettuale la giornalista del Sole aggiunge: "Una chiave di lettura non usuale che consente almeno di ipotizzare, fra i vari esiti possibili, anche una sentenza favorevole".
Vittorio Feltri, in prima pagina su Il Giornale, non le manda a dire: "Un accanimento che umilia il diritto", titola il suo pezzo e nell'incipit: "Piove sul bagnato. Quando un uomo cade in disgrazia, c'è sempre qualcuno o qualcosa che gli impedisce di rialzarsi". E venendo subito ai motivi tecnico-giuridici di sospensione dall'Ordine che impediscono a Sallusti da oggi di assumere la responsabilità di una qualsivoglia pubblicazione, non ha peli sulla lingua: "Queste sono le norme, la cui interpretazione è affidata a persone non infallibili e talvolta, forse, in malafede".
Feltri poi, passando alla condanna a 14 mesi di reclusione per un articolo giudicato diffamatorio, scrive: "La diffamazione a mezzo stampa è un reato molto diffuso, commesso spesso da qualunque direttore e da numerosi giornalisti. C'è chi ha una copiosa collezione di condanne. Eppure, nonostante la legge preveda la galera (da uno a sei anni), da quando esiste la Repubblica italiana solo una volta un collega è finito in carcere, nel 1954: Giovannino Guareschi, il creatore di don Camillo che ispirò una serie felice di film. Uno scrittore di destra, guarda caso".
Feltri si chiede il perché Sallusti sì e altri no: "I giudici, riconoscendo l'eccessivo rigore della legge, per oltre mezzo secolo hanno trovato il modo di applicarla dolcemente: una multa e via andare. Se una regola crudele viene aggirata per anni è ovvio che vada cambiata, se non altro per evitare che un magistrato se ne serva per colpire un imputato in particolare, suscitando il sospetto di avercela con lui". Feltri insiste nel chiedere "come mai negli ultimi 58 anni soltanto due giornalisti, entrambi di destra, sono stati privati della libertà per uno straccio di articolo". E alla fin fine una risposta al lettore viene data: "Quando la soluzione [del Parlamento che aveva pensato di mettere una pezza all'enormità] sembrava essere stata trovata, il provvedimento (che avrebbe allineato l'Italia agli altri Paesi europei) invece di essere approvato è stato bocciato per volontà di parecchi senatori ignoranti in materia giornalistica". Col risultato non solo che "Sallusti non è stato salvato" (cosa che forse inconfessabilmente si desiderava), ma anche "tutti i suoi colleghi continuano a essere a rischio: il loro destino dipende dalle toghe chiamate a giudicare le cause di diffamazione in cui sono imputati".
Ma veniamo al fatto di ieri. Scrive Feltri: "Come se non bastasse che Alessandro si trovi da dieci giorni agli arresti domiciliari, i meccanismi della burocrazia corporativa (medievale) si sono avviati e lo hanno stritolato con la tipica indifferenza di ogni organismo avente funzioni disciplinari". E Feltri argomenta il suo disappunto: "Uno ha perso la libertà ingiustamente? Non importa. Occorre anche punirlo con pene «accessorie» (ma gravi). Quali? L'Ordine dei giornalisti, nella sua spietata asetticità, ha osservato alla lettera le proprie pandette, le quali recitano che un iscritto bastonato giudiziariamente debba anche essere disoccupato, quindi senza stipendio. In altre parole: la sospensione dall'albo (per una durata imprecisata) vieta a chi l'ha subita di esercitare la professione in qualsiasi forma. E qui siamo all'assurdità: tutti i cittadini possono scrivere (retribuiti o no) sui giornali, tranne i giornalisti sospesi o radiati dall'Ordine. La Costituzione ridotta a strame".
L'articolo di Feltri non è solo reprimenda, ma contiene proposte precise: "abolizione dell'Ordine professionale, che limita la libertà di manifestare il pensiero e di scrivere a chidesideri farlo senza lacci e lacciuoli; cancellazione immediata dal codice penale della detenzione per i reati di diffamazione e opinione; introduzione dell'obbligo di rettifica secondo un protocollo in cui non si trascurino i tempi e le modalità di pubblicazione; fissazione dei risarcimenti in base a criteri oggettivi". Sono riforme autenticamente liberali necessarie ed urgenti, si può concordare appieno.
Quanto a Sallusti, "la sua vicenda si commenta da sé", Feltri non esprime dubbi: "Siamo di fronte a un accanimento che ripugna la coscienza". E, dunque, l'appello: "Lasciate in pace questo nostro collega, tiratelo fuori dal cul-de-sac in cui l'avete infilato, e fatelo lavorare. Per lui il Giornale è ragione di vita". Vorremmo, vorrei che questo appello fosse accolto nella rete dalle tante organizzazione che della rete fanno uno strumento di pressione, che si schierano per la libertà di espressione del pensiero attraverso qualunque mezzo, le tante a cui non ho mai lesinato una firma; così come è stato fatto per altri casi altrettanto emblematici, senza stare lì a soppesare la propria e altrui appartenenza a questa o quella area politica.
Un caso sempre più emblematico
La vicenda Sallusti, con la sospensione dall'ordine, seppure prevista da una legge, quella che istituisce l'Ordine dei giornalisti, discutibile e sempre discussa, presa con particolare zelo in una repubblica delle banane qual è il nostro paese, sta diventando un caso emblematico, un sicuro campanello d'allarme che si unisce ad altri che di questi tempi hanno suonato e suonano, e che segnalano i pericoli per la libera espressione del pensiero nel nostro scalcagnato stivale, quando si esce dagli schemi di quel pensiero unico che ha l'imprimatur politico dei poteri dominanti. Trovo giusto, utile e opportuno riprendere integralmente dal Giornale l'odierno pezzo di Alessandro Sallusti sulla sua sospensione dall'ordine, intitolato "L'ultimo oltraggio. Vogliono impedirmi di fare il giornalista" e contribuire nel piccolo a diffonderlo.
L'Ordine dei giornalisti di Milano mi ha sospeso dalla professione e, non contento, ha aperto pure un procedimento disciplinare con il malcelato intento di radiarmi dalla professione. A memoria, nessun giornalista condannato in via definitiva per diffamazione è mai stato sottoposto a un simile trattamento. L'Ordine, contraddicendo le dichiarazioni pubbliche dei giorni scorsi di totale solidarietà, si trincera dietro la necessità di rispettare atti dovuti, comportandosi così come il peggior burocrate di Stato. La cosa non mi stupisce, conoscendo l'aria politica che tira da quelle parti. Semmai mi domando a che titolo e con che scopo il presidente nazionale Iacopino fosse fisicamente al mio fianco pochi giorni fa al Tribunale di Milano durante la prima udienza del processo per la tentata evasione.
Sta di fatto che colleghi a me sconosciuti sono riusciti a fare ciò che neppure magistrati sciagurati hanno avuto il coraggio di osare: impedirmi di scrivere ed esercitare la professione. Se pensano di spaventarmi o intimorirmi si sbagliano di grosso. Non mi fanno paura. Semmai si coprono di ridicolo loro e trascinano nella vergogna l'intera categoria: giornalista espulso per un articolo mai scritto.
Come diceva Sciascia, al mondo gli uomini si classificano in: uomini, mezzi uomini, ominicchi quaquaraquà. Bene, io provo con forza a rimanere nella prima categoria. I colleghi dell'Ordine dei giornalisti, e non solo loro, si distribuiscano pure dove meglio credono. Affari loro. La mia libertà non è nella loro disponibilità.
L'Ordine dei giornalisti di Milano mi ha sospeso dalla professione e, non contento, ha aperto pure un procedimento disciplinare con il malcelato intento di radiarmi dalla professione. A memoria, nessun giornalista condannato in via definitiva per diffamazione è mai stato sottoposto a un simile trattamento. L'Ordine, contraddicendo le dichiarazioni pubbliche dei giorni scorsi di totale solidarietà, si trincera dietro la necessità di rispettare atti dovuti, comportandosi così come il peggior burocrate di Stato. La cosa non mi stupisce, conoscendo l'aria politica che tira da quelle parti. Semmai mi domando a che titolo e con che scopo il presidente nazionale Iacopino fosse fisicamente al mio fianco pochi giorni fa al Tribunale di Milano durante la prima udienza del processo per la tentata evasione.
Sta di fatto che colleghi a me sconosciuti sono riusciti a fare ciò che neppure magistrati sciagurati hanno avuto il coraggio di osare: impedirmi di scrivere ed esercitare la professione. Se pensano di spaventarmi o intimorirmi si sbagliano di grosso. Non mi fanno paura. Semmai si coprono di ridicolo loro e trascinano nella vergogna l'intera categoria: giornalista espulso per un articolo mai scritto.
Come diceva Sciascia, al mondo gli uomini si classificano in: uomini, mezzi uomini, ominicchi quaquaraquà. Bene, io provo con forza a rimanere nella prima categoria. I colleghi dell'Ordine dei giornalisti, e non solo loro, si distribuiscano pure dove meglio credono. Affari loro. La mia libertà non è nella loro disponibilità.
mercoledì 12 dicembre 2012
Sgominata una cyber gang internazionale
L'FBI è riuscita ad arrestare una organizzazione criminale internazionale con l'aiuto di Facebook. Secondo quanto viene riportato dai media, dieci persone sono sospettate di aver infettato 11 milioni di computer nel mondo con un malware che ha defraudato le vittime complessivamente per più di 850 milioni di dollari.
Il team che garantisce la sicurezza di Facebook ha dato assistenza alle autorità americane nell'individuare da dove partivano gli attacchi e nell'identificare quali utenti potevano essere stati colpiti. La collaborazione ha portato ad eseguire arresti in paesi di tutto il mondo, compresi il Regno Unito, gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda. Altri arresti sono stati eseguiti in Bosnia Erzegovina, in Croazia, in Macedonia e in Perù.
Gli hacker usavano "Butterfly Botnet", un sistema che viola carte di credito, acconti bancari e altre informazioni personali attraverso un "esercito zombie" di computer inizializzati per ridirigere la trasmissione di dati (inclusi spam e virus) a altri computer sulla rete. I loro utenti, come tutte le altre vittime, non sono consapevoli che i computer sono violati per scopi criminali.
L'FBI ha reso noto che gli utenti di Facebook sono stati l'obiettivo di un malware chiamato "Yahos" per un periodo di due anni, tra il 2010 e l'ottobre 2012. Gli investigatori americani suggeriscono a tutti gli utenti di aggiornare regolarmente il sistema operativo del proprio computer, di usare un software antivirus e, più importante ancora, di disconnetersi dalla rete periodicamente per non cadere vittime di attacchi cibernetici simili.
Il team che garantisce la sicurezza di Facebook ha dato assistenza alle autorità americane nell'individuare da dove partivano gli attacchi e nell'identificare quali utenti potevano essere stati colpiti. La collaborazione ha portato ad eseguire arresti in paesi di tutto il mondo, compresi il Regno Unito, gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda. Altri arresti sono stati eseguiti in Bosnia Erzegovina, in Croazia, in Macedonia e in Perù.
Gli hacker usavano "Butterfly Botnet", un sistema che viola carte di credito, acconti bancari e altre informazioni personali attraverso un "esercito zombie" di computer inizializzati per ridirigere la trasmissione di dati (inclusi spam e virus) a altri computer sulla rete. I loro utenti, come tutte le altre vittime, non sono consapevoli che i computer sono violati per scopi criminali.
L'FBI ha reso noto che gli utenti di Facebook sono stati l'obiettivo di un malware chiamato "Yahos" per un periodo di due anni, tra il 2010 e l'ottobre 2012. Gli investigatori americani suggeriscono a tutti gli utenti di aggiornare regolarmente il sistema operativo del proprio computer, di usare un software antivirus e, più importante ancora, di disconnetersi dalla rete periodicamente per non cadere vittime di attacchi cibernetici simili.
A disposizione
"È dai tempi della Repubblica sociale italiana che la Germania non osava tanto nei confronti dell'Italia", scriveva oggi su Il Giornale Alessandro Sallusti, riferendosi all'intervento inusuale della cancelliera tedesca, Angela Merkel, negli affari interni italiani, la quale di fatto ha auspicato un non ritorno di Berlusconi al governo del paese.
"Ricordate? - aggiunge Sallusti, - Mussolini liberato sul Gran Sasso dai paracadutisti tedeschi e insediato sotto tutela a Salò, con ministri e generali fantocci che dovevano obbedire agli ordini che arrivavano da Berlino". E ancora: "Sappiamo come andò a finire. Mussolini travestito da tedesco fermato sulla via di fuga, poi Giulino di Mezzegra e Piazzale Loreto".
"Se Dio vuole, dice Sallusti, i tempi sono cambiati. Niente paracadutisti, armi e cappi". Già, "ma la guerra è la stessa, la si combatte con le banche, lo spread, i giornali". E il "Mussolini" oggi nelle mani della Germania è Monti: "Se la generale Merkel perdesse il suo soldatino Monti, addio ai sogni egemonici a costo zero. E quindi giù bastonate e ricatti all'Italia libera, come se il risultato delle nostre elezioni valesse meno del suo pensiero".
Ma Sallusti ce l'ha soprattutto con i giornali che fanno propaganda tedesca: "Passi La Repubblica", dice, evidentemente per lui caso senza speranza, "ma fa tristezza vedere il Corriere della Sera, presunto quotidiano della borghesia del Nord, svendere i suoi lettori e il Paese intero ai voleri della Germania". Ed ecco ancora la stessa metafora: "Ferrucio de Bortoli, il direttore, si comporta come il Mussolini repubblichino: si aggrappa alla Germania per tentare di negare agli italiani il diritto di essere liberi, liberi di scegliere nelle urne chi dovrà governarli, senza condizionamenti esterni. Evoca lo spread così come il Duce imbrogliava, per convincere il suo popolo, fantasticando sull'arma segreta di Hitler che avrebbe cambiato i destini della guerra".
"Paradossi della storia", conclude. E cioè, per Sallusti, "la sinistra costretta a ripetere gli errori del fascismo, il centrodestra a combattere una guerra di liberazione". Bene, ma che dire allora del "Se Monti si candida faccio un passo indietro" del Berlusconi di oggi? Contraddizione? No? No, Andrea Indini Indini sul Giornale lo spiega così: "In Italia esistono due schieramenti che, dal 1948 a oggi, si contrappongono: da una parte i moderati, dall'altra la sinistra. Come ha sempre fatto, anche alle prossime elezioni Silvio Berlusconi è pronto a impegnarsi perché il rinnovato asse tra Pier Luigi Bersani e Nichi Venola non riesca a mettere le mani su Palazzo Chigi. Proprio per questo, il Cavaliere è disposto a fare un passo indietro qualora Mario Monti decida di candidarsi alle prossime politiche riunendo, in questo modo, tutte le forze moderate". Già, proprio semplice. E poi l'Italia può stare tranquilla: "Da parte mia, ha affermato Berlusconi, c’era e c’è una giusta esigenza di consegnarmi ad un periodo di riposo, ma se c’è bisogno di una mia attiva presenza io ho sempre detto che sono a disposizione". D'accordo, però, almeno lo si dicesse prima al povero Sallusti...
"Ricordate? - aggiunge Sallusti, - Mussolini liberato sul Gran Sasso dai paracadutisti tedeschi e insediato sotto tutela a Salò, con ministri e generali fantocci che dovevano obbedire agli ordini che arrivavano da Berlino". E ancora: "Sappiamo come andò a finire. Mussolini travestito da tedesco fermato sulla via di fuga, poi Giulino di Mezzegra e Piazzale Loreto".
"Se Dio vuole, dice Sallusti, i tempi sono cambiati. Niente paracadutisti, armi e cappi". Già, "ma la guerra è la stessa, la si combatte con le banche, lo spread, i giornali". E il "Mussolini" oggi nelle mani della Germania è Monti: "Se la generale Merkel perdesse il suo soldatino Monti, addio ai sogni egemonici a costo zero. E quindi giù bastonate e ricatti all'Italia libera, come se il risultato delle nostre elezioni valesse meno del suo pensiero".
Ma Sallusti ce l'ha soprattutto con i giornali che fanno propaganda tedesca: "Passi La Repubblica", dice, evidentemente per lui caso senza speranza, "ma fa tristezza vedere il Corriere della Sera, presunto quotidiano della borghesia del Nord, svendere i suoi lettori e il Paese intero ai voleri della Germania". Ed ecco ancora la stessa metafora: "Ferrucio de Bortoli, il direttore, si comporta come il Mussolini repubblichino: si aggrappa alla Germania per tentare di negare agli italiani il diritto di essere liberi, liberi di scegliere nelle urne chi dovrà governarli, senza condizionamenti esterni. Evoca lo spread così come il Duce imbrogliava, per convincere il suo popolo, fantasticando sull'arma segreta di Hitler che avrebbe cambiato i destini della guerra".
"Paradossi della storia", conclude. E cioè, per Sallusti, "la sinistra costretta a ripetere gli errori del fascismo, il centrodestra a combattere una guerra di liberazione". Bene, ma che dire allora del "Se Monti si candida faccio un passo indietro" del Berlusconi di oggi? Contraddizione? No? No, Andrea Indini Indini sul Giornale lo spiega così: "In Italia esistono due schieramenti che, dal 1948 a oggi, si contrappongono: da una parte i moderati, dall'altra la sinistra. Come ha sempre fatto, anche alle prossime elezioni Silvio Berlusconi è pronto a impegnarsi perché il rinnovato asse tra Pier Luigi Bersani e Nichi Venola non riesca a mettere le mani su Palazzo Chigi. Proprio per questo, il Cavaliere è disposto a fare un passo indietro qualora Mario Monti decida di candidarsi alle prossime politiche riunendo, in questo modo, tutte le forze moderate". Già, proprio semplice. E poi l'Italia può stare tranquilla: "Da parte mia, ha affermato Berlusconi, c’era e c’è una giusta esigenza di consegnarmi ad un periodo di riposo, ma se c’è bisogno di una mia attiva presenza io ho sempre detto che sono a disposizione". D'accordo, però, almeno lo si dicesse prima al povero Sallusti...
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Per una Lombardia sostenibile, economicamente equa e socialmente solidale
Sono tre i nomi in lizza alle primarie del centrosinistra per la candidatura a governatore della Regione Lombardia: Umberto Ambrosoli, Alessandra Kusterman e Andrea Di Stefano. Mi sento di spezzare una lancia in favore di quest'ultimo.
Andrea Di Stefano, 48 anni, giornalista, dirige la rivista Valori, promossa da Banca Etica, e collabora con diversi quotidiani, La Repubblica, il Fatto Quotidiano, Rainews24, nonché con i giornali locali de L'Espresso e Popolare Network. Membro della commissione di beneficenza della Fondazione Cariplo, si occupa di comunicazione per la Novamont Spa. Con Carlo Monguzzi e Emilio Molinari ha costituito il primo osservatorio sulle ecomafie. Non a caso il suo programma prevede lo stop al consumo del suolo in Lombardia e la restituzione all'Arpa di tutti i poteri di controllo sui reati ambientali. Sempre riguardo al territorio, Andrea Di Stefano propone una particolare attenzione alla mobilità alternativa ed ecologica, con un piano speciale per il trasporto su ferro, e all'efficienza energetica.
Nel campo del lavoro, Di Stefano propone un intervento pubblico attraverso il "reddito minimo garantito", a favore di disoccupati, inoccupati e precari, con la condizione che sia accettato l'intervento del Centro per l'impiego. Un'altra proposta di Di Stefano è l'intervento della Regione nella gestione delle grandi crisi aziendali, eventualmente finanziando le pratiche per la continuità. Di Stefano ritiene ancora che sia necessario favorire lo sviluppo di settori industriali ad alto tasso tecnologico, dare sostegno all'economia solidale, favorire l'imprenditoria over50 e dare vita alla creazione di un nuovo patto generazionale.
Per Di Stefano il settore pubblico deve essere prioritario nella sanità e nella scuola. Per la prima si propone la razionalizzazione della gestione della sanità lombarda con l'eliminazione delle sovrapposizioni tra Asl e aziende ospedaliere ed un nuovo piano socio sanitario. Per la scuola la fine della "Dote Scuola", una progressiva diminuzione dei fondi alle scuole private, il controllo e la ridistribuzione dei fondi per l'edilizia scolastica con un piano concordato con le province.
Infine, sulla questione trasparenza, Di Stefano propone un bilancio regionale partecipato, una regione aperta e mai più appalto esclusivo.
Si vota sabato 15 dicembre dalle 8 alle 20. (A Brembio, presso la Sala Civica del Palazzo Comunale). Non occorre preregistrarsi: si versa un euro, si firma la carta di intenti e si sceglie il candidato. Possono votare tutti i residenti in Lombardia, inclusi gli immigrati con permesso di soggiorno. La coalizione di centro sinistra in Lombardia è allargata a Idv e Rifondazione comunista. I soldi raccolti con queste primarie, tolti quelli per le spese, finanzieranno la campagna elettorale del vincente.
Andrea Di Stefano, 48 anni, giornalista, dirige la rivista Valori, promossa da Banca Etica, e collabora con diversi quotidiani, La Repubblica, il Fatto Quotidiano, Rainews24, nonché con i giornali locali de L'Espresso e Popolare Network. Membro della commissione di beneficenza della Fondazione Cariplo, si occupa di comunicazione per la Novamont Spa. Con Carlo Monguzzi e Emilio Molinari ha costituito il primo osservatorio sulle ecomafie. Non a caso il suo programma prevede lo stop al consumo del suolo in Lombardia e la restituzione all'Arpa di tutti i poteri di controllo sui reati ambientali. Sempre riguardo al territorio, Andrea Di Stefano propone una particolare attenzione alla mobilità alternativa ed ecologica, con un piano speciale per il trasporto su ferro, e all'efficienza energetica.
Nel campo del lavoro, Di Stefano propone un intervento pubblico attraverso il "reddito minimo garantito", a favore di disoccupati, inoccupati e precari, con la condizione che sia accettato l'intervento del Centro per l'impiego. Un'altra proposta di Di Stefano è l'intervento della Regione nella gestione delle grandi crisi aziendali, eventualmente finanziando le pratiche per la continuità. Di Stefano ritiene ancora che sia necessario favorire lo sviluppo di settori industriali ad alto tasso tecnologico, dare sostegno all'economia solidale, favorire l'imprenditoria over50 e dare vita alla creazione di un nuovo patto generazionale.
Per Di Stefano il settore pubblico deve essere prioritario nella sanità e nella scuola. Per la prima si propone la razionalizzazione della gestione della sanità lombarda con l'eliminazione delle sovrapposizioni tra Asl e aziende ospedaliere ed un nuovo piano socio sanitario. Per la scuola la fine della "Dote Scuola", una progressiva diminuzione dei fondi alle scuole private, il controllo e la ridistribuzione dei fondi per l'edilizia scolastica con un piano concordato con le province.
Infine, sulla questione trasparenza, Di Stefano propone un bilancio regionale partecipato, una regione aperta e mai più appalto esclusivo.
Si vota sabato 15 dicembre dalle 8 alle 20. (A Brembio, presso la Sala Civica del Palazzo Comunale). Non occorre preregistrarsi: si versa un euro, si firma la carta di intenti e si sceglie il candidato. Possono votare tutti i residenti in Lombardia, inclusi gli immigrati con permesso di soggiorno. La coalizione di centro sinistra in Lombardia è allargata a Idv e Rifondazione comunista. I soldi raccolti con queste primarie, tolti quelli per le spese, finanzieranno la campagna elettorale del vincente.
In piena crisi di nervi
Il Movimento 5 Stelle come Alba Dorata, il movimento greco di estrema destra, questo è il paragone che gira sulla rete. Beppe Grillo su tutte le furie perché ai suoi militanti non sono piaciuti né metodo né modalità di partecipazione alle cosiddette "parlamentarie", spacciate per il top della democrazia dal guru nel suo blog. Altro che le primarie del Pd!
Ed ecco che in piena crisi di nervi il comico genovese porta via il pallone, si dà alle espulsioni. Così dopo Valentino Tavolazzi, oggi è il turno di Giovanni Favia, quello che in un fuorionda aveva denunciato la mancanza di democrazia nel movimento grillino ("Nel MoVimento non c'è democrazia, decidono tutto Grillo e Casaleggio"); ed è il turno di Federica Salsi, che era stata messa sotto accusa per la sua partecipazione a Ballarò. Grillo, proprietario del marchio, ha tolto loro l'uso del logo, come scrive sul suo blog: "Li prego di astenersi per il futuro a qualificare la loro azione politica con riferimento al M5S o alla mia figura".
"Se c'è qualcuno che reputa che io non sia democratico, che Casaleggio si tenga i soldi, che io sia disonesto, allora prende e va fuori dalle palle". Insomma, come ha commentato Valentino Tavolazzi, "siamo all'inizio del crollo", un'implosione da disillusione e stanchezza del ripetere come un mantra e sottostare all'imperativo del capo, "Credere, obbedire, taggare", come qualcuno ha sintetizzato rivisitando lo slogan di Mussolini. Perché in fin dei conti Grillo non ha fatto altro che fare affidamento e sfruttare nella rete, che rispecchia il paese reale, ciò che rilevava Indro Montanelli, una citazione ritrovata in uno dei tanti commenti, "la mancanza di anticorpi all'infezione dei totalitarismi, che sono l'autentica vocazione degli italiani. I quali, non appena sentono odor di padrone, accorrono in suo soccorso e persino quando fanno le rivoluzioni tentano di farle in accordo con lui, oppure nel nome d’un altro di più sicuro affidamento. Di italiani allergici al padrone ho conosciuto solo i vecchi anarchici, che infatti più che alle galere fornivano clienti ai manicomi".
Serenella Spalla, storica attivista del movimento, ha aperto una pagina Facebook, "Solo 5 Stelle", per ritornare alle origini. Intervistata da Repubblica ha detto: "Se il Movimento 5 Stelle deve diventare la nostra Alba Dorata meglio uscirne subito. Grillo ha completamente perso il controllo. All'inizio, quando mi sono avvicinata al Meetup, non era affatto così".
Federica Salsi che a Affaritaliani.it ha commentato: "Paradossalmente i partiti, con tutti i disastri che hanno arrecato a questo Paese, sono più controllabili dai cittadini di quanto lo siano Grillo e Casaleggio", riferendosi alle parlamentarie ha posto il dubbio: "Vien da pensare se dietro al blog di Grillo ci sia la volontà di portare avanti un progetto politico o la volontà di acquisire maggiore visibilità da parte del blog per aumentare gli affari che girano attorno al blog di Beppe". Un sospetto che da tempo aleggiava ben palpabile. Come testimonia, ad esempio, questo video pubblicato su Youtube nel maggio di quest'anno.
Ed ecco che in piena crisi di nervi il comico genovese porta via il pallone, si dà alle espulsioni. Così dopo Valentino Tavolazzi, oggi è il turno di Giovanni Favia, quello che in un fuorionda aveva denunciato la mancanza di democrazia nel movimento grillino ("Nel MoVimento non c'è democrazia, decidono tutto Grillo e Casaleggio"); ed è il turno di Federica Salsi, che era stata messa sotto accusa per la sua partecipazione a Ballarò. Grillo, proprietario del marchio, ha tolto loro l'uso del logo, come scrive sul suo blog: "Li prego di astenersi per il futuro a qualificare la loro azione politica con riferimento al M5S o alla mia figura".
Serenella Spalla, storica attivista del movimento, ha aperto una pagina Facebook, "Solo 5 Stelle", per ritornare alle origini. Intervistata da Repubblica ha detto: "Se il Movimento 5 Stelle deve diventare la nostra Alba Dorata meglio uscirne subito. Grillo ha completamente perso il controllo. All'inizio, quando mi sono avvicinata al Meetup, non era affatto così".
Federica Salsi che a Affaritaliani.it ha commentato: "Paradossalmente i partiti, con tutti i disastri che hanno arrecato a questo Paese, sono più controllabili dai cittadini di quanto lo siano Grillo e Casaleggio", riferendosi alle parlamentarie ha posto il dubbio: "Vien da pensare se dietro al blog di Grillo ci sia la volontà di portare avanti un progetto politico o la volontà di acquisire maggiore visibilità da parte del blog per aumentare gli affari che girano attorno al blog di Beppe". Un sospetto che da tempo aleggiava ben palpabile. Come testimonia, ad esempio, questo video pubblicato su Youtube nel maggio di quest'anno.
martedì 11 dicembre 2012
I Sallusti nel mondo
È record per il numero di giornalisti imprigionati in tutto il mondo nel 2012: 232 giornalisti, fotografi e editori imprigionati in 27 paesi all'inizio di questo mese. Lo denuncia un rapporto pubblicato oggi dal Commitee to Protect Journalists (CPJ), che ha sede negli Stati Uniti.
La Turchia, tra i 27 stati, è il peggiore con 49 giornalisti dietro le sbarre. Il Comitato parla di dozzine di editori e giornalisti curdi incarcerati con accuse collegate al terrorismo e altri giornalisti "accusati di coinvolgimento in complotti antigovernativi". Secondo stato in questa classifica è l'Iran con 45 giornalisti incarcerati. Terza è la Cina con 32 giornalisti incarcerati. Riguardo a quest'ultimo paese, il comitato afferma che la Cina usa accuse di attività antistatale per incarcerare scrittori che esprimono le loro opinioni politiche e documentano le tensioni etniche. Il CPJ ha rilevato che l'ampio uso di accuse di attività antistatale come il terrorismo, il tradimento e la sovversione, sono i più comuni strumenti impiegati contro i giornalisti in tutto il mondo.
La maggioranza dei 232 giornalisti imprigionati sono stati perseguiti dai loro governi nazionali e tre sono i giornalisti stranieri imprigionati all'estero. Le altre sette nazioni nella top ten dei paesi nemici della libera informazione sono Eritrea, Siria, Vietnam, Azerbaijan, Etiopia, Uzbekistan e Arabia Saudita. Nessun giornalista è detenuto in Russia o negli Stati Uniti, ma il Comitato riporta che si crede che il giornalista americano Austin Tice sia attualmente tenuto in custodia in Siria.
Lo scorso anno l'attivismo del Comitato ha ottenuto nel mondo, con il suo supporto legale a giornalisti incarcerati, il rilascio di almeno 58 giornalisti.
La Turchia, tra i 27 stati, è il peggiore con 49 giornalisti dietro le sbarre. Il Comitato parla di dozzine di editori e giornalisti curdi incarcerati con accuse collegate al terrorismo e altri giornalisti "accusati di coinvolgimento in complotti antigovernativi". Secondo stato in questa classifica è l'Iran con 45 giornalisti incarcerati. Terza è la Cina con 32 giornalisti incarcerati. Riguardo a quest'ultimo paese, il comitato afferma che la Cina usa accuse di attività antistatale per incarcerare scrittori che esprimono le loro opinioni politiche e documentano le tensioni etniche. Il CPJ ha rilevato che l'ampio uso di accuse di attività antistatale come il terrorismo, il tradimento e la sovversione, sono i più comuni strumenti impiegati contro i giornalisti in tutto il mondo.
La maggioranza dei 232 giornalisti imprigionati sono stati perseguiti dai loro governi nazionali e tre sono i giornalisti stranieri imprigionati all'estero. Le altre sette nazioni nella top ten dei paesi nemici della libera informazione sono Eritrea, Siria, Vietnam, Azerbaijan, Etiopia, Uzbekistan e Arabia Saudita. Nessun giornalista è detenuto in Russia o negli Stati Uniti, ma il Comitato riporta che si crede che il giornalista americano Austin Tice sia attualmente tenuto in custodia in Siria.
Lo scorso anno l'attivismo del Comitato ha ottenuto nel mondo, con il suo supporto legale a giornalisti incarcerati, il rilascio di almeno 58 giornalisti.
Un forno chiamato Terra
Le emissioni industriali di anidride carbonica sono aumentate nel 2012 del 2,6%. Lo dice lo studio del Global Carbon Project, un rapporto annuale sulla produzione di CO2 da parte del genere umano, pubblicato sulla rivista Nature Climate Change. Le emissioni nel 2011 erano aumentate del 3,1%, incamminando il mondo verso un pericoloso cambiamento climatico di cui abbiamo cominciato a risentire nettamente gli effetti.
Il totale delle emissioni nel 2012 è stato stimato dai ricercatori in 35,6 miliardi di tonnellate. Lo studio, che si concentra sulle emissioni dovute all'uso di combustibili fossili e della produzione di cemento, evidenzia come l'incremento possa causare un ulteriore riscaldamento del pianeta tra i 4°C e i 6°C. Poche grandi nazioni in via di sviluppo stanno alimentando la crescita delle emissioni, dice lo studio, anche se la crisi finanziaria internazionale sta generando, da parte di Cina, India, Stati Uniti e altri paesi, piani d'incentivazione a lungo termine delle energie rinnovabili per tentare di ridurre le emissioni di anidride carbonica. Gli ultimi dati disponibili indicano che i livelli di anidride carbonica a livello mondiale sono più alti del 54% rispetto a quelli del 1990.
Il totale delle emissioni nel 2012 è stato stimato dai ricercatori in 35,6 miliardi di tonnellate. Lo studio, che si concentra sulle emissioni dovute all'uso di combustibili fossili e della produzione di cemento, evidenzia come l'incremento possa causare un ulteriore riscaldamento del pianeta tra i 4°C e i 6°C. Poche grandi nazioni in via di sviluppo stanno alimentando la crescita delle emissioni, dice lo studio, anche se la crisi finanziaria internazionale sta generando, da parte di Cina, India, Stati Uniti e altri paesi, piani d'incentivazione a lungo termine delle energie rinnovabili per tentare di ridurre le emissioni di anidride carbonica. Gli ultimi dati disponibili indicano che i livelli di anidride carbonica a livello mondiale sono più alti del 54% rispetto a quelli del 1990.
Il babau di tendenza
Il Secolo d'Italia pubblica oggi un'intervista a Giacomo Vaciago, economista, docente di Politica economica alla Cattolica di Milano, tema le dimissioni di Monti e l'allarme spread che il professore della Cattolica dice ingiustificato.
"In questi giorni tutti si chiedevano «chi stacca la spina?». Alla fine ha deciso Berlusconi, ma qualcuno doveva pur farlo...", le prime parole virgolettate di Vaciago. "Ma che pensavano [quella mezza Europa che stigmatizza l'Italia per il fattaccio], che a un certo punto tutti chinavano il capo e andavano a casa? Ma nel mondo vero ciò non esiste. Mese più, mese meno, stiamo entrando in una campagna elettorale che sarà «vivace». Per cui andava chiusa quest'esperienza: come facevi sennò la mattina ad andare alla Camera a votare e il pomeriggio in piazza a manifestare contro? Avranno tirato a sorte... ed è toccato a Berlusconi".
Ma veniamo allo spread, che nell'intervista è centrale. Vediamo cosa dice Vaciago: "Domenica sera avevo detto che lo spread sarebbe salito di 10-20 punti. In effetti è aumentato un po' di più. Ma tornerà indietro. Non sono cambiati i parametri di riferimento: la diagnosi dei mercati resta quella di un Paese che ha bisogno di un lungo periodo per ripartire. Dobbiamo aspettarci, quindi, che chi governerà nei prossimi cinque anni risolva la situazione". E quanto al panico da spread: "Non dobbiamo farci prendere dall'ansia del quotidiano. Il problema del Paese è la mancata crescita, per cui bisogna capire cosa serve fare nei prossimi quindici. Dopodiché non è che un giorno cambia molto. La stessa valutazione di un titolo decennale è soggetta a una lunga serie di oscillazioni, un mese più o in meno di governo sposta poca. Oggi, semplicemente, qualcuno ha venduto, qualcuno ha comprato: e tra qualche tempo si saprà chi ha fatto un affare e chi no. I mercati, anche qui semplicemente, ballano molto".
Semplicemente, insomma, semplicemente smettiamola di farci venire l'angoscia ogni volta che ascoltiamo il Tg di Mentana, così solito e solerte, chissà perché, ad agitare il babau dello spread.
"In questi giorni tutti si chiedevano «chi stacca la spina?». Alla fine ha deciso Berlusconi, ma qualcuno doveva pur farlo...", le prime parole virgolettate di Vaciago. "Ma che pensavano [quella mezza Europa che stigmatizza l'Italia per il fattaccio], che a un certo punto tutti chinavano il capo e andavano a casa? Ma nel mondo vero ciò non esiste. Mese più, mese meno, stiamo entrando in una campagna elettorale che sarà «vivace». Per cui andava chiusa quest'esperienza: come facevi sennò la mattina ad andare alla Camera a votare e il pomeriggio in piazza a manifestare contro? Avranno tirato a sorte... ed è toccato a Berlusconi".
Ma veniamo allo spread, che nell'intervista è centrale. Vediamo cosa dice Vaciago: "Domenica sera avevo detto che lo spread sarebbe salito di 10-20 punti. In effetti è aumentato un po' di più. Ma tornerà indietro. Non sono cambiati i parametri di riferimento: la diagnosi dei mercati resta quella di un Paese che ha bisogno di un lungo periodo per ripartire. Dobbiamo aspettarci, quindi, che chi governerà nei prossimi cinque anni risolva la situazione". E quanto al panico da spread: "Non dobbiamo farci prendere dall'ansia del quotidiano. Il problema del Paese è la mancata crescita, per cui bisogna capire cosa serve fare nei prossimi quindici. Dopodiché non è che un giorno cambia molto. La stessa valutazione di un titolo decennale è soggetta a una lunga serie di oscillazioni, un mese più o in meno di governo sposta poca. Oggi, semplicemente, qualcuno ha venduto, qualcuno ha comprato: e tra qualche tempo si saprà chi ha fatto un affare e chi no. I mercati, anche qui semplicemente, ballano molto".
Semplicemente, insomma, semplicemente smettiamola di farci venire l'angoscia ogni volta che ascoltiamo il Tg di Mentana, così solito e solerte, chissà perché, ad agitare il babau dello spread.
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Tafazzismo italiota
"Buon senso vorrebbe che la classe politica mettesse l'interesse nazionale davanti a tutto. Succede ovunque, in Germania, in Francia e persino in Grecia in tempi recenti. In Italia, e non da oggi, è tutta un'altra storia". comincia così l'analisi di Antonio Signorini sul Giornale, un articolo dal titolo ben significativo: "Quei tifosi dello spread che vogliono l'Italia ko per dare la colpa al Cav", il cui contenuto è così sintetizzato nel sommario: "Da Napolitano, Casini e Bersani messaggi contradditori: fanno di tutto per associare il tonfo della Borsa al ritorno di Berlusconi".
"Capita addirittura di vedere, prosegue Signorini, pezzi di istituzioni, personalità con incarichi di rilievo che non si fanno scrupoli a sfidare la suscettibilità dei mercati rafforzando i pregiudizi che ancora gravano sul Paese". E aggiunge: "Lo stesso premier Mario Monti si è ritagliato un ruolo nel lanciare messaggi contraddittori. Ieri con un'intervista a Repubblica per spiegare le dimissioni, ha detto di essere «preoccupato naturalmente non per me ma per quel che vedo». Dichiarazioni quantomeno irrituali per un premier dimissionario di un paese che era e resta sotto il tiro dei mercati". E più avanti: "Il premier preferisce parlare del G8 di Cannes, quando l'Italia «fu messa alle strette». Potrebbe citare gli studi di Confindustria che riconoscono come, al netto della speculazione, il livello appropriato dello spread dovrebbe attestarsi sui 164 punti, invece preferisce informare i mercati della sua preoccupazione".
E Signorini sottolinea che "il solo annuncio delle dimissioni, che poi concretamente si tradurranno nell'anticipo di un mese della scadenza della legislatura, è bastato a fare schizzare il differenziale tra i Bund tedeschi e i Btp italiani oltre i 360 punti in soli due giorni". Che, Signorini precisa, sono "livelli non distanti da quelli che ci hanno accompagnato per tutto il mandato del governo, prima della svolta imposta dal presidente della Bce Mario Draghi alla politica europea". Nel settembre scorso, si ricorderà, Draghi intervenne con il via libera agli acquisti illimitati di titoli di debito in funzione anti speculazione.
La diagnosi del male che affligge la nostra classe politica, per Signorini, è un "autolesionismo molto mediterraneo". E specifica: "Se c'è un avversario da demolire, e in questo caso è Silvio Berlusconi che si vuole candidare, regalare 60 punti di spread, pari a una perdita di circa 24 miliardi in un anno, alla speculazione rappresenta un danno collaterale".
Ed ecco la lista della spesa dei politici disfattisti. Il posto d'onore nelle citazioni di Signorini spetta a Casini che ha commentato così la speculazione: "I mercati non sono entità astratte, ma investitori in carne ed ossa che non hanno fiducia in un'Italia governata dai populismi". Cioè, evidenzia Signorini, per il montiano leader Udc "la responsabilità è preventivamente di Berlusconi, insomma, o della sinistra, fino a quando i centristi non ci si alleeranno e diventerà, magicamente, affidabile". E dopo Casini, al posto d'onore personaggi di sinistra come l'ex Idv Massimo Donadi, per il quale se lo spread sale la colpa è del Cav: "La ridiscesa in campo di Berlusconi e l'accelerazione sulla crisi hanno messo in fibrillazione i mercati". E all'ex Idv, Signorini affianca il governatore toscano Enrico Rossi: "Crolla la borsa e lo spread vola oltre 350. È tornato Berlusconi". E acuto è il commento del commentatore del Giornale: "Si potrebbe obiettare, con molta più ragione, che i mercati temono semmai il partito che è in testa ai sondaggi, cioè quello al quale è iscritto lo stesso Rossi, il Pd".
Ma la ciliegina nell'articolo di Signorini è l'osservazione sull'atteggiamento del Capo dello Stato, aggiunto lui pure alla lista per quel suo «vedremo cosa faranno i mercati». Sottolinea con tratto grosso Signorini: "Un altro capo dello Stato avrebbe dato ampie rassicurazioni sull'affidabilità del suo Paese".
Controcorrente Signorini cita Luca Ricolfi che "ieri si è fatto tre domande fondamentali". Ricordiamole. Prima domanda: la situazione è davvero peggiore che 13 mesi fa, quando Berlusconi fu costretto a lasciare? Seconda domanda: la situazione sarebbe oggi migliore se al posto di Monti fosse rimasto Berlusconi? Terza domanda: se Monti avesse governato in modo diverso, oggi staremo meglio di come stiamo? Le risposte di Ricolfi motivate nel suo articolo su La Stampa sono rispettivamente: Sì, No, Sì. "Fuori dal coro", le definisce Signorini. Certo se estrapolate dal contesto dell'articolo, ma se lasciate dove si trovano, solo un onesto puntello di una sorta di apologia montiana che Ricolfi chiude così: "Ecco perché io stesso, che del governo Monti ho criticato non poche parole, opere, e soprattutto ommissioni, non posso che rendergli l'onore delle armi. Non so se Monti ha salvato l'Italia, ma sono piuttosto sicuro che - senza di lui - oggi saremmo messi ancora peggio di come siamo". Amen. D'un morto (politicamente inteso), com'è prassi dei coccodrilli redazionali, è sconveniente dir male.
"Capita addirittura di vedere, prosegue Signorini, pezzi di istituzioni, personalità con incarichi di rilievo che non si fanno scrupoli a sfidare la suscettibilità dei mercati rafforzando i pregiudizi che ancora gravano sul Paese". E aggiunge: "Lo stesso premier Mario Monti si è ritagliato un ruolo nel lanciare messaggi contraddittori. Ieri con un'intervista a Repubblica per spiegare le dimissioni, ha detto di essere «preoccupato naturalmente non per me ma per quel che vedo». Dichiarazioni quantomeno irrituali per un premier dimissionario di un paese che era e resta sotto il tiro dei mercati". E più avanti: "Il premier preferisce parlare del G8 di Cannes, quando l'Italia «fu messa alle strette». Potrebbe citare gli studi di Confindustria che riconoscono come, al netto della speculazione, il livello appropriato dello spread dovrebbe attestarsi sui 164 punti, invece preferisce informare i mercati della sua preoccupazione".
E Signorini sottolinea che "il solo annuncio delle dimissioni, che poi concretamente si tradurranno nell'anticipo di un mese della scadenza della legislatura, è bastato a fare schizzare il differenziale tra i Bund tedeschi e i Btp italiani oltre i 360 punti in soli due giorni". Che, Signorini precisa, sono "livelli non distanti da quelli che ci hanno accompagnato per tutto il mandato del governo, prima della svolta imposta dal presidente della Bce Mario Draghi alla politica europea". Nel settembre scorso, si ricorderà, Draghi intervenne con il via libera agli acquisti illimitati di titoli di debito in funzione anti speculazione.
La diagnosi del male che affligge la nostra classe politica, per Signorini, è un "autolesionismo molto mediterraneo". E specifica: "Se c'è un avversario da demolire, e in questo caso è Silvio Berlusconi che si vuole candidare, regalare 60 punti di spread, pari a una perdita di circa 24 miliardi in un anno, alla speculazione rappresenta un danno collaterale".
Ed ecco la lista della spesa dei politici disfattisti. Il posto d'onore nelle citazioni di Signorini spetta a Casini che ha commentato così la speculazione: "I mercati non sono entità astratte, ma investitori in carne ed ossa che non hanno fiducia in un'Italia governata dai populismi". Cioè, evidenzia Signorini, per il montiano leader Udc "la responsabilità è preventivamente di Berlusconi, insomma, o della sinistra, fino a quando i centristi non ci si alleeranno e diventerà, magicamente, affidabile". E dopo Casini, al posto d'onore personaggi di sinistra come l'ex Idv Massimo Donadi, per il quale se lo spread sale la colpa è del Cav: "La ridiscesa in campo di Berlusconi e l'accelerazione sulla crisi hanno messo in fibrillazione i mercati". E all'ex Idv, Signorini affianca il governatore toscano Enrico Rossi: "Crolla la borsa e lo spread vola oltre 350. È tornato Berlusconi". E acuto è il commento del commentatore del Giornale: "Si potrebbe obiettare, con molta più ragione, che i mercati temono semmai il partito che è in testa ai sondaggi, cioè quello al quale è iscritto lo stesso Rossi, il Pd".
Ma la ciliegina nell'articolo di Signorini è l'osservazione sull'atteggiamento del Capo dello Stato, aggiunto lui pure alla lista per quel suo «vedremo cosa faranno i mercati». Sottolinea con tratto grosso Signorini: "Un altro capo dello Stato avrebbe dato ampie rassicurazioni sull'affidabilità del suo Paese".
Controcorrente Signorini cita Luca Ricolfi che "ieri si è fatto tre domande fondamentali". Ricordiamole. Prima domanda: la situazione è davvero peggiore che 13 mesi fa, quando Berlusconi fu costretto a lasciare? Seconda domanda: la situazione sarebbe oggi migliore se al posto di Monti fosse rimasto Berlusconi? Terza domanda: se Monti avesse governato in modo diverso, oggi staremo meglio di come stiamo? Le risposte di Ricolfi motivate nel suo articolo su La Stampa sono rispettivamente: Sì, No, Sì. "Fuori dal coro", le definisce Signorini. Certo se estrapolate dal contesto dell'articolo, ma se lasciate dove si trovano, solo un onesto puntello di una sorta di apologia montiana che Ricolfi chiude così: "Ecco perché io stesso, che del governo Monti ho criticato non poche parole, opere, e soprattutto ommissioni, non posso che rendergli l'onore delle armi. Non so se Monti ha salvato l'Italia, ma sono piuttosto sicuro che - senza di lui - oggi saremmo messi ancora peggio di come siamo". Amen. D'un morto (politicamente inteso), com'è prassi dei coccodrilli redazionali, è sconveniente dir male.
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Un mondo di integralisti
L'International Humanist and Ethical Union (IHEU) ha pubblicato, come si legge su Russia Today, uno studio di 69 pagine dal titolo "Freedom of Thought 2012: A Global Report on Discrimination Against Humanists, Atheists and the Nonreligious", cioè "Libertà di pensiero 2012: un rapporto globale sulla discriminazione contro umanisti, atei e agnostici", che rivela come, dall'Occidente cristiano al Medio Oriente islamico, gli atei siano costretti ad affrontare discriminazioni e persecuzioni, che includono l'esecuzione capitale, il carcere a vita, la revoca della cittadinanza e la negazione dell'accesso all'istruzione e ai servizi sanitari.
Il rapporto esamina le leggi di 60 paesi che riguardano la libertà di coscienza. ed elenca numerosi casi individuali di atei che sono stati perseguitati per le loro idee. Le leggi discriminatorie, citate nello studio, negano agli atei il "diritto di esistere, limita la loro libertà di pensiero e di espressione, revocano il loro diritto alla cittadinanza e restringono il loro diritto di sposarsi"; alcune leggi si spingono anche oltre: "impediscono l'accesso alla pubblica istruzione, vietano loro la possibilità di ricoprire pubblici uffici, impedendo loro di lavorare per lo stato, criminalizzano la loro critica della religione arrivando a giustiziarli per l'aver abbandonato la religione dei genitori".
Il rapporto sostiene che gli atei in paesi islamici, come l'Afghanistan, l'Iran e il Pakistan, affrontano le peggiori discriminazioni, compresa la pena capitale. Lo studio non indica casi recenti di esecuzioni, ma sostiene, come in Afghanistan, che la pena capitale sia stata mutata nel carcere a vita. In altri paesi, come il Bangladesh, l'Egitto e l'Indonesia, la pubblicazione di opinioni atee o umaniste è severamente proibita dalle leggi sulla blasfemia. Nella maggior parte di questi paesi, i cittadini sono tenuti ad iscriversi come seguaci di una religione ufficialmente riconosciuta, solitamente cristianesimo, ebraismo e islam. Senza questa registrazione, i cittadini non sono autorizzati a ricevere assistenza medica, a guidare, frequentare l'università o recarsi all'estero. I non credenti sono così costretti a mentire.
Lo studio sottolinea che i non credenti sono discriminati anche nel Nord America e nei paesi europei. Negli Stati Uniti "gli atei e gli agnostici sono fatti sentire come americani di serie B o non americani", e almeno in sette stati "vigono disposizioni costituzionali che bandiscono gli atei dai pubblici uffici ed uno stato, l'Arkansas, ha una legge che vieta a un ateo di testimoniare in un processo". Altri atti discriminatori raccolti includono casi in cui soldati delle forze armate statunitensi sono stati costretti a partecipare a eventi cristiano evangelici o come il caso di un centro di detenzione del South Carolina che ha negato ai prigionieri qualsiasi materiale di lettura che non fosse la Bibbia cristiana. Nella provincia canadese dell'Ontario, lo stato finanzia l'istruzione religiosa cattolica, ma non dà sostegno finanziario a scuole di altre religioni: "Un terzo delle scuole pubbliche dell'Ontario sono scuole cattoliche", evidenzia lo studio, e queste istituzioni scolastiche possono escludere bambini e personali non cattolici.
Venendo in Europa, in Svizzera, viene riportato il caso di un insegnante che è stato licenziato nel 2010 dopo aver espresso la preoccupazione per la promozione del cattolicesimo nelle scuole pubbliche da parte dello stato. Il rapporto ricorda che l'insegnante "è stato licenziato per la rimozione del crocifisso dalle aule della scuola pubblica in cui insegnava". In Inghilterra, dice lo studio, ogni anno bambini britannici sono allontanati dalle locali scuole statali a causa delle credenze religiose dei loro genitori. In Polonia la musicista polacca Dorota Rabczewska è stata multata di 1.450 dollari per "offesa ai sentimenti religiosi", avendo detto in un'intervista quest'anno che la Bibbia è piena di "storie incredibili".
Anche il nostro paese non si salva. Lo studio ricorda l'appello nel 2010 dell'allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, rivolto a "musulmani, ebrei e cristiani a unirsi per combattere la minaccia che secondo lui l'ateismo rappresenta per la società".
Heiner Bielefedt, il Special Rapporteur delle Nazioni Unite per la libertà di religione e di credo, ha accolto con favore la pubblicazione dello studio e ha espresso la sua preoccupazione per la mancanza di consapevolezza che le protezioni internazionali dei diritti umani si applicano anche agli atei e agli scettici verso la religione così come agli altri gruppi.
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Il rapporto esamina le leggi di 60 paesi che riguardano la libertà di coscienza. ed elenca numerosi casi individuali di atei che sono stati perseguitati per le loro idee. Le leggi discriminatorie, citate nello studio, negano agli atei il "diritto di esistere, limita la loro libertà di pensiero e di espressione, revocano il loro diritto alla cittadinanza e restringono il loro diritto di sposarsi"; alcune leggi si spingono anche oltre: "impediscono l'accesso alla pubblica istruzione, vietano loro la possibilità di ricoprire pubblici uffici, impedendo loro di lavorare per lo stato, criminalizzano la loro critica della religione arrivando a giustiziarli per l'aver abbandonato la religione dei genitori".
Il rapporto sostiene che gli atei in paesi islamici, come l'Afghanistan, l'Iran e il Pakistan, affrontano le peggiori discriminazioni, compresa la pena capitale. Lo studio non indica casi recenti di esecuzioni, ma sostiene, come in Afghanistan, che la pena capitale sia stata mutata nel carcere a vita. In altri paesi, come il Bangladesh, l'Egitto e l'Indonesia, la pubblicazione di opinioni atee o umaniste è severamente proibita dalle leggi sulla blasfemia. Nella maggior parte di questi paesi, i cittadini sono tenuti ad iscriversi come seguaci di una religione ufficialmente riconosciuta, solitamente cristianesimo, ebraismo e islam. Senza questa registrazione, i cittadini non sono autorizzati a ricevere assistenza medica, a guidare, frequentare l'università o recarsi all'estero. I non credenti sono così costretti a mentire.
Lo studio sottolinea che i non credenti sono discriminati anche nel Nord America e nei paesi europei. Negli Stati Uniti "gli atei e gli agnostici sono fatti sentire come americani di serie B o non americani", e almeno in sette stati "vigono disposizioni costituzionali che bandiscono gli atei dai pubblici uffici ed uno stato, l'Arkansas, ha una legge che vieta a un ateo di testimoniare in un processo". Altri atti discriminatori raccolti includono casi in cui soldati delle forze armate statunitensi sono stati costretti a partecipare a eventi cristiano evangelici o come il caso di un centro di detenzione del South Carolina che ha negato ai prigionieri qualsiasi materiale di lettura che non fosse la Bibbia cristiana. Nella provincia canadese dell'Ontario, lo stato finanzia l'istruzione religiosa cattolica, ma non dà sostegno finanziario a scuole di altre religioni: "Un terzo delle scuole pubbliche dell'Ontario sono scuole cattoliche", evidenzia lo studio, e queste istituzioni scolastiche possono escludere bambini e personali non cattolici.
Venendo in Europa, in Svizzera, viene riportato il caso di un insegnante che è stato licenziato nel 2010 dopo aver espresso la preoccupazione per la promozione del cattolicesimo nelle scuole pubbliche da parte dello stato. Il rapporto ricorda che l'insegnante "è stato licenziato per la rimozione del crocifisso dalle aule della scuola pubblica in cui insegnava". In Inghilterra, dice lo studio, ogni anno bambini britannici sono allontanati dalle locali scuole statali a causa delle credenze religiose dei loro genitori. In Polonia la musicista polacca Dorota Rabczewska è stata multata di 1.450 dollari per "offesa ai sentimenti religiosi", avendo detto in un'intervista quest'anno che la Bibbia è piena di "storie incredibili".
Anche il nostro paese non si salva. Lo studio ricorda l'appello nel 2010 dell'allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, rivolto a "musulmani, ebrei e cristiani a unirsi per combattere la minaccia che secondo lui l'ateismo rappresenta per la società".
Heiner Bielefedt, il Special Rapporteur delle Nazioni Unite per la libertà di religione e di credo, ha accolto con favore la pubblicazione dello studio e ha espresso la sua preoccupazione per la mancanza di consapevolezza che le protezioni internazionali dei diritti umani si applicano anche agli atei e agli scettici verso la religione così come agli altri gruppi.
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lunedì 10 dicembre 2012
Il muro del pianto
Scorrendo velocemente la rassegna stampa, oggi, si rileva un unico fare il pianto. Bisogna arrivare al Giornale e a Vittorio Feltri, che definisce "insensato il fiume d'indignazione che inonda i giornali per le dimissioni di Mario Monti propiziate dal Pdl", per sentire parole diverse. Scrive Feltri: "La legislatura ormai era conclusa: settimana più, settimana meno, non cambia nulla. Vorrà dire che le elezioni, anziché il 10 marzo 2013, si svolgeranno in febbraio. Non è una tragedia. Tanto più che le leggi di stabilità e di bilancio passeranno regolarmente. Quindi, dov'è il problema?". Già dove sta il problema?
"Se i mercati faranno le bizze, continua Feltri, sarà solo perché è venuto meno il loro garante, l'uomo del quale si fidano, colui che ha salvato il sistema (che ha nelle banche il proprio braccio armato) a scapito del Paese, dei ceti medi e di quelli bassi, impoveriti dalle tasse più salate del mondo e dalla disoccupazione crescente". Ed aggiunge, tanto per mettere i puntini slle i, "ciò detto, è utile ricordare che la grana dello spread è stata sciolta da Mario Draghi, non dal nostro governo".
Cosa c'è da piangere poi, dice in sostanza Feltri: "I tecnici, transeunti per definizione, si sono limitati a usare il randello fiscale. Pensioni a parte, non hanno sfornato una sola riforma sostanziale: quella del lavoro è un pasticcio, nessuna liberalizzazione, nessun provvedimento in favore dell'agognata (e illusoria) ripresa, zero tagli alla spesa pubblica, nonostante le roboanti promesse di spending review. E allora cos'hanno da temere gli italiani dall'uscita dei professori?". Forse il risultato elettorale, ipotizza Feltri; e conseguentemente elabora la sventura del primo ex comunista a Palazzo Chigi, "se si esclude la breve parentesi di Massimo D'Alema, succeduto a Romano Prodi grazie al famigerato ribaltino sotto l'egida di Oscar Luigi Scalfaro".
Dello scenario delineato da Feltri, riporto un passo: "Vi immaginate il segretario del Pd, tirato per la giacchetta a sinistra da Vendola e da Susanna Camusso, e a destra da Casini e da Fini, costretto a decidere se introdurre o no la patrimoniale? Oppure se effettuare un prelievo forzoso, come fece Giuliano Amato agli inizi degli anni Novanta, sui conti correnti di tutti i cittadini con due o dieci soldi depositati in banca? Con quale faccia Luca Cordero di Montezemolo e i suoi amici darebbero il benestare a rapine del genere? E la gente come reagirebbe? Ve lo figurate Bersani che sburocratizza gli apparati statali, che riordina la sanità e la scuola, che riduce ai minimi termini gli sprechi della casta? Un ex comunista che tradisce lo statalismo dopo averlo ingrassato per lustri non è ancora nato". Certo l'idea di Feltri è chiara: "Il nostro Paese ha bisogno di una robusta terapia liberale. È in grado Bersani di predisporla andando contro le aspettative del proprio elettorato?". Perché: "Un conto è vincere le primarie col trucco, un altro è governare con un occhio al bilancio (e al debito pubblico) e l'altro alla piazza già abbastanza in subbuglio".
Feltri quindi giustifica la ridiscesa in campo di Berlusconi. Interessante un passaggio: "Conviene battersi perché i progressisti sono meno solidi di quanto sembrasse, anzi, sono vulnerabili, vecchi, stremati: per dare la scossa al Pdl è sufficiente la constatazione che Bersani è stato due volte ministro dell'Industria senza combinare nulla. Se ce la fa lui a stare in sella, anche i berluscones possono rimontare a cavallo. In fondo, i voti del centrodestra sono ancora lì a disposizione, in riserva".
Secondo Feltri, "se Berlusconi è pronto ad affrontare la campagna elettorale con lo stesso vigore del 2006, se si impegna a rinnovare il partito, escludendo i pesi morti e gli impresentabili, a stilare un programma concreto (non libri dei sogni), e a dire con quali risorse è realizzabile, ecco, la competizione elettorale è destinata a riservare sorprese". Insomma da qui al giorno delle elezioni, Feltri conforta, non ci sarà da annoiarsi, ne vedremo sicuramente di cose, anche inattese solo qualche settimana fa.
"Se i mercati faranno le bizze, continua Feltri, sarà solo perché è venuto meno il loro garante, l'uomo del quale si fidano, colui che ha salvato il sistema (che ha nelle banche il proprio braccio armato) a scapito del Paese, dei ceti medi e di quelli bassi, impoveriti dalle tasse più salate del mondo e dalla disoccupazione crescente". Ed aggiunge, tanto per mettere i puntini slle i, "ciò detto, è utile ricordare che la grana dello spread è stata sciolta da Mario Draghi, non dal nostro governo".
Cosa c'è da piangere poi, dice in sostanza Feltri: "I tecnici, transeunti per definizione, si sono limitati a usare il randello fiscale. Pensioni a parte, non hanno sfornato una sola riforma sostanziale: quella del lavoro è un pasticcio, nessuna liberalizzazione, nessun provvedimento in favore dell'agognata (e illusoria) ripresa, zero tagli alla spesa pubblica, nonostante le roboanti promesse di spending review. E allora cos'hanno da temere gli italiani dall'uscita dei professori?". Forse il risultato elettorale, ipotizza Feltri; e conseguentemente elabora la sventura del primo ex comunista a Palazzo Chigi, "se si esclude la breve parentesi di Massimo D'Alema, succeduto a Romano Prodi grazie al famigerato ribaltino sotto l'egida di Oscar Luigi Scalfaro".
Dello scenario delineato da Feltri, riporto un passo: "Vi immaginate il segretario del Pd, tirato per la giacchetta a sinistra da Vendola e da Susanna Camusso, e a destra da Casini e da Fini, costretto a decidere se introdurre o no la patrimoniale? Oppure se effettuare un prelievo forzoso, come fece Giuliano Amato agli inizi degli anni Novanta, sui conti correnti di tutti i cittadini con due o dieci soldi depositati in banca? Con quale faccia Luca Cordero di Montezemolo e i suoi amici darebbero il benestare a rapine del genere? E la gente come reagirebbe? Ve lo figurate Bersani che sburocratizza gli apparati statali, che riordina la sanità e la scuola, che riduce ai minimi termini gli sprechi della casta? Un ex comunista che tradisce lo statalismo dopo averlo ingrassato per lustri non è ancora nato". Certo l'idea di Feltri è chiara: "Il nostro Paese ha bisogno di una robusta terapia liberale. È in grado Bersani di predisporla andando contro le aspettative del proprio elettorato?". Perché: "Un conto è vincere le primarie col trucco, un altro è governare con un occhio al bilancio (e al debito pubblico) e l'altro alla piazza già abbastanza in subbuglio".
Feltri quindi giustifica la ridiscesa in campo di Berlusconi. Interessante un passaggio: "Conviene battersi perché i progressisti sono meno solidi di quanto sembrasse, anzi, sono vulnerabili, vecchi, stremati: per dare la scossa al Pdl è sufficiente la constatazione che Bersani è stato due volte ministro dell'Industria senza combinare nulla. Se ce la fa lui a stare in sella, anche i berluscones possono rimontare a cavallo. In fondo, i voti del centrodestra sono ancora lì a disposizione, in riserva".
Secondo Feltri, "se Berlusconi è pronto ad affrontare la campagna elettorale con lo stesso vigore del 2006, se si impegna a rinnovare il partito, escludendo i pesi morti e gli impresentabili, a stilare un programma concreto (non libri dei sogni), e a dire con quali risorse è realizzabile, ecco, la competizione elettorale è destinata a riservare sorprese". Insomma da qui al giorno delle elezioni, Feltri conforta, non ci sarà da annoiarsi, ne vedremo sicuramente di cose, anche inattese solo qualche settimana fa.
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Enrico ossia l'orfano di Monti
In precedenza ho ricordato che La Repubblica oggi intervista Enrico Letta. Una delle parole più ricorrenti nelle sue risposte è "saggezza". Così "le dimissioni di Monti sono un gesto politicamente intelligente e avveduto, una scelta di saggezza"; e ancora: "nei prossimi giorni ci sarà ancora bisogno della saggezza di Napolitano"; infine, sul ruolo futuro per Monti: "Monti ha dimostrato grande saggezza nelle scelte politiche e penso che farà lo stesso in questo frangente".
Spassoso poi è il commento all'osservazione del giornalista che lo intervistava, che Berlusconi è tornato a incidere sulla vita del paese. Dice: "Dobbiamo impostare una campagna elettorale che non sia un referendum pro o contro Berlusconi". Sensatissimo, peccato che subito aggiunga un: "Al contrario dobbiamo spiegare agli italiani e all'estero che senza Berlusconi e il suo partito in maggioranza saremo in grado di fare cose estremamente utili per la competitività del Paese, di rendere l'Italia più attrattiva". Sì, proprio così, avete letto bene. E beccatevi anche il seguito: "Ad esempio, Berlusconi ha impedito al governo di mettere il falso in bilancio, l'autoriciclaggio e l'allungamento della prescrizione nel decreto contro la corruzione. Noi invece lo faremo e questo conterrà molto per gli investitori". Se non è propaganda referendaria questa, poco ci manca.
E poi ci si mette anche la disattenzione del correttore di bozze a fare di Letta un involontario comico, un concorrente di Grillo. Argomento Renzi: "Vorrei aggiungere che le primarie hanno dimostrato il grande ruolo che Renzi ha avuto nel regalare nuovi consensi al Pd: sarebbe un errore se non creassimo le condizioni per farlo uscire dalla città di Firenze, spero che al più presto sia in pista affianco a Bersani nel guidare la nostra colazione verso le elezioni". Il sorriso scappa.
Ma sempre riguardo a Renzi, santi numi: ma fategli fare fino in fondo il sindaco di Firenze! Cos'è questa mania estesa ovunque nel Pd (vedi Guerini a Lodi, altro renziano) di eleggere uno sindaco e poi, già il giorno dopo, prodigarsi per sistemarlo altrove?!
Spassoso poi è il commento all'osservazione del giornalista che lo intervistava, che Berlusconi è tornato a incidere sulla vita del paese. Dice: "Dobbiamo impostare una campagna elettorale che non sia un referendum pro o contro Berlusconi". Sensatissimo, peccato che subito aggiunga un: "Al contrario dobbiamo spiegare agli italiani e all'estero che senza Berlusconi e il suo partito in maggioranza saremo in grado di fare cose estremamente utili per la competitività del Paese, di rendere l'Italia più attrattiva". Sì, proprio così, avete letto bene. E beccatevi anche il seguito: "Ad esempio, Berlusconi ha impedito al governo di mettere il falso in bilancio, l'autoriciclaggio e l'allungamento della prescrizione nel decreto contro la corruzione. Noi invece lo faremo e questo conterrà molto per gli investitori". Se non è propaganda referendaria questa, poco ci manca.
E poi ci si mette anche la disattenzione del correttore di bozze a fare di Letta un involontario comico, un concorrente di Grillo. Argomento Renzi: "Vorrei aggiungere che le primarie hanno dimostrato il grande ruolo che Renzi ha avuto nel regalare nuovi consensi al Pd: sarebbe un errore se non creassimo le condizioni per farlo uscire dalla città di Firenze, spero che al più presto sia in pista affianco a Bersani nel guidare la nostra colazione verso le elezioni". Il sorriso scappa.
Ma sempre riguardo a Renzi, santi numi: ma fategli fare fino in fondo il sindaco di Firenze! Cos'è questa mania estesa ovunque nel Pd (vedi Guerini a Lodi, altro renziano) di eleggere uno sindaco e poi, già il giorno dopo, prodigarsi per sistemarlo altrove?!
Sel in difesa delle primarie
Gennaro Migliore di Sel. oggi è intervistato da Rachele Gonnelli su l'Unità. Dice alcune cose di buon senso. Innanzitutto sull'isteria che sta pervadendo l'integralismo antiberlusconista, da media come La Repubblica e consociati esteri, a personaggi di tendenza (leggi Saviano) e comici nel pieno di una crisi di nervi. Migliore è chiarissimo e netto: "Il centrosinistra è perfettamente in grado di avere una vittoria netta. L'unico modo perché lui [Berlusconi] torni ad avere un ruolo è che si mettano tra parentesi le primarie, si abbandoni il progetto e il coordinamento con cui il centrosinistra si è presentato al suo elettorato". Insomma solo il centrosinistra può perdere le elezioni se si fa prendere dal panico, non solo facendo dell'antiberlusconismo il suo programma elettorale, ma aprendo a soluzioni "contro natura", come per esempio lascia intravedere oggi l'occhialuto "fratello d'Italia" Enrico Letta, intervistato, manco a dirlo, da La Repubblica nel segno di un "Monti e Pierluigi troveranno un'intesa".
Migliore non dà spazio a simili, sterili sciocchezze. L'ipotesi di un'alleanza con Casini? Bocciata senza se e senza ma: "Questa ipotesi non esiste e non parlo solo per noi di Sel ma per tutti e cinque i candidati alle primarie. Aprire la coalizione all'Udc è stato escluso da tutti, anche da Renzi. Chi lo ripropone ora mette un apostrofo nero tra le parole s'accomodi". Per dirla con altre parole sarebbe un tradimento evidente ed inequivocabile del popolo delle primarie. E, dice il giornalista che lo intervista, se fosse Monti a presentarsi come leader centrista? Migliore risponde senza esistazione alcuna: "Auguri. Così sapremo quant'è il suo reale consenso. Finora si è mosso fuori da un contesto democratico. L'azionista di maggioranza è sempre stato il Pdl, il Pd si è fatto carico del sostegno al governo per senso di responsabilità. Ma era il Pdl a poter dire sì o no. Ora la discussione viene posta come un salto nel buio, in realtà si tratta della naturale conclusione di questa esperienza, che per me è stata con più ombre che luci".
Naturalmente e coerentemente Migliore dà spazio ad un allargamento al centro, ma ben preciso: "Bruno Tabacci ha partecipato alle primarie e contribuito alla definizione del progetto Italia Bene Comune e ha tutto il diritto di organizzarsi e aggregare forze. E c'è un'area più vasta che può ambire a avere un profilo elettorale. Ma non l'Udc che vuole proseguire l'agenda Monti ed è su un'altra linea".
Insomma Migliore è fermo: ogni eventuale allargamento (ai delusi del centrodestra, ai tanti astenuti, ai contributi della società civile) deve essere fatto sulla base del programma e soprattutto alla luce del sole.
Migliore non dà spazio a simili, sterili sciocchezze. L'ipotesi di un'alleanza con Casini? Bocciata senza se e senza ma: "Questa ipotesi non esiste e non parlo solo per noi di Sel ma per tutti e cinque i candidati alle primarie. Aprire la coalizione all'Udc è stato escluso da tutti, anche da Renzi. Chi lo ripropone ora mette un apostrofo nero tra le parole s'accomodi". Per dirla con altre parole sarebbe un tradimento evidente ed inequivocabile del popolo delle primarie. E, dice il giornalista che lo intervista, se fosse Monti a presentarsi come leader centrista? Migliore risponde senza esistazione alcuna: "Auguri. Così sapremo quant'è il suo reale consenso. Finora si è mosso fuori da un contesto democratico. L'azionista di maggioranza è sempre stato il Pdl, il Pd si è fatto carico del sostegno al governo per senso di responsabilità. Ma era il Pdl a poter dire sì o no. Ora la discussione viene posta come un salto nel buio, in realtà si tratta della naturale conclusione di questa esperienza, che per me è stata con più ombre che luci".
Naturalmente e coerentemente Migliore dà spazio ad un allargamento al centro, ma ben preciso: "Bruno Tabacci ha partecipato alle primarie e contribuito alla definizione del progetto Italia Bene Comune e ha tutto il diritto di organizzarsi e aggregare forze. E c'è un'area più vasta che può ambire a avere un profilo elettorale. Ma non l'Udc che vuole proseguire l'agenda Monti ed è su un'altra linea".
Insomma Migliore è fermo: ogni eventuale allargamento (ai delusi del centrodestra, ai tanti astenuti, ai contributi della società civile) deve essere fatto sulla base del programma e soprattutto alla luce del sole.
Scarpate
Incidente diplomatico tra Svezia ed Iran, causato dall'ambasciatore svedese Peter Tejler a Teheran lunedì scorso in occasione dell'incontro con il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, nel suo ufficio, dove si era recato per presentare la propria lettera di credenziali. Durante l'incontro l'ambasciatore svedese ha inavvertitamente offeso il presidente iraniano incrociando le sue gambe, la destra sulla sinistra, mettendo così in mostra la suola della scarpa destra, evidentemente ignorando che nell'Islam le scarpe sono considerate impure. Mettere in mostra le proprie scarpe o le loro suole davanti ad un funzionario di alto rango è considerato un grande insulto. Il fattaccio è raccontato da Ynetnews.
La presentazione delle credenziali, che è una routine della diplomazia, era andata avanti secondo la procedura, fino a quando il presidente e l'ambasciatore non si sono seduti, e l'ambasciatore ha deciso di accavallare le gambe. L'atto è sembrato un insulto rivolto al presidente, il quale, come ritorsione, a sua volta ha ostentato all'ambasciatore le proprie gambe accavallate.
L'incidente non è passato sotto silenzio da parte dei media locali. Un sito iraniano ha scritto: "Le azioni dell'ambasciatore sono per nulla diplomatiche e maleducate", aggiungendo che "un tale comportamento esula dalla diplomazia e dalle norme internazionali".
Osserva Dudi Cohen, l'autore dell'articolo su Ynetnews, che il linguaggio del corpo dell'ambasciatore, tuttavia, sembra indicare che la sua postura sulla poltrona è il risultato del suo interesse alla conversazione e del suo desiderio di essere più vicino al presidente. Per contro la reazione di Ahmadinejad, che incrocia le gambe nella direzione opposta, sembra esprimere un sentimento di disinteresse e di disagio, o come suggeriscono gli sfoghi di alcuni media iraniani, addirittura un insulto rivolto faccia a faccia al suo interlocutore.
La presentazione delle credenziali, che è una routine della diplomazia, era andata avanti secondo la procedura, fino a quando il presidente e l'ambasciatore non si sono seduti, e l'ambasciatore ha deciso di accavallare le gambe. L'atto è sembrato un insulto rivolto al presidente, il quale, come ritorsione, a sua volta ha ostentato all'ambasciatore le proprie gambe accavallate.
L'incidente non è passato sotto silenzio da parte dei media locali. Un sito iraniano ha scritto: "Le azioni dell'ambasciatore sono per nulla diplomatiche e maleducate", aggiungendo che "un tale comportamento esula dalla diplomazia e dalle norme internazionali".
La gaffe dell'ambasciatore svedese |
La ritorsione del presidente iraniano |
domenica 9 dicembre 2012
Il tempo dei tecnici è finito, parola di Silvio
Alcune dichiarazioni di Berlusconi ai giornalisti dopo il summit del Pdl che si è tenuto questa sera nella residenza milanese del Cavaliere in via Rovani.
Su Monti: "L'esperienza del governo Monti è finita, i risultati dell'esecutivo sono stati assolutamente negativi su tutte le direzioni. Le dimissioni del premier? Sono state doverose". E ancora: "Alfano era stato molto preciso, ritenevamo fosse dovere del premier fare le dichiarazioni che ha fatto. Ma cambia poco perché abbiamo l'anticipo di un voto di un mese, un mese e mezzo".
Le motivazioni dello strappo: "La strana maggioranza, così come viene chiamata era venuta meno. Noi abbiamo tenuto fede al nostro impegno, ma ora non c'è un indicatore economico che sia positivo. Il Paese si è infilato in una spirale recessiva che dà molte preoccupazioni e bisogna cambiare. Non si può continuare con queste politiche germano-centriche in ossequio all'Europa".
Il giudizio sul governo: "Il tempo dei tecnici è finito, noi durante il nostro governo siamo stati migliori di questo".
Ma un mese sarà sufficiente per battere Bersani? "Penso di sì, sono più giovane politicamente di Bersani, Casini e di altri politici e sono assistito dal migliore giovane che c'è in campo, Angelino Alfano".
E infine porte aperte a Matteo Renzi: "Se volesse venire con noi, sappia che ai liberali tengo sempre la porta aperta".
Su Monti: "L'esperienza del governo Monti è finita, i risultati dell'esecutivo sono stati assolutamente negativi su tutte le direzioni. Le dimissioni del premier? Sono state doverose". E ancora: "Alfano era stato molto preciso, ritenevamo fosse dovere del premier fare le dichiarazioni che ha fatto. Ma cambia poco perché abbiamo l'anticipo di un voto di un mese, un mese e mezzo".
Le motivazioni dello strappo: "La strana maggioranza, così come viene chiamata era venuta meno. Noi abbiamo tenuto fede al nostro impegno, ma ora non c'è un indicatore economico che sia positivo. Il Paese si è infilato in una spirale recessiva che dà molte preoccupazioni e bisogna cambiare. Non si può continuare con queste politiche germano-centriche in ossequio all'Europa".
Il giudizio sul governo: "Il tempo dei tecnici è finito, noi durante il nostro governo siamo stati migliori di questo".
Ma un mese sarà sufficiente per battere Bersani? "Penso di sì, sono più giovane politicamente di Bersani, Casini e di altri politici e sono assistito dal migliore giovane che c'è in campo, Angelino Alfano".
E infine porte aperte a Matteo Renzi: "Se volesse venire con noi, sappia che ai liberali tengo sempre la porta aperta".
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