Durissima Margherita Boniver sul provvedimento dell'Ordine dei giornalisti nei confronti del direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, parole riportate dal Corriere della Sera: "Inaudita e incomprensibile la sentenza dell'Ordine dei giornalisti che ha sospeso Sallusti. Questa presa di didtanza di un collega «reo», in seconda battuta, di omesso controllo di un articolo diffamatorio spiega senza mezze misure il tragico doppiopesismo che da molto tempo vige nell'Ordine. Provo vergogna per quei giornalisti che di fronte alla gravissima detenzione di Sallusti trovano il tempo per prenderne le distanze comportandosi come un tribunale etico".
Anche Daniele Capezzone, temprato dalla militanza radicale, parole anche le sue riportate dal Corriere, è netto: "L'ordine dei giornalisti va semplicemente abolito. Nei Paesi liberali, non esiste nulla di simile. Non esiste alcuna ragione per tenere in piedi questo emblema del più vecchio spirito corporativo, che rappresenta solo una barriera all'accesso alla professione e al libero esercizio dell'attività giornalistica".
Degno di evidenza è anche un passo dell'articolo di Caterina Malavenda in prima pagina, oggi, su Il Sole 24 Ore in cui si evidenzia sia "paradossale" (un eufemismo per non dire a ragione di peggio? un "ad personam", per dirne una, che ci starebbe?) la decisione della dirigenza della corporazione: "L'articolo 39 è una norma la cui opportunità è indiscutibile, avendo la funzione di privare dei suoi effetti l'iscrizione all'albo di tutti i giornalisti sospettati di gravi reati e, perciò, detenuti in attesa di giudizio; ma finisce per assumere profili paradossali, se applicata a chi ha commesso un reato, con l'intenzione di compiere solo un «gesto simbolico», come l'interessato ha subito dichiarato al suo giudice. Un'evasione, dunque, tutt'altro che mirata a sottrarsi alla detenzione che, anzi l'imputato avrebbe voluto ancor più rigida, come dimostra la richiesta, più volte reiterata, di poter scontare la pena in carcere". E con molta onestà intellettuale la giornalista del Sole aggiunge: "Una chiave di lettura non usuale che consente almeno di ipotizzare, fra i vari esiti possibili, anche una sentenza favorevole".
Vittorio Feltri, in prima pagina su Il Giornale, non le manda a dire: "Un accanimento che umilia il diritto", titola il suo pezzo e nell'incipit: "Piove sul bagnato. Quando un uomo cade in disgrazia, c'è sempre qualcuno o qualcosa che gli impedisce di rialzarsi". E venendo subito ai motivi tecnico-giuridici di sospensione dall'Ordine che impediscono a Sallusti da oggi di assumere la responsabilità di una qualsivoglia pubblicazione, non ha peli sulla lingua: "Queste sono le norme, la cui interpretazione è affidata a persone non infallibili e talvolta, forse, in malafede".
Feltri poi, passando alla condanna a 14 mesi di reclusione per un articolo giudicato diffamatorio, scrive: "La diffamazione a mezzo stampa è un reato molto diffuso, commesso spesso da qualunque direttore e da numerosi giornalisti. C'è chi ha una copiosa collezione di condanne. Eppure, nonostante la legge preveda la galera (da uno a sei anni), da quando esiste la Repubblica italiana solo una volta un collega è finito in carcere, nel 1954: Giovannino Guareschi, il creatore di don Camillo che ispirò una serie felice di film. Uno scrittore di destra, guarda caso".
Feltri si chiede il perché Sallusti sì e altri no: "I giudici, riconoscendo l'eccessivo rigore della legge, per oltre mezzo secolo hanno trovato il modo di applicarla dolcemente: una multa e via andare. Se una regola crudele viene aggirata per anni è ovvio che vada cambiata, se non altro per evitare che un magistrato se ne serva per colpire un imputato in particolare, suscitando il sospetto di avercela con lui". Feltri insiste nel chiedere "come mai negli ultimi 58 anni soltanto due giornalisti, entrambi di destra, sono stati privati della libertà per uno straccio di articolo". E alla fin fine una risposta al lettore viene data: "Quando la soluzione [del Parlamento che aveva pensato di mettere una pezza all'enormità] sembrava essere stata trovata, il provvedimento (che avrebbe allineato l'Italia agli altri Paesi europei) invece di essere approvato è stato bocciato per volontà di parecchi senatori ignoranti in materia giornalistica". Col risultato non solo che "Sallusti non è stato salvato" (cosa che forse inconfessabilmente si desiderava), ma anche "tutti i suoi colleghi continuano a essere a rischio: il loro destino dipende dalle toghe chiamate a giudicare le cause di diffamazione in cui sono imputati".
Ma veniamo al fatto di ieri. Scrive Feltri: "Come se non bastasse che Alessandro si trovi da dieci giorni agli arresti domiciliari, i meccanismi della burocrazia corporativa (medievale) si sono avviati e lo hanno stritolato con la tipica indifferenza di ogni organismo avente funzioni disciplinari". E Feltri argomenta il suo disappunto: "Uno ha perso la libertà ingiustamente? Non importa. Occorre anche punirlo con pene «accessorie» (ma gravi). Quali? L'Ordine dei giornalisti, nella sua spietata asetticità, ha osservato alla lettera le proprie pandette, le quali recitano che un iscritto bastonato giudiziariamente debba anche essere disoccupato, quindi senza stipendio. In altre parole: la sospensione dall'albo (per una durata imprecisata) vieta a chi l'ha subita di esercitare la professione in qualsiasi forma. E qui siamo all'assurdità: tutti i cittadini possono scrivere (retribuiti o no) sui giornali, tranne i giornalisti sospesi o radiati dall'Ordine. La Costituzione ridotta a strame".
L'articolo di Feltri non è solo reprimenda, ma contiene proposte precise: "abolizione dell'Ordine professionale, che limita la libertà di manifestare il pensiero e di scrivere a chidesideri farlo senza lacci e lacciuoli; cancellazione immediata dal codice penale della detenzione per i reati di diffamazione e opinione; introduzione dell'obbligo di rettifica secondo un protocollo in cui non si trascurino i tempi e le modalità di pubblicazione; fissazione dei risarcimenti in base a criteri oggettivi". Sono riforme autenticamente liberali necessarie ed urgenti, si può concordare appieno.
Quanto a Sallusti, "la sua vicenda si commenta da sé", Feltri non esprime dubbi: "Siamo di fronte a un accanimento che ripugna la coscienza". E, dunque, l'appello: "Lasciate in pace questo nostro collega, tiratelo fuori dal cul-de-sac in cui l'avete infilato, e fatelo lavorare. Per lui il Giornale è ragione di vita". Vorremmo, vorrei che questo appello fosse accolto nella rete dalle tante organizzazione che della rete fanno uno strumento di pressione, che si schierano per la libertà di espressione del pensiero attraverso qualunque mezzo, le tante a cui non ho mai lesinato una firma; così come è stato fatto per altri casi altrettanto emblematici, senza stare lì a soppesare la propria e altrui appartenenza a questa o quella area politica.
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