sabato 1 dicembre 2012

Ripiombati nell'Ottocento

Non è mai successo, nella storia d'Italia, che il direttore di un giornale venisse arrestato all'interno della sede del proprio giornale, mentre sta lavorando - fianco a fianco di vicedirettori e capiredattori - per decidere quali notizie mettere in pagina, mentre sta lavorando per informare i propri lettori. Ed è così che viene interrotta la riunione di redazione, sotto lo sguardo attonito di tutti i colleghi. Così un brano dell'articolo di Andrea Indini su il Giornale online. E ancora: "È una vergogna che segnerà, per sempre, il nostro Paese". Un tuffo nell'Ottocento con la differenza oggi della spettacolarizzazione della "giustizia": la magistratura varca la soglia della sede del Giornale, gli obiettivi delle telecamere puntati addosso, i flash delle macchine fotografiche che scattano a ripetizione, racconta la cronaca.


Bisogna risalire agli inizi degli anni Cinquanta, ricorda Indini, per assistere a un'altra violenza tale. Nel 1954 Giovannino Guareschi fu condannato per diffamazione su denuncia dell'ex presidente del Consiglio Alcide De Gasperi in seguito alla pubblicazione di due lettere autografe del politico trentino risalenti al 1944. Il 15 aprile Guareschi fu condannato in primo grado a dodici mesi di carcere. Non presentò ricorso in appello poiché ritenne di avere subito un'ingiustizia: "Qui non si tratta di riformare una sentenza, ma un costume. Accetto la condanna come accetterei un pugno in faccia: non mi interessa dimostrare che mi è stato dato ingiustamente". Subito dopo Guareschi fu recluso nel carcere di San Francesco del Prato a Parma. Vi rimase per 409 giorni. Con la stessa violenza oggi viene arrestato Sallusti. Per un articolo che non ha nemmno scritto lui. Per una rettifica che non è mai stata chiesta. Per una sentenza incredibile che è riuscita a trasformare una multa di 5mila euro a una condanna a 14 mesi di carcere. Succede in Italia. Succede nelle peggiori dittature del mondo.

 Al direttore de Il Giornale, la mia personale solidarietà. Sallusti con la sua scelta continua a sottolineare l'esistenza di un problema reale che riguarda migliaia di giornalisti che non hanno la sua notorietà, ha dichiarato Enzo Iacopino, presidente dell'Ordine dei giornalisti, per il quale, come ha scritto su Facebook, "la polizia che entra in una redazione per un arresto è un atto di violenza che non ha precedenti".
Molte altre ovviamente le prese di posizione sulla vicenda che accompagnano la manifestazione di solidarietà a Sallusti. Riporto quella di Enrico Mentana: "Arrivare a una misura coercitiva è davvero insensato. Purtroppo questa è la inevitabile conclusione di una vicenda insensata. È insensato che un giornalista venga arrestato per omesso controllo per diffamazione. I reati a mezzo stampa o cagionano gravissime conseguenze alla persona diffamata o non ha senso parlare di misure di questo tipo. Non si è visto il grave effetto della diffamazione. Il magistrato non mi sembra sia stato costretto ad andarsene...". Mentana poi ha aggiunto: "Sono già gravemente colpiti da una forte multa il giornalista, il direttore del giornale e il giornale. Quindi una misura coercitiva così è insensata, ma per tutte le categorie, anche se parliamo di un macellaio. Non vorrei che questa misura sia un ammonimento alla categoria dei giornalisti dai poteri forti. Giornalisti che devono stare buoni".
Nella graduatoria di Reporter sans Frontier pubblicata nel gennaio di quest'anno, riguardante la libertà di stampa, l'Italia è precipitata dal 50° al 61° posto, molto al di sotto di tutti i principali Stati europei, di un pelo sopra la Repubblica Centroafricana. La caduta si giustifica, dice l'associazione, col fatto che il nostro paese che ha ancora circa una dozzina di giornalisti sotto protezione, raggiunti da minacce recapitate dalle organizzazioni mafiose, con le dimissioni di Silvio Berlusconi ha da poco voltato pagina dopo molti anni di conflitto d’interesse, quando ci si serviva spesso della tagliola delle richieste di risarcimento danni usate a scopo intimidatorio. Ciò nonostante, il basso posizionamento in classifica porta ancora i segni del vecchio governo, soprattutto per il nuovo tentativo di introdurre una “legge bavaglio” e per l’intenzione di filtrare arbitrariamente i contenuti della Rete. Entrambe le proposte, in extremis, sono state abbandonate, viene ricordato. E la squallida vicenda della "legge salva Sallusti" non è stata un esempio di eclatante redenzione della classe politica. Una classifica ampiamente meritata, insomma. E dopo gli accadimenti di oggi forse fin troppo generosa.

Merce scaduta venduta come nuova

Oggi il Circolo della Rifondazione Comunista di Brembio ha distribuito alla cittadinanza il suo Niente di personale, il numero 5 del proprio periodico, come si diceva un tempo, ciclostilato in proprio. In pagina 4, con un articolo intitolato "Matteo Renzi il nulla che avanza", Rifondazione di Brembio interviene sul ballottaggio che si svolgerà domani anche a Brembio. Riporto il testo per intero con le sue sottolineature ed i suoi grassetti.

Tralasciando il non senso delle primarie in cui si vota per un candidato senza sapere quale sia il programma politico, è comunque interessante osservare in questo triste baraccone, un essere mezzo democristiano e mezzo finto-giovane. Stiamo parlando di Matteo Renzi. Ma chi è Renzi? Lui è il classico, odioso, arrivista bravo ragazzo, bacchettone fin da ragazzo, molto amato da Comunione e Liberazione. Con quell'arietta da bamboccio saputello che snocciola continuamente battute per fare il simpatico anche se non lo è, il sindaco Renzi si candida come testimonial ideale del raschio del fondo del barile.
Se, dopo quasi 20 anni di Berlusconi, il "nuovo" prende le sembianze di un politico che dice tutto quello che abbiamo già sentito in 30 anni di egemonia liberista, allora il berlusconismo ha vinto, alla fine della fiera l'importante è ossequiare il Privato e i Mercati. Inoltre le sue parole d'ordine sono di una vuotezza cosmica: Europa, futuro, merito. Mancava solo "felicità" e "benessere" e l'Ovvietà diventava metafisica pura.
Ma se si scava un pochino in profondità rispetto alle frasi fatte da salottino, emerge chiarissima la totale assenza di originalità e novità dei suoi messaggi. Figuriamoci di una qualsiasi tendenza a rompere tabù e luoghi comuni. Al contrario: il Renzi-pensiero è il trionfo del luogo comune. Il generico liberismo del "meno tasse", rattoppare la precarietà con ammortizzatori sociali e formazione, ma soprattutto l'adesione senza dubbi ai "contenuti" della famosa lettera della Bce, un vero programma-base del governo Monti: innalzamento dell'età pensionabile, licenziamenti più facili (ricordiamoci il suo "Sto con Marchionne senza se e senza ma" quando a Mirafiori e Pomigliano gli operai lottavano per i loro diritti).
In dettaglio, poi, il finto giovane presenta un libro dei sogni contradditorio: privatizzazioni massicce di aziende pubbliche, ex municipalizzate e patrimonio statale; amnistia per i politici corrotti se escono di scena; vendita ai privati di Rai1 e Rai2, ma al contempo modello Bbc per un'amministrazione pubblica della Rai (di fatto fra loro incompatibili); licenziamenti liberi e tagli a sanità e scuola pubblica.
Merce scaduta, venduta come la novità del secolo. È manifesta, infatti una razionale continuità, volta a consolidare il potere di comando dei signori della finanza. I mercati guardano avanti. Dopo aver fatto scendere da cavallo il Cavaliere, e dopo aver allocato alla testa del governo Monti, adesso allevano con cura il venditore fiorentino. Dietro Renzi e le sue costose campagne di rottamazione ci sono infatti importanti imprenditori, famiglie storiche fiorentine, banchieri, finanzieri.
In sintesi, siamo di fronte a vecchi rottami ideologici che si spacciano per stupefacenti novità rivoluzionarie.
Matteo Renzi il Nulla Adesso!!


venerdì 30 novembre 2012

Paranoia

Riprendo da un articolo del Corriere della Sera una citazione che non si può lasciar finire nel dimenticatoio senza che sia pagato pegno. Anche perché è relativa a quanto ho detto nel precedente post. L'articolo, di Marco Gasperetti, parla, appunto, della vicenda riguardante l'indagine della Corte dei Conti avviata perché l'amministrazione di Matteo Renzi, violando il patto di Stabilità, avrebbe contribuito a "uno stato di precarietà finanziaria" che ormai "risulta aggravata", una situazione che "costituisce una grave irregolarità contabile". Così sintetizza il quotidiano di Milano la questione.
Ma veniamo alla citazione. Gasperetti riporta in conclusione del pezzo quanto ha detto ieri alla Zanzara su Radio24 il coordinatore della campagna elettorale di Matteo Renzi, Roberto Reggi. Questo: "Non è casuale che la Corte dei Conti esca adesso su Firenze, ci sarà qualche amico di Bersani anche alla Corte dei Conti". Sic! Voglio essere buono e, nello stesso tempo, ingenuo, e dunque, mi limito qui solo ad annotare che ormai non c'è più scampo: i "giovanotti sull'orlo di una crisi di nervi" hanno ceduto, ahinoi, alla paranoia.

Avanti a chi tocca

Sono i dettagli a fare un personaggio. Prendiamo il caso del nubifragio a Firenze di qualche giorno fa, abbattutosi nelle prime ore del pomeriggio sul capoluogo toscano. Una pioggia battente che ha messo in crisi la città; una pioggia violenta, forse inaspettata non nel senso che non era stata annunciata, ma perché è arrivata in anticipo rispetto all'allerta meteo diramata dalla Sala operativa unificata permanente della Protezione civile regionale. L'allerta, infatti, doveva scattare dalle 22 di quella sera fino alle 18 del giorno dopo.
Il tempo, dunque c'era per fare una capatina in tv a Roma. Già, perché dov'era, mentre l'acqua invadeva alcune zone di Firenze, a causa dei tombini in tilt e gli abitanti di Piazza Puccini nei pressi del parco delle Cascine e luoghi vicini, venivano invitati per precauzione dagli operatori della Protezione civile, col megafono, a salire al primo piano per il rischio esondazione del fosso Macinante e del torrente Mugnone; dov'era Renzi, il sindaco? Era quel pomeriggio da Bruno Vespa a registrare la trasmissione Porta a Porta della sera. E quando il Mugnone decideva alla fine di graziare la città, con l'onda di piena passata alle 19.15, stava rientrando in città, e via Twitter comunicava "Alle 20 in Palazzo Vecchio presiedo unità di crisi della città per il maltempo. Abbiamo lanciato l'allerta per il Mugnone". E alle 20.30 sempre su Twitter: "L'allarme Mugnone rientra. Manteniamo l'allerta ma la protezione civile ha lavorato bene".
Mentre Renzi era in giro per l'Italia col suo camper, si ricorderà l'affondo di Grillo: "Trovo immorale che un sindaco rimetta il suo mandato per altri incarichi da lui considerati più importanti. È alto tradimento nei confronti degli elettori usati come un trampolino di lancio. Un caso di arrampicatore politico. La legge dovrebbe proibirlo o, in mancanza di una legge, almeno l'etica personale. Il fantasma di un ex sindaco si aggira in una Firenze strangolata dai debiti: è Matteo Renzi". E Grillo dimostrava nel suo blog con i numeri la validità delle sue affermazioni: "Ecco i dati del Grande Assenteista dal suo insediamento in Palazzo Vecchio fino al 10 ottobre 2012: 2009, su 17 sedute, assente 5; 2010, su 48 sedute, assente 26 volte, presente 22; 2011, su 44 sedute assente 21, presente 23; 2012, su 39 sedute assente 25. Dall'inizio delle primarie, dal 13 settembre 2012, non è mai stato presente in Consiglio".
Grillo ha anche una teoria sull'assenteismo di Renzi: i debiti contratti dal Comune di Firenze "verso i fornitori che hanno eseguito lavori", un passivo di "98 milioni di euro", così suddivisi, ha scritto Grillo: "11 milioni circa sono di spesa corrente che andavano pagati a 90 giorni con ritardi ancora contenuti, 30 milioni sono di spesa in conto capitale (opere pubbliche) con ritardi che risalgono fino a giugno 2011. Per questi debiti sono stati emessi mandati di pagamento senza essere onorati. Per i restanti 56 milioni il Comune ha regolarmente validato le fatture senza saldarle perché mancano i soldi e si sforerebbe (?) il Patto di Stabilità".
Come ha risposto Renzi? Con Twitter, naturalmente: "Per dire che Firenze affoga nei debiti bisogna non capire nulla di nuoto oppure non capire nulla di economia. Beppe Grillo nuota bene". E dalla Sicilia ribadiva a Grillo: "Stia tranquillo, le casse di Firenze godono di ottima salute. Purtroppo a causa del patto di stabilità, che dovremmo chiamare patto di stupidità, non possiamo spendere i soldi che abbiamo in cassa, circa 90 milioni", e poi, a chiusura, l'immancabile battuta "format Magnolia": "Si danno il cambio per attaccarmi".
Notizia di oggi, ma il fatto è accaduto ieri, la Corte dei Conti che continua ad indagare sugli stipendi dei dipendenti comunali di Firenze a partire dal 2011 ha mandato la Guardia di Finanza per acquisire gli atti concerneti "l'entità aggiuntiva degli stipendi conferita oltre a quella fissata dai contratti nazionali" ai 4800 dipendenti comunali, per un ammontare di 50 milioni di euro. Anche la procura qualche mese fa ha aperto un fascicolo. Al momento, si assicura, non risultano indagati né sono state formulate ipotesi di reato riguardo indennità o premi. Oltre a questo nel mirino della Corte dei Conti vi sarebbero, come riporta FirenzeToday, le modalità con cui l'amministrazione comunale ha utilizzato i proventi derivanti da sanzioni amministrative da codice della strada e sulle nuove assunzioni, per le quali "i giudici chiedono modifiche immediate da apportare al bilancio 2012".
A Palazzo Vecchio si smorza dicendo che si tratta di "abituale attività di monitoraggio". Renzi stesso è intervenuto sulla questione oggi a Radio Kiss Kiss: "La Corte dei Conti sezione controllo, non la sezione procura, ha sottolineato delle voci secondo le quali il modo di imputare le multe e concepire il contratto dei dipendenti va rivisto, sono due questioni che risalgono al 2006-07, ma le affrontiamo. Verificheremo come accontentare le considerazioni che vengono dalla Corte dei Conti". Altro contesto, insomma, stesso cliché.

Il sopravvissuto della spending review

Nel 2013, l'unico ad uscire indenne dalla spending review è proprio lui: Giorgio Napolitano. Anzi, per gli ultimi cinque mesi di mandato si è alzato lo stipendio aumentando di 8.835 euro gli 239.192 euro che prende già. "Il bel gesto evidentemente non è arrivato", scrive oggi Franco Bechis su Libero in un articolo che ricorda anche che a sfuggire ai tagli sono pure le toghe: "Csm, ermellini, Tar e Corte dei Conti potranno spendere di più". Bechis, il fattaccio, lo evidenzia subito: "Dopo anni di tagli ai costi della politica, la rabbia popolare e la scure calata anche dal governo di Mario Monti, l'unico a non avere tirato la cinghia nelle istituzioni italiane è Giorgio Napolitano. Certo, nessuno ha osato toccare lo stipendio personale del presidente della Repubblica, aspettando quel bel gesto che non è arrivato".
"Sarebbe stato, ribadisce Bechis più avanti, un gesto nobile, e avrebbe pesato poco sulle finanze personali, visto che lo stipendio per il Capo dello Stato è quasi inutile: non paga praticamente nulla di tasca sua, e inoltre l'attuale inquilino avrebbe convissuto con quei tagli solo cinque mesi". L'istituzione "Presidente della Repubblica" costerà, dunque, di più nel 2013 anno di pesanti tagli, addirittura 5,88% nel triennio, quando "per fare subito un raffronto, il costo della Camera dei deputati scenderà invece nello stesso periodo del 5% e quello del Senato della Repubblica del 6,21%". Ma "dai tagli si sono salvati anche tutti i collaboratori e gli organi istituzionali più cari a Napolitano. Al secondo posto in classifica ci sono infatti le spese complessive del Quirinale: nel 2013 sono fra le poche a non subire tagli, nel triennio aumentano addirittura del 3,52%". Insomma, ancora una volta, come dice Bechis, "proprio il palazzo della politica che costa più al mondo è riuscito anche in questo frangente a dare il peggiore esempio di tutti".
Il Quirinale è un'anomalia europea, il suo bilancio fa scandalo in tutto il mondo: "Per quel palazzo si spende sette volte e mezzo quel che l'Inghilterra concede a Buckingham Palace e alla sua Regina Elisabetta, più del doppio di quel che costa alla Francia l'Eliseo e il suo attuale inquilino, François Hollande. E non è questione di manutenzione di mura e arredi: i bilanci dicono che un dipendente del Quirinale ha un costo di mantenimento doppio rispetto a quello di un suo pari grado all'Eliseo e addirittura il triplo di un dipendente della Regina di Inghilterra".
Una grandeur, quella di Napolitano e dei suoi collaboratori, che, come Bechis appunta alla fine, "l'Italia non può permettersi e che gli italiani non si permettono ormai da lungo tempo".


giovedì 29 novembre 2012

Dietro la maschera

A quanto si vede nei tg e si legge sui siti online, nelle ultime ore Renzi, in maniera prorompente, sta mostrando il vero volto che c'è dietro la sua giocosa maschera da smile. E già, non si fanno visite ad Arcore a caso.


Nella foto "didascalica", per non farci mancare niente, un momento della manifestazione di protesta a Palazzo Vecchio dei dipendenti comunali del 19 novembre scorso. I dipendenti chiedevano l'applicazione della delibera con cui il sindaco di Firenze, secondo quanto hanno detto i circa 200 lavoratori all'esterno del consiglio comunale, "si è impegnato a mantenere i livelli del fondo per il contratto integrativo per il 2012 sui livelli del 2011". Su Repubblica.it trovate anche un video.

Bersani, una persona perbene che fa cose di sinistra

L'Unità, oggi, pubblica una intervista con Nichi Vendola che dichiara di scegliere Bersani: "Fa cose di sinistra". In sintesi ecco i motivi che fanno propendere il leader di Sel per un voto al ballottaggio in favore del segretario del Pd: "Voterò Bersani, e lo farò perché è una persona perbene, uno dei rari leader politici non affetti da cinismo, un amministratore di talento e soprattutto un uomo di sinistra. Un socialista europeo figlio della migliore tradizione del riformismo italiano". E ancora: "Non c'è dubbio che il lessico e la sensibilità di Bersani sono lontani anni luce dal post-modernismo di ispirazione liberista di Renzi". Ma il mio voto, dice Vendola, non basta: "A Pier Luigi voglio dire che il mio voto l'ha conquistato, ma deve fare lo stesso con quello dei miei elettori. E per farlo non basta il mio sostegno".
Ed ecco, quindi, cosa Bersani, secondo Vendola, dovrebbe fare: "Deve andare oltre il profumo [di sinistra], fare scelte forti e in controtendenza rispetto al pensiero dominante". E il leader di Sel spiega: "Faccio un esempio: davanti al premier Monti che evoca la fine del servizio sanitario nazionale servono parole molto più chiare. Così sulla difesa della scuola pubblica e sulle spese militari. Ci sono orecchie attente, soprattutto tra i più giovani. Ora Bersani può e deve accendere una speranza nel Paese".
Al giornalista, che gli chiede se la critica più dura che fa a Renzi è di non aver rotto col modello liberista che è la causa della crisi con la subalternità della politica ai poteri finanziari e la sua distanza dal mondo del lavoro, Vendola risponde: "Da rottamare è questo modello sociale che ci ha privato di una dimensione comunitaria e solidale e rende sempre più anoressico lo Stato sociale. In Renzi non c'è alcun cenno critico verso l'austerity e la cultura liberista, nessuna eco rispetto all'America che chiede il recupero di un approccio keynesiano".
E ancora sul fatto che Renzi dica no ad un'alleanza con Casini: "È solo un giochino. sul mercato del lavoro il sindaco è più a destra dell'Udc, sulla riforma delle pensioni la pensano allo stesso modo. Devo però ammettere che sul piano della tattica è molto bravo a depistare. Ma a me pare che, sui contenuti, il sindaco sia più in sintonia con la Merkel che con Hollande. Un'altra buona ragione per scegliere Bersani".

Il cacio sui maccheroni

Oggi, Maurizio Belpietro, il direttore di Libero, ritorna sulla questione che "è Renzi il leader giusto per il Pdl in tilt. L'occasione per ribadire il concetto è una lettera in cui un lettore gli chiede di chiarire se l'editoriale di ieri "era un tentativo (mal riuscito) di fare dell'umorismo", oppure davvero se fosse "ridotto ad una tale disperazione da non credere che il centrodestra sia in grado di esprimere un leader decente al suo interno". Belpietro rassicura subito il suo interlocutore della sua serietà e sobrietà: "Non sono un umorista né ho intenzione di intraprendere la strada del comico, e allo stesso tempo non sono neppure un pessimista con tendenze paranoiche a vedere tutto nero. Chi mi conosce sa che propendo per un sano realismo. Invece di perdermi in battute o analisi disfattiste preferisco sempre andare al sodo".
Il direttore di Libero dice quindi che non può sfuggire nel concreto che "il centro destra è affetto da una preoccupante mancanza di leadership". C'è ovviamente Berlusconi, ma egli, pur avendo inciso sulla politica italiana modernizzandola, è al termine della sua avventura, per una serie di motivi, non ultimi quelli giudiziari, che hanno eroso negli anni il consenso, tanto che oggi, dice Belpietro, "farebbe fatica a raccogliere i voti per arrivare secondo", e "per vincere ci vorrebbe un miracolo".
Nell'ipotesi che Berlusconi realmente alla fine decida di ritirarsi dietro le quinte, non è certo Alfano, "il delfino prescelto e subito spiaggiato dallo stesso Cavaliere", che può far volare il partito, "un partito allo sbando che rischia di liquefarsi in pochi mesi". Alfano, sì, dice Belpietro, "nel gioco delle primarie probabilmente la spunterebbe senza fatica su tutti gli altri, ma soltanto perché gli altri sono dei concorrenti che raccolgono il voto dei parenti e poco più". Che resta, dunque, "chi è in grado di raccogliere il testimone di un'area moderata che nel Paese è maggioranza e di portarla di nuovo a Palazzo Chigi?
Il problema è drammatico, sottolinea Belpietro: "Se il centrodestra non fa in fretta, altro che leader decente e liberale: se vince la sinistra rischiamo di trovarci la coppia di fatto Bersani-Vendola al governo; se invece Pd e Sel non sfondano, esiste la possibilità che a guidarci da marzo in poi sia ancora Monti. Come dire che l'alternativa è tra finire in padella oppure nella brace". Per il direttore di Libero, il centrodestra si deve "svegliare, trovare un nuovo programma e darsi nuovi obiettivi". Già, ma, dice Belpietro, "una leadership non si costruisce in quattro e quattr'otto, ci vuole tempo, materia prima di cui noi non disponiamo". E allora?
"Certo, aggiunge Belpietro, quella di candidare Renzi o di appoggiare una sua candidatura fuori dal Pd è un'idea provocatoria, ma non del tutto sballata" perché, oltretutto, "tre quarti delle cose che il sindaco di Firenze propone potrebbero, anzi: dovrebbero, essere patrimonio del Pdl". E giù l'elenco, come il fatto, per dirne qualcuna, che "Renzi è per cancellare la riforma Fornero del mercato del lavoro per sostituirla con una più moderna e flessibile", oppure "è contro la patrimoniale e a favore dei tagli della spesa pubblica", o anche "vuole tassare di più le società proprietarie delle slot machine" che si trovano nei bar. Non sono cose di centrodestra, queste? si chiede. Senz'altro, "ha anche qualche idea bislacca" e "ogni tanto parla un po' a sproposito di conti pubblici e dà i numeri come fossero quelli del lotto". Ma a conti fatti, "meglio lui di Bersani e Vendola". E se è "un po' fiacco in economia", nessun problema: "con un ministro delle Finanze bravo e liberale al suo fianco magari potrebbe anche riuscire a non fare disastri". Così, dunque, Belpietro. Ma "ovviamente in attesa di trovare il Renzi di destra. O il nuovo Berlusconi". O ancora, "il Berlusconi di prima ma ritemprato nello spirito e nella grinta". Insomma oggi, Renzi, what else?

Sotto il vestito

Che qualche dichiarazione dei comitati pro Renzi, contenuta nel manifesto programmatico diffuso con lo slogan "Un'altra Italia è già qui: basta farla entrare", fosse contraddetta dalla realtà delle cose, la sensazione c'era, particolarmente per chi vive in realtà locali amministrate da sostenitori di Renzi.
Oggi, sul quotidiano di Lodi Il Cittadino, un lettore che si firma Angelo A., con una lettera, segnala un caso emblematico. Al punto 8, "Investire sugli italiani", del manifesto renziano si legge: "Triplicare gli asili nido pubblici, per garantire un posto al 40% dei bambini sotto i 3 anni, ecc.". Orbene, scrive il lettore del quotidiano lodigiano: "Caro direttore, stavo cercando informazioni sugli asili e non essendo un mago della rete mi sono trovato su un articolo del primo sindacato che lamentava la svendita della giunta Renzi di asili nido a Firenze". Non c'è che dire, la cosa non può non incuriosire: inevitabile pertanto una ricerca in rete.
Come già il sig. Angelo segnala nella sua lettera si trovano molti articoli. Ne riporto uno, del quotidiano La Nazione, pubblicato il 25 giugno di quest'anno, Eccolo di seguito con la fotografia che lo correda (Marco Mori/New Press Photo), che mostra il "pic-nic" di protesta di genitori, educatori e bambini in Piazza della Signoria, per dire no alla privatizzazione degli asili nido.

Firenze, 25 giugno 2012 - Un pic-nic di protesta per dire no alla privatizzazione degli asili nido e alla statalizzazione delle scuole dell'infanzia comunali. Alla manifestazione in piazza della Signoria, organizzata dalla Rsu del Comune, c'erano oltre cento persone: tra loro anche molti bambini, quasi tutti con un palloncino colorato in mano. Insegnanti, sindacalisti e genitori, hanno prima disteso tante tovaglie colorate. Poi con i piccoli, si sono seduti ed hanno mangiato panini e pizzette. Per chiudere, un grande girotondo.
"Il nido è un bene comune", "No ai nidi privati", "Noi diciamo sì alle scuole dell'infanzia comunali". Questi alcuni slogan. È stato anche disteso uno striscione, esposto già in passato: ma la scritta 'Renzi=Tremonti', appositamente corretta cancellando alcune lettere, è diventata 'Renzi=Monti'. ''Privatizzare gli asili nido comunali non è una politica intelligente - hanno detto i manifestanti -, gli asili non sono un patrimonio da svendere''.


Leggendo un commento all'articolo, nickname Alex62, ne salta fuori un'altra vicenda finita nel dimenticatoio, quella riguradante l'acqua pubblica. Dice Alex62: «Questo giovane-vecchio è così "nuovo" che ricicla le solite idee vecchie che rovinano i servizi pubblici. Sono anni che andando verso le privatizzazioni abbiamo aumentato debiti, fallimenti, disservizi e esclusione. Il fatto è che il rottamatore è già un rottame anche e solo perché non ha contenuti. Infatti, apre le solite beghe di partito che lui usa per sgomitare e far parte della casta, non dice mai niente, mai un contenuto vero, e quando l'ha fatto (vedi Marchionne e referendum acqua pubblica) è stato smentito dai fatti (nel caso Fiat) e dagli elettori (nel caso referendum). Prima ci liberiamo di questo ex portaborse, meglio è. Date retta».
Sulla questione dei referendum sull'acqua, Renzi fu sentito dal Fatto Quotidiano, che raccolse queste sue parole e le pubblicò il 7 giugno 2011: "I miei sono tre sì e un no. Vado a votare, ovvio, ma decido io. L'obiettivo non è raggiungere il quorum? Ci sono. Ma siccome quella che si vuole abrogare è una legge del 2006, governo Prodi, e firmata dal ministro Di Pietro, dovevamo riflettere allora. Come dissi anche io che non ero da un'altra parte, ma nel Pd. Oggi quella legge mi comporterebbe andare a chiedere qualcosa come 72 milioni di euro ai fiorentini, e non posso permettermelo”. Ma, ribatte il suo interlocutore, sarebbero i gestori privati a chiederlo, in realtà. “In teoria, poi nella pratica sarebbe come dico io, perché la faccia è la mia. Io ho iniziato un lavoro che non posso mandare all'aria e riguarda una cosa molto seria come la depurazione dell'acqua dove a Firenze come nel resto d'Italia siamo indietro di qualche decina d'anni rispetto all'Occidente. Se il Pd cambia idea a seconda del vento che tira non è un problema mio. Io continuo sulla strada della coerenza”. Coerenza, annotava il Fatto, che per Renzi voleva dire continuare a permettere al gestore del servizio idrico di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a logiche di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio stesso.

mercoledì 28 novembre 2012

La propostona di Belpietro

Oggi sul tavolo di Berlusconi è arrivata, con la prima pagina di Libero, la propostona di Maurizio Belpietro; una proposta non proprio nuova come il direttore spiega: "Qualche mese fa l'avevamo gettata lì come battuta: dato che il Pdl non ha un candidato premier e invece il Pd ne ha due, perché non farsene prestare uno?".
Naturalmente Belpietro non pensava, allora come oggi, a Bersani, troppo indigesto per gli elettori di centrodestra, ma a Matteo Renzi, "un bel democristiano con un'idea di modernizzazione che non sfigurerebbe se fosse abbracciata dal Popolo della libertà". Una proposta, insomma, quella di affidare a Renzi la guida del centrodestra non poi così stonata. "La rottamazione dei dinosauri, dice Belpietro, che ingombrano la scena politica incontrerebbe subito il favore di gran parte dei militanti: liberarsi in un colpo solo di gente che siede in Parlamento da vent'anni è un desiderio che non è di destra o di sinistra, ma piace a tutti". E poi oggi la cosa verrebbe a fagiolo: "il Cavaliere considera il Pdl un peso e molti suoi dirigenti una zavorra e dunque vorrebbe mollare gli ormeggi liberandosi di quel che lo frena..." e il direttore di Libero, elencando crudamente i pro e contro, gli alti rischi d'una evoluzione "normale" che portasse ad un nuovo partito, magari fermo al 7 per cento ed il vecchio orfano del Cavaliere, lì appresso presidiato dagli ex colonnelli di An, butta lì l'idea ardita ("ma a volte le idee ardite sono le migliori"): perché non puntare su Renzi? In fondo, dice Belpietro, lui [Berlusconi] e Renzi sono due rottamatori: entrambi vogliono cambiare, un punto comune che non è poco. E poi, aggiunge, il resto verrà.
Ma perché Renzi dovrebbe starci alla proposta? Il direttore di Libero, quanto a prospettive, ha le idee chiare: "Il sindaco, dopo la probabile sconfitta al ballottaggio, rischia di restare disoccupato. Nonostante il 40 per cento dei consensi, non avrà incarichi nel suo partito e sarà costretto a rimanere a Palazzo Vecchio, assistendo impotente alla sfida politica nazionale". Il Cavaliere invece potrebbe far convergere su di lui i voti del suo nuovo partito e fors'anche di quello vecchio con "un programma di riforme e di modernizzazione del Paese che potrebbe andare bene all'elettorato moderato e a quello di centrosinistra che ha votato il rottamatore". E sottolinea: "Il sindaco piace a molti simpatizzanti del Pdl, i quali alle vecchie facce preferiscono le nuove". E quindi, Cavaliere, perché no?
Attenzione, Belpietro ci tiene a precisare: "Quando la formulammo per la prima volta, cioè all'inizio della campagna per le primarie del centrosinistra, la nostra era una provocazione. Un'idea scherzosa, ma niente più". Non così, dice, oggi. Possiamo credergli.

Morire di minoranza

Scrivo di Rifondazione perché, dopo il Pd, è l'unico partito con una sede a Brembio; entrambe sezioni, Pd e Prc, discendenti dal vecchio Pci che nel 1970 aveva conquistato l'amministrazione comunale, facendo, negli anni, del Comune un vero e proprio feudo rosso nel Lodigiano. Ma non dirò di leggende locali. Ieri il manifesto ha pubblicato un'intervista al suo segretario, Paolo Ferrero, che dà una sua interpretazione delle primarie; interpretazione che per una serie di motivi non è utile lasciar passare in silenzio. Per la sinistra stessa.
Ci sono state le primarie. L'analisi di Ferrero è questa: "Nonostante il gran battage pubblicitario, le primarie hanno raccolto un milione di votanti in meno di quelle del 2005. Un crollo che parla del distacco tra il paese e l'alleanza che sostiene il governo Monti. In questo contesto Vendola non sfonda e il suo risultato conferma il carattere moderato di quell'aggregazione". Benissimo, ma Ferrero fa finta di dimenticare che nel 2005, primarie dell'Unione, Rifondazione partecipava al voto, addirittura aveva un candidato, Bertinotti, che, secondo, riportò 631.592 voti, il 14,69%. Certo i votanti allora furono più di 4 milioni 300 mila, contro gli oltre 3 milioni e 100 mila di oggi, ma anche si dimentica che il risultato di Bertinotti fu inferiore alle aspettative, in flessione rispetto alle precedenti consultazioni elettorali. Sconsigliare da una parte, come si è fatto, gli elettori di sinistra ad andare a votare a queste primarie, considerate una mera resa dei conti all'interno del Pd, e poi, tenuto oltretutto conto che son passati 7 anni, che in politica sono, per così dire, un tempo astronomico, definire una partecipazione comunque notevole un crollo dovuto al fatto che il Pd sia nell'accrocchio che sostiene Monti, è troppo gratuito. Dire poi che Vendola non sfonda è disconoscere che, nella mutata situazione avversa, creata anche dall'assenza della sinistra "radicale", il governatore pugliese ha ottenuto un risultato migliore (percentualmente), di quello di Bertinotti, che allora andava bene: 15,6%. Oggi no: il suo risultato conferma il risultato moderato di quella aggregazione, si dice.
Anche il giornalista gli osserva che il 2005 "era un'altra era politica fa: Rifondazione era unita, non c'era stato il disastro del 2008, né Grillo, né la marea del non voto". Ma Ferrero è irremovibile nella sua visione: "Ciò non toglie che si possa parlare di riduzione della partecipazione. Il dato politico oggi è che la proposta di una sinistra all'interno della coalizione Italia Bene Comune non ha prodotto il ribaltamento sperato. Anzi, l'affermazione di Renzi dice esattamente il contrario".
Rifondazione, insomma, si affanna nella critica perché intende tirarsi fuori da una realtà che vede, piaccia o no, il Pd, o, se si vuole, il centrosinistra, un soggetto politico, pur con tutte le sue limitazioni, progressista e da cui, comunque, non si può prescindere se si intende puntare a guidare il paese con intendimenti di sinistra.
Il quarto polo, un polo tutto a sinistra, un polo "casa in cui tutti si sentano a casa", è oggi mera speranza, ed il passato insegna. Ma anche il presente; in più parti del "movimento" si avanzano perplessità su un'alleanza con i partiti, anche quelli come Rifondazione che non stanno con il Pd. Glielo ricorda il giornalista. "È una discussione in corso" è la risposta di Ferrero. Ma la difficoltà è tutta in quel "riconoscimento reciproco di chi ha fatto opposizione fin qui", che Ferrero pone come una delle due cose che devono "stare assieme" per arrivare al traguardo. Facile a dire, ma difficile da realizzare, come facilmente si constata surfando nei siti della sinistra alternativa e dei vari comitati che hanno in questi anni sviluppato "da sinistra" iniziative anche importanti. Già, e poi c'è sempre la questione dei numeri, se si parla di governare. Un fattore ineludibile per fare del quarto polo qualcosa di diverso da "una discussione di quattro in una stanza". Non bastano i No Tav o un No Monti Day per aggregare un elettorato sufficiente. Il concetto di "avanguardia", per chiudere, ha fatto il suo tempo. È il caso di farsene una ragione.

Simpatia e antipatia

Quel "vaffa" sussurrato domenica sera in Tv nel "salotto" della Berlinguer: "Io non sono la persona più paziente del mondo e mi sono innervosita in quel contesto. In quello studio ero di fatto sotto attacco: a me venivano rivolte le domande più scomode e si dava come per scontato che dovessi interpretare la parte della sconfitta. Va tutto bene, ma se poi non mi fai parlare e mi interrompi cinque volte può succedere che saltino i nervi. Non mi sento di rimproverarmi più di tanto, ma chiedo scusa"; un "vaffa" tirato per i capelli mentre parlava di quel Renzi che l'ha eletta a simbolo della rottamazione necessaria, come annota Marco Palombi sul Fatto Quotidiano; quel "vaffa" mi ha reso simpatica, veramente, molto simpatica, la Rosy Bindi. Ancor di più quando nell'intervista al Fatto dice: "Ho resistito vent'anni a Berlusconi, posso provarci per un'altra settimana con Renzi", il suo sosia giovanilista. "Mi dispiace di essere in cima ai suoi pensieri e vorrei che capisse che la mia vicenda personale non è il più grave dei problemi del paese".
Per contro Renzi ha colto un'altra occasione per dar più corpo, nonostante quel suo bel faccione da smile, ad altrettanta antipatia. Quando, come ha riportato ieri Il Mattino online, dopo aver dichiarato "Sono pronto ad incontrare di nuovo Berlusconi anche domani come sindaco di Firenze", e non è questo lo scandalo, ha dato sfogo alla sua, chiamiamola, ironia, che, inconsapevolmente, tutto dice di lui: "Se Bersani diventerà presidente del consiglio, sono pronto ad incontrarlo come sindaco di Firenze anche alla sua pompa di benzina a Bettola".
Chiudo il post-it riportando un'altra delle dichiarazioni renziane. Questa: "Se volevo andare via, andavo via prima. I sondaggi dicono che un nostro raggruppamento potrebbe avere come minimo il 12% e un margine del 20-25%. Se volevo farmi una pattuglia di parlamentari e diventare come uno di loro mi facevo il partitino. Ma non ci credo, è ora di finirla con quelli che pensano che la politica serve a sistemare se stessi". Già. Ho riportato per intero il pensiero, per correttezza; ma ciò che mi interessava e mi interessa sottolineare è proprio l'ultima proposizione, a partire dalla virgola. Nessun dubbio, ovviamente: Renzi, per sistemarsi, non ha bisogno della politica; ma perché non fare un'inchiestina, se un sogno simile sia o non sia coccolato tra i propri sostenitori, magari tra quelli dell'ultima ora, quelli che, a suo tempo, alle primarie per il segretario, hanno sostenuto "convintamente" Bersani? Così, tanto per non farsi mancare nulla.
Comunque sia, consoliamoci con il sorriso che ci dà questa foto, ripresa dal sito Renzileaks


martedì 27 novembre 2012

Malattie infantili

Luigi Berlinguer, presidente del Collegio dei garanti, ha posto la parola fine sulle pretese di Renzi di modificare le regole delle primarie per il ballottaggio di domenica prossima: "Le regole in corsa non si cambiano".
"Le regole per lo svolgimento delle Primarie del Centrosinistra, ha detto, sono state definite nel regolamento approvato all'unanimità dal Collegio dei Garanti. Una volta iniziata la partita le regole non si possono cambiare tra il primo e il secondo tempo". E ha precisato che quello delle regole "non è un principio derogabile, è l'architrave della certezza del diritto", aggiungendo: «In analogia con le vigenti leggi elettorali il corpo elettorale è stato definito con l'indizione dei comizi ed è costituito da coloro che si sono registrati entro il 25 Novembre. Nei giorni 29 e 30, come da regolamento, coloro che per motivi indipendenti dalla loro volontà non si sono potuti iscrivere, potranno chiedere al Coordinamento Provinciale delle Primarie Italia. BeneComune di essere registrati. Sarà lo stesso Coordinamento a valutare e decidere su queste richieste".
Bersani da parte sua, ha tenuto precisare al Corriere.it: "Ci sono regole approvate in assemblea da tutti. Non si cambiano le regole in corsa perchè primo bisogna avere la certezza della platea e poi a chi ha votato al primo turno non si può dire che abbiamo scherzato. Le primarie sono aperte ma non sono un porto di mare".
Dopo la contestazione delle percentuali, a quanto sembra rientrata, seppure la polemica (e la sfiducia nel proprio partito continui, mi riferisco alla sua dichiarazione: "Sono pronto a pubblicare su internet i verbali dei seggi per le primarie del centro sinistra a mie spese in tre ore") il Renzi-mi-piace-vincere-facile ci ha riprovato con le regole, cercando di far riaprire le iscrizioni al voto, dicendo, a quanto pare, oggi a Canale 5: "La giustificazione non la debbono dare i cittadini che vogliono andare a votare al ballottaggio delle primarie del centrosinistra ma i politici che da 20 anni sono al potere e non hanno combinato nulla". Un tocco di antipolitica, tanto per completare il quadro. Il riferimento ovviamente è alla norma che impedisce di votare al secondo turno a chi non si è iscritto entro domenica scorsa, a meno che non dimostri di non averlo potuto fare per un impedimento.
Sul cambio delle regole in corsa, Renzi mostra di aver imparato moltissimo dal governo tecnico dei vari Monti e Fornero. Non è a caso che oggi Vendola abbia dichiarato, seppure con riferimento ad un piano più ampio e più alto: "Bisogna sottolineare che l'effervescenza del discorso innovativo di Renzi nasconde una sostanza che è in continuità con quelle politiche di austerity e con quella cultura liberista che io credo sia oggetto da rompere". Questo seguiva ad un incipit ben chiaro e netto, parlando a Bari con i giornalisti: "Facciamo che oggi mi occupo di completare un concetto: faccio un endorsement a sfavore di Renzi".
C'è veramente da chiedersi come uno che per il proprio sogno personale dimostra agli occhi di chi guarda, di non saper stare alle regole, possa pretendere un'investitura da chi le regole in generale le ha viste sempre cambiate in corsa a proprio sfavore, i pensionati, gli operai, i lavoratori tutti, la parte produttiva del paese. Proprio un atteggiamento che fa il paio con quello che è diventato già un tormentone: il "noi e loro".

La volpe e l'uva

"Primarie, Bersani fa il pieno nella Bassa. In tutto il Lodigiano il segretario del Pd raccoglie il 47,50 per cento", contro il 38,08 aggiungo. Titola oggi così Il Cittadino in nona pagina, una delle pagine dedicate a Lodi. Questa, dunque, la realtà delle cose, poi si può dire ciò che si vuole. Mi interessa invece qui annotare un aspetto dell'evento, riportato alla fine nell'articolo di Cristina Vercellone.
Dice la cronista che il segretario provinciale di Rifondazione, Andrea Viani, e quello di Lodi, Enrico Bosani, avevano consigliato agli iscritti di disertare le urne, sostanzialmente ritenendo le primarie una battaglia interna per l'egemonia del Pd. Quasi fossero, insomma, una sorta di forzato congresso anticipato. Supponiamo per un momento che così fosse, almeno nelle pie intenzioni dei renziani dell'ultima ora. La volontà di un ribaltone interno, pensabile per guadagnare chance per un inserimento in lista alle prossime politiche. E non una scelta di linea complessiva del centrosinistra per la scadenza elettorale. Perché non porvi rimedio partecipando? Perché limitarsi a cercare accordi dopo, a giochi fatti, per avere quel minimo di visibilità che - esse est percipi - garantisca la continuazione della propria esistenza? Magra consolazione, quella di Viani che annota, come un osservatore esterno ai fatti della sinistra: "I risultati mostrano che la linea Guerini Renzi è stata sconfitta".
Non condivisibile la prospettiva, anche se realistica è l'affermazione di Bosani: "In Italia le cose non cambieranno a prescindere dal candidato. Il premier dovrà seguire la politica imposta a livello europeo: tagliare miliardi di euro allo stato sociale e mantenere i contingenti militari all’estero, spendendo 2 miliardi all’anno". Qundi? Siamo alla favola della volpe e l'uva. Già, perché per contro: "Alle regionali, invece, la possibilità di cambiare ci sarà". Quindi? Parteciperemo. Un verbo non detto, però ovvia conclusione del discorso. Che lascia, dopo tutta l'acqua passata di questi tempi sotto i ponti, molta perplessità.

Province, l'allarme di Belisario

In un post pubblicato ieri, Felice Belisario ricorda l'intervista al Corriere della Sera del ministro Barca, in cui ammetteva che la stragrande maggioranza dei provvedimenti presi dal governo Monti "ormai è in fase discendente", un eufemismo per dire che le tanto esaltate riforme dei tecnici finiranno nel nulla, ingoiate dall'abisso parlamentare della settimana corta. Per dire che tra questi campeggia il decreto di riordino delle Province, che salterà se non approvato in entrambi i rami del parlamento entro Natale.
"Sotto l’albero, scrive Belisario, gli italiani finiranno per trovare i costi della politica belli intatti e infiocchettati, giusto per festeggiare il salasso che arriverà a fine anno: mentre si aumentano le tasse alle fasce sociali più deboli e si tagliano senza remore i fondi per i servizi primari, il rubinetto degli sprechi resta aperto al massimo".
E ancora: "È arrivato il super-commissario Monti e ha presentato [invece di puntare sulla totale abolizione] un decreto di riordino che è un compromesso al ribasso in grado di generare solo confusione, tra accorpamenti e capoluoghi unici, e infiammare ulteriormente il campanilismo. Ciascuno vuole la sua Provincia, il proprio carrozzone pubblico dove sistemare clientele, spartire consulenze e spremere le casse dello Stato. In vista del voto aumenta la necessità di accontentare qualche luogotenete locale e così la forbicetta spuntata del Governo rischia di rimanere nei cassetti della Commissione Affari costituzionali del Senato".
"Le Province sono enti obsoleti, che costano miliardi di euro ogni anno senza fornire un utile servizio ai cittadini", così sempre Belisario, e come dargli torto, anche buttando l'occhio sulla nostra che si autoreclamizza super virtuosa. "Soprattutto di fronte ad una crisi dai risvolti sempre più drammatici e all’aumento della distanza tra le istituzioni e la società civile, la prima cosa da fare è dare il buon esempio tagliando la spesa pubblica improduttiva", afferma l'esponente dell'Italia dei Valori, aggiungendo la ricetta, cioè, "eliminando le migliaia di inutili consigli di amministrazione, intervenendo sulle inefficienze della Pa, avviando un serio piano di dismissione degli immobili pubblici". "Monti non è stato nominato per questo, ricorda Belisario, al contrario ha assecondato le politiche lobbiste e conservatrici dei partiti di maggioranza, difendendo le prebende della casta e i poteri forti".
Da qui, sottolinea l'esponente IdV, la decisione di restare fino all'ultimo all'opposizione e di lavorare "ad un governo di centrosinistra forte, basato su un programma politico alternativo e su un'alleanza chiara, che possa cambiare finalmente il Paese, a cominciare dal vero e insopportabile spread tra i privilegi della casta e i sacrifici dei cittadini".

lunedì 26 novembre 2012

Usato sicuro e auto aziendale

Renzi definisce il ballottaggio di domenica un "derby tra usato sicuro e innovazione". Il format mediatico tagliato per lui lo pone, con il suo giovanilismo ben accentuato, come un possibile "uomo nuovo" della politica che dovrebbe rivoluzionare questo paese di nani, comici e ballerine. Che Renzi lo viva come un derby, un Fiorentina-Juventus per dire, è evidente da molte sue dichiarazioni, prima quella, relativa al "noi e loro", che dice: "È naturale che se vince Bersani, e io sarò il primo ad andare a votare per lui, non è la stessa cosa che se vinciamo noi". Che poi spiega con la metafora dei due allenatori che trasuda personalismo e reputa il partito nient'altro che una squadra da guidare nel campionato elettorale. O l'altra, quella della caccia ai voti, meramente caccia: "Puntiamo a spostare parte dei voti di Bersani. C'è gente che ha votato Bersani pensando che fosse una formalità. Vogliamo andare a prendere i voti di Puppato, Tabacci e Vendola. Con questi dati il margine è assolutamente colmabile". A caccia, chissà con quali sparate.
La sua abilità nel reggere le telecamere stupisce, ma ha una spiegazione: diciannovenne - adesso ne ha trentasette - partecipò come concorrente a La ruota della fortuna, per cinque puntate, portando a casa 48 milioni di lire. Insomma, come andare in bicicletta, una volta che si è imparato, non lo si scorda più. Già segretario provinciale del Partito popolare italiano, coordinatore poi de La Margherita fiorentina e segretario provinciale, presidente della Provincia di Firenze e successivamente sindaco di quella città, che non è certo Brembio, membro della Direzione nazionale del Pd. Un vincente e per nulla inesperto di quella "politica" che dice di combattere. Forse, se il ballottaggio di domenica va inteso come derby, sarebbe il caso di definirlo tra "usato sicuro" e "auto aziendale".

Il sogno infranto di vincere facile

Bersani, nella conferenza stampa, ha rimarcato il difetto di Renzi che avevo annotato nel post precedente: «Lui ha sempre il difettuccio di dire "noi e loro", ma noi siamo noi tutti noi, loro è Berlusconi. Noi siamo una grandissima squadra plurale». Cosa difficile da digerire, certo, per un grimpeur della politica che fa del personalismo la sua carta da giocare mediaticamente. Che si dice il nuovo ma non si schioda dal passato, un passato recentissimo, berlusconiano. Come, pure, rimarca ad un orecchio attento Bersani, dicendo, in linea con i suoi dieci punti, che il futuro «è fatto di partecipazione, il passato da personalismo»; costretto oltretutto dalle circostanze a ricordargli che «non c'è bisogno di fuoco amico, l'avversario è la destra».
E poi la bega sui conteggi, la richiesta renziana di «fare chiarezza sul risultato», che dimostra una sfiducia imbarazzante verso il suo stesso partito. Indipendentemente dal fatto che, come lui stesso dice, domenica prossima si riparte «zero a zero». E tutto perché secondo i calcoli "infallibili" dei suoi sarebbe al 39% e non al 35%. Certo, Renzi ha anche aggiunto che «tre punti in più o in meno non spostano il senso di ciò che é accaduto, ma é giusto - dice - fare chiarezza, ogni voto conta». Già, perché l'effetto televisivo, gli hanno detto, è diverso; così si perde un importante effetto "testa a testa", sui media, dove ciò che conta non è essere ma apparire, anche per quello che non si è.
«Non mettiamo briciole di problemi in questa grande giornata, ci penseranno i garanti», ha detto Bersani, e poi «noi siamo gente per bene». Acqua sul fuoco, certo. Ma Renzi resta il bambino che s'arrabbia se perde e porta via il pallone.

The day after

Il titolo, per così dire, più divertente che ho letto questa mattina sui giornali, è quello d'apertura in prima pagina sul quotidiano lodigiano Il Cittadino: "Renzi battutto anche nel Lodigiano". Caduto, insomma, l'assioma del Lodigiano "renziano". Ma s'intuisce la glossa mancante "nonostante gli sforzi fatti per promuoverne localmente l'immagine", da filo-Guerini ovviamente.
Ieri sera ho ascoltato le dichiarazioni post voto dei candidati e la Rosy Bindi. Non mi è piaciuto quel "noi" e "loro" di Renzi del suo format televisivo. "Abbiamo vinto in tutti i comuni in cui pensavano di vincere loro". Loro chi? Dimostrando così di dare ogni ragione alla presidente democrat che quasi lo ha qualificato un ospite del Pd, per non dire un corpo estraneo. Non a caso Berlusconi oggi si sbilancia spiegando a La Telefonata di Maurizio Belpietro che "col sindaco di Firenze potrebbe sorgere una forza politica con una cultura diversa da quella legata a Pci e Pds". Cioè qualcosa altro. Più che un "rottamatore", parola già di per sé sgradevole e, si accetti la critica, violenta, un "dirottatore", salito sull'autobus del partito. Contando anche, perché no? e Tennessee Williams mi perdoni, sul farsi quel tram chiamato desiderio atteso da più d'un rampante frustrato, "rottamatore" in nuce, che si sente vittima di giochi politici interni della compagine.
L'uscita di ieri di Grillo, stizzita a fronte della larga partecipazione popolare alle primarie del Pd, "una nave di folli", "solo bromuro sociale", ha una interpretazione evidente. La capacità, dimostrata ancora una volta, che la sinistra del Pd ha, di mobilitare la gente, dà fastidio al Kaiser della cosiddetta "antipolitica". Soprattutto interpretando correttamente la notevole mobilitazione, come un sostegno dato a Bersani, sostegno che rappresenta una chiara indicazione che il Pd deve continuare a mantenere la sua vocazione tradizionale di partito dei lavoratori e riferimento dei ceti più deboli, di quanti, ben sottolineato, si riconoscano "in un progetto di società di pace, di libertà, di eguaglianza, di laicità, di giustizia, di progresso e di solidarietà". Al di là dell'effetto reale che le primarie del Pd potranno avere, Grillo si è trovato di fronte ad una verità vera, che la gente sa distinguere tra cabaret e speranza. E alla fine sceglie sempre la speranza. Spiace, ma Grillo, dietro gli slogan ad effetto, un altro che ha un suo format ben costruito, è null'altro che un nichilista. Usa un bisogno reale ed il desiderio della sua soddisfazione non per riportare la politica a servizio, ma per distruggere. Distruggere i partiti. Chissà, alla fine distruggere la democrazia?