martedì 11 dicembre 2012

Tafazzismo italiota

"Buon senso vorrebbe che la classe politica mettesse l'interesse nazionale davanti a tutto. Succede ovunque, in Germania, in Francia e persino in Grecia in tempi recenti. In Italia, e non da oggi, è tutta un'altra storia". comincia così l'analisi di Antonio Signorini sul Giornale, un articolo dal titolo ben significativo: "Quei tifosi dello spread che vogliono l'Italia ko per dare la colpa al Cav", il cui contenuto è così sintetizzato nel sommario: "Da Napolitano, Casini e Bersani messaggi contradditori: fanno di tutto per associare il tonfo della Borsa al ritorno di Berlusconi".
"Capita addirittura di vedere, prosegue Signorini, pezzi di istituzioni, personalità con incarichi di rilievo che non si fanno scrupoli a sfidare la suscettibilità dei mercati rafforzando i pregiudizi che ancora gravano sul Paese". E aggiunge: "Lo stesso premier Mario Monti si è ritagliato un ruolo nel lanciare messaggi contraddittori. Ieri con un'intervista a Repubblica per spiegare le dimissioni, ha detto di essere «preoccupato naturalmente non per me ma per quel che vedo». Dichiarazioni quantomeno irrituali per un premier dimissionario di un paese che era e resta sotto il tiro dei mercati". E più avanti: "Il premier preferisce parlare del G8 di Cannes, quando l'Italia «fu messa alle strette». Potrebbe citare gli studi di Confindustria che riconoscono come, al netto della speculazione, il livello appropriato dello spread dovrebbe attestarsi sui 164 punti, invece preferisce informare i mercati della sua preoccupazione".
E Signorini sottolinea che "il solo annuncio delle dimissioni, che poi concretamente si tradurranno nell'anticipo di un mese della scadenza della legislatura, è bastato a fare schizzare il differenziale tra i Bund tedeschi e i Btp italiani oltre i 360 punti in soli due giorni". Che, Signorini precisa, sono "livelli non distanti da quelli che ci hanno accompagnato per tutto il mandato del governo, prima della svolta imposta dal presidente della Bce Mario Draghi alla politica europea". Nel settembre scorso, si ricorderà, Draghi intervenne con il via libera agli acquisti illimitati di titoli di debito in funzione anti speculazione.
La diagnosi del male che affligge la nostra classe politica, per Signorini, è un "autolesionismo molto mediterraneo". E specifica: "Se c'è un avversario da demolire, e in questo caso è Silvio Berlusconi che si vuole candidare, regalare 60 punti di spread, pari a una perdita di circa 24 miliardi in un anno, alla speculazione rappresenta un danno collaterale".
Ed ecco la lista della spesa dei politici disfattisti. Il posto d'onore nelle citazioni di Signorini spetta a Casini che ha commentato così la speculazione: "I mercati non sono entità astratte, ma investitori in carne ed ossa che non hanno fiducia in un'Italia governata dai populismi". Cioè, evidenzia Signorini, per il montiano leader Udc "la responsabilità è preventivamente di Berlusconi, insomma, o della sinistra, fino a quando i centristi non ci si alleeranno e diventerà, magicamente, affidabile". E dopo Casini, al posto d'onore personaggi di sinistra come l'ex Idv Massimo Donadi, per il quale se lo spread sale la colpa è del Cav: "La ridiscesa in campo di Berlusconi e l'accelerazione sulla crisi hanno messo in fibrillazione i mercati". E all'ex Idv, Signorini affianca il governatore toscano Enrico Rossi: "Crolla la borsa e lo spread vola oltre 350. È tornato Berlusconi". E acuto è il commento del commentatore del Giornale: "Si potrebbe obiettare, con molta più ragione, che i mercati temono semmai il partito che è in testa ai sondaggi, cioè quello al quale è iscritto lo stesso Rossi, il Pd".
Ma la ciliegina nell'articolo di Signorini è l'osservazione sull'atteggiamento del Capo dello Stato, aggiunto lui pure alla lista per quel suo «vedremo cosa faranno i mercati». Sottolinea con tratto grosso Signorini: "Un altro capo dello Stato avrebbe dato ampie rassicurazioni sull'affidabilità del suo Paese".
Controcorrente Signorini cita Luca Ricolfi che "ieri si è fatto tre domande fondamentali". Ricordiamole. Prima domanda: la situazione è davvero peggiore che 13 mesi fa, quando Berlusconi fu costretto a lasciare? Seconda domanda: la situazione sarebbe oggi migliore se al posto di Monti fosse rimasto Berlusconi? Terza domanda: se Monti avesse governato in modo diverso, oggi staremo meglio di come stiamo? Le risposte di Ricolfi motivate nel suo articolo su La Stampa sono rispettivamente: Sì, No, Sì. "Fuori dal coro", le definisce Signorini. Certo se estrapolate dal contesto dell'articolo, ma se lasciate dove si trovano, solo un onesto puntello di una sorta di apologia montiana che Ricolfi chiude così: "Ecco perché io stesso, che del governo Monti ho criticato non poche parole, opere, e soprattutto ommissioni, non posso che rendergli l'onore delle armi. Non so se Monti ha salvato l'Italia, ma sono piuttosto sicuro che - senza di lui - oggi saremmo messi ancora peggio di come siamo". Amen. D'un morto (politicamente inteso), com'è prassi dei coccodrilli redazionali, è sconveniente dir male.

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