lunedì 3 dicembre 2012

Fine corsa

C'è un aspetto di cui i diversi commentatori non tengono conto, cioè proprio del fatto fondamentale, che le primarie erano per la leadership del centro sinistra, per determinare un possibile inquilino di Palazzo Chigi. Non è cosa da poco. Correre per diventare capo del governo apre una finestra mediatica enorme. Non è la stessa cosa, per dire, di correre per la segreteria di un partito, un posto in parlamento, o per il vertice di una amministrazione locale, per quanto importante sia. E, dunque, la corsa di Matteo Renzi si ferma qui. Del resto se si va a leggere l'intervista a Giorgio Gori, l'ideatore della campagna di Renzi, pubblicata oggi dal quotidiano Il Giorno, si comprende bene che Gori parli di marketing e non di politica.
Così nella prima risposta, dove si tirano le somme: "La nostra è stata una grande campagna elettorale. Avevamo contro tutti i pronostici e la quasi totalità della struttura del partito: Bersani poteva contare su 9 mila circoli in tutto il Paese, sull'appoggio della stragrande maggioranza dei parlamentari e dei segretari locali. Nonostante questo, in poche settimane, abbiamo messo in piedi 2500 comitati, mobilitato migliaia di persone, ottenuto un consenso che molti partiti non hanno costruito neppure in molti anni". Certo, qualcosa di paragonabile, alla grande, al battage che ha preceduto la discesa in campo del Cavaliere, qui all'interno di un partito contando sugli scontentati dall'apparato e sui rampanti, giovani e meno giovani, che si riconoscevano nel modello Matteo Renzi, "ragazzo" di successo.
Ecco ancora qualche passaggio: "Matteo ha detto che l'aver insistito sulla sburocratizzazione può aver allontanato chi lavora nella pubblica amministrazione, specie nel Lazio. Però quello è un elemento cardine del nostro progetto, mica si poteva omettere". Col sorriso sulla bocca, se no che business plan era? Che fa il paio con l'insistenza sulla rottamazione: "Sacrosanta. Abbiamo espresso un sentimento largamente diffuso nel Paese". Oppure "Non abbiamo enfatizzato a sufficienza il tema del sostegno al potere d'acquisto delle famiglie meno abbienti. E non abbiamo raccontato con efficacia le molte proposte «di sinistra» [sic!] del nostro programma". L'estraneità al contesto trasuda anche da altre parole, quelle con cui giustifica la criticata cena da Davide Serra: "La cena da Davide Serra con il mondo della finanza, di per sé legittima e utile per proporre a quel mondo le nostre idee, ha offerto il fianco a facili strumentalizzazioni che non ci hanno aiutato con l'elettorato più legato a un'idea tradizionale di sinistra". Cioè, praticamente la stragrande maggioranza, e si è visto, del Partito democratico.
L'ultima affermazione di Gori sull'elettorato, assieme all'altra, riferita al contesto della rottamazione: "Nel solo elettorato di centrosinistra è paradossalmente più presente la tendenza a conservare", fa capire l'errore Matteo Renzi, questo Matteo Renzi: il business plan insomma era ok, sbagliato era il pubblico di riferimento. Il popolo di centrodestra era quello giusto. C'è da scommetterci che ad Arcore quel volpone del Cavaliere glielo avesse anche fatto notare. O forse no? La speranza di una prospettiva possibile di rottura nel Pd, chissà, era più allettante. Ed i giornali del centrodestra nel day after sembrano confermarlo.

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