giovedì 6 dicembre 2012

Non facciamone un mito

«Le primarie sono ormai come Figaro», scrive oggi su Il Fatto Quotidiano Paolo Flores d'Arcais. «Tutti le vogliono», e snocciola: «Chi già le ha (gli elettori del centrosinistra) ne vuole di più. Chi non le ha (la destra "sotto padrone") le invidia. Chi le sta praticando secondo il rito Verdone "famolo strano" (i militanti M5S) mugugna on line perché le vorrebbe molto più corpose e trasparenti (non c'è contraddizione)». Per Flores d'Arcais «sono tutti sintomi incoraggianti di vitalità democratica, rivendicazioni sacrosante di cittadinanza attiva, di politica vera e non degradata a "cosa loro"». E aggiunge: «Sta diventando senso comune che un ricorso sistematico a primarie vere costituisce, almeno oggi, lo strumento principe per ridurre il tasso di partitocrazia e restituire robuste once di sovranità agli elettori». Arrivando quindi a dire: «Se l'attuale Parlamento fosse in sintonia con l'opinione pubblica anche solo in dosi omeopatiche, perciò, sostituirebbe il Porcellum con l'uninominale francese a due turni, che con una modesta modifica (...) consentirebbe di indire le primarie nel corso della tornata elettorale, rendendole vincolanti».
Proviamo a portare allora all'estremo il discorso. Se fossero le primarie, cioè il voto degli elettori di un partito, che solo in minima parte sono iscritti, a determinare i candidati di quel partito in ogni elezione, c'è da chiedersi che senso avrebbe la struttura di un partito, i suoi organismi, i suoi congressi, la stessa vita di sezione: il partito si ridurrebbe alla stregua d'un organizzatore di un concorso di "bellezza". Se ne potrebbe benissimo fare a meno. Basterebbe una legge che, permettendo ad ogni singolo cittadino di partecipare presentando un adeguato numero di firme di sostegno, consentisse l'accesso diretto all'elezione di "On. Universo".
I partiti di plastica, i partiti e partitini personali, i partiti dei comici che non vogliono essere partito, hanno traviato e offuscato la nostra capacità di intendere e di volere politica. Un partito degno di tale nome, come la storia ci insegna, non è solo una macchina elettorale, anche se questo è il motivo fondamentale che determina la sua esistenza. È una fabbrica di idee, incarna un preciso modo di vedere e di ragionare sulla società, sull'economia, sulla qualità della vita di ognuno, sulla nostra quotidianità. È, anche se può sembrare una affermazione imbarazzante in un'epoca di antipolitica, uno strumento di cultura.
Certo, l'eccesso, la partitocrazia è un danno gravissimo, ma si può anche morire di troppa partecipazione, soprattutto quando la politica non è vista come servizio e l'educazione a partecipare in modo consapevole, critico, non è troppo elevata. Ho partecipato alle primarie del Pd perché vedevo un pericolo: non era indifferente se vinceva Bersani o Renzi. Per la sinistra e per tutti i progressisti, anche per quelli che in buona fede vedono nelle idee simil-liberiste un bene. Ho dato un voto a Bersani, contribuendo in maniera insignificante ovviamente, a stabilire per un possibile prossimo governo una linea nel centrosinistra, che appariva e appare più vicina ai ceti più deboli e disagiati, ai lavoratori e pensionati colpiti pesantemente dalla crisi e dalla politica allegra di almeno quarant'anni a questa parte. Ho apprezzato in questo caso il coinvolgimento aperto e trasparente della cittadinanza. Però se saranno fatte le primarie per le regionali non voterò, come non voterò se vi saranno primarie per la scelta dei singoli candidati. Se un partito è un organismo democratico e partecipativo, con un apparato che è servizio e non padrone, non c'è bisogno di esagerare con stucchevoli primarie. Le primarie sono uno strumento di cui è meglio non abusare, se no si rischia una fine simile a quella fatta, per troppo uso, dallo strumento referendario. Se in un partito regna sovrano il rispetto dell'elettore, l'onestà intellettuale di non presentare in lista gli eterni portaborse capaci solo di alzare la mano a comando o di gratificare qualche fidato funzionario, ma validi candidati propositivi e disponibili a mettersi al servizio realmente degli interessi della collettività, alla fin fine va bene anche il porcellum.

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