lunedì 24 dicembre 2012

Il day after della politica italiana

Stiamo vivendo una sorta di day after. Ieri la politica italiana è stata oggetto di una sorta di conflitto termonucleare globale, per usare una metafora forte. Il sobrio Monti nella sua sala delle comunicazioni di Palazzo Chigi, riarredata nel post-Berlusconi con stile da loggia massonica, ha levato la larva della sobrietà - quella dell'umiltà mai avuta - e ha fatto capire che la tirannia comanda in Italia oggi come ai tempi delle antiche città greche. Chi ci sta bene e sottoscrive - gesto divenuto di tendenza con le primarie democrat - la sua roadmap erga omnes, altrimenti è out. Perché non si pensi che dopo questa parentesi d'aria, il periodo elettorale, tutta l'Italia non ritorni in gabbia, a continuare a far da cavia in un colossale esperimento internazionale.
Non potendo riproporre il "golpe" costituzionale del novembre 2011, oggi si sta ricorrendo ad altra via, quella dell'illusione elettorale. Alla base del tutto sta quel fenomeno, che non può essere trascurato né sottovalutato, registrato nel periodo della sospensione democratica italiana, consistente in una dichiarata volontà di astensionismo elettorale sotto varie forme, dal non partecipare al voto, alla scheda bianca, al voto - mi si permetta il paradosso - indicato nei sondaggi come dato all'antipolitica. Un fenomeno che nei fatti dovrebbe testimoniare un'avversione cresciuta nel tempo, ed ingigantita in quest'ultimo anno, verso la democrazia intesa come "partitismo" o governo attraverso la mediazione dei partiti. Il diktat montiano, che ha alle spalle ben altro e più consistente potere che quello popolare, tanto decantanto ma da sempre inesistente, si fonda sulla convinzione che, dopo, non ci sarà una rivolta dei forconi, perché oltretutto nell'attuale panorama politico non c'è un partito "rivoluzionario" e soprattutto "coeso", parola anch'essa di tendenza, sul perseguire gli interessi nazionali e delle classi tartassate, dai pensionati, ai lavoratori, al ceto medio.
Contando sui "residuati bellici" della prima repubblica, sopravvissuti perché allora solo colonnelli, o, nel gergo politico, portaborse, i vari Casini, Fini per dirne due di personaggi già rodati alla causa, il "complotto" montiano punta ad aggregare attorno all'inesistente "centro" le ali più opportuniste del centrodestra e del centrosinistra per rafforzare nella gente la convinzione che quella raffazzonata armata Brancaleone di politici da talk show e panchinati della Confindustria, sia un vero "esercito". Non si pensi che Monti sia così stupido da credere che un Casini o Fini o Montezemolo, se mai ci stesse, sia in grado di vincere le elezioni. La vittoria elettorale non è l'obiettivo.
L'obiettivo è il caos politico: una parità tra Camera e Senato tra forze avverse che porti allo stallo, e, dunque, apra le porte ad un nuovo governo del Presidente - lui, ci sarà ancora come nel novembre 2011 a decidere - sostenuto ancora dai cocci dei partiti che nel frattempo si saranno scornati in una sorta di guerra civile mediatica in ogni sede televisiva possibile, con i giornalisti della carta stampata a far da bazooka e mortai.
Il problema non è Berlusconi, ma il suo elettorato. Berlusconi lo ha ben compreso e la sua campagna d'Africa nei media serve a mantenerlo compatto e a riguadagnare alla causa quanti nel frattempo, nel suo anno sabatico, si fossero allontanati non trovando nelle seconde file di plastica leader capaci di rimpiazzarlo, e soprattutto capaci di far sognare e dare speranze. Un elettorato sostanzialmente anti-montiano, come del resto confermano le prime parole d'ordine lanciate dal Cavaliere. Situazioni grottesche come quella di ieri da Giletti, non tutti i conduttori hanno sempre freschezza mentale alla bisogna - Monti annoti, - non fanno altro che serrare le fila, favorire lo stringersi a coorte del popolo della Libertà, aggiungendo magari parte di tutti quegli utenti televisivi che guardano con occhio critico ciò che il piccolo schermo quotidianamente spaccia.
Altro problema, meno conclamato ma per questo forse il più consistente, è un Partito democratico fino a ieri predestinato ad uscire dalle urne come "il vincitore". Non bastando quinte colonne, come Enrico Letta o Walter Veltroni, il piano adesso è di disaggregare il centro sinistra e di far perdere pezzi allo stesso partito di Bersani. Che quest'ultima possibilità ci sia lo hanno indicato le primarie stesse e l'esaltazione di un politico virtuale, un personaggio costruito per i media, come competitor del segretario eletto dal popolo democratico. Non è a caso che già qualcuno abbia dichiarato la sua montianità perinde ac cadaver. Ieri, come riferito dall'Ansa che ne ha raccolto l'afflato, Pietro Ichino ha fatto questa dichiarazione: "Sono pronto a collaborare per il successo, se mi verrà chiesto" di una lista Monti e anche a guidarla in Lombardia. La lista unitaria in Lombardia per il Senato, ovviamente. A che scopo se non quello di impedire al Pd di vincere in Lombardia, una delle regioni chiave per guadagnare la maggioranza anche al Senato?
Ma si legga attentamente la dichiarazione di Ichino: "Qui in Lombardia, come in tutte le altre regioni c'è fame e sete di una formazione politica che si collochi in modo netto a sostegno della strategia europea dell'Italia avviata in quest'ultimo anno; e si sta formando una lista che è espressione di tutta quella grande parte della società civile che da un lato rifiuta il populismo antieuropeo di Berlusconi, dall'altro vede le contraddizioni del Pd su questo terreno, e invece vuole cogliere la grande occasione della crisi per allineare l'Italia ai migliori standard europei e fare dell'Italia una protagonista della costruzione della nuova Europa". Ichino è già uno che ha sottoscritto l'agenda Monti. Una rottura interna del Pd, già in atto, è niente di più esiziale in prospettiva futura.
Non è un problema invece, ma la cosa non sorprende, l'inesistente quarto polo di Ingroia, o meglio degli arancioni. Anzi per Monti un aiuto ad indebolire da sinistra il centrosinistra; più che arancioni, gialli insomma, usando il gergo sindacale. Come del resto quanto resta del grillismo, anche perché è tutto da dimostrare che riescano ad essere presenti in tutta Italia, dovendo raccogliere le firme, anche se ridotte di numero, ovunque.
Quello uscito dalla giornata di ieri, domenica 23, è, dunque, un quadro realmente da day after, dove ogni precedente certezza è messa in discussione.

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