martedì 1 gennaio 2013

Tutto meno che uno spot elettorale

Nonostante le prese di posizione di molti politici, tra cui gli scettici Di Pietro ed esponenti della Lega (di Grillo dirò più in là) l'impressione di ieri rimane ad una lettura oggi del testo dell'intervento di Giorgio Napolitano: cioè quella di un ultimo discorso che suonava, più di altro, a redenzione di ipotetiche colpe nella svolta "costituzionale" di tredici mesi fa, quando il leader d'un governo legittimo e legittimato dal voto popolare è stato in modi ancora oscuri costretto alle dimissioni e successivamente a sostenere il nuovo premier, l'unto, "inventato a tavolino" poco prima senatore a vita per legittimarlo e poi scelto come l'uomo del destino per guidare i destini della nazione.
Vediamo qualche passo del messaggio. Per prima cosa la realtà sociale: "Parlo innanzitutto di una realtà sociale duramente segnata dalle conseguenze della crisi con cui da quattro anni ci si confronta su scala mondiale, in Europa e in particolar modo in Italia". Ma, attenzione su cosa poi si pone l'accento, dopo: "Da noi la crisi generale, ancora nel 2012, si è tradotta in crisi di aziende medie e grandi, si è tradotta in cancellazione di piccole imprese e di posti di lavoro, in aumento della Cassa Integrazione e della disoccupazione, in ulteriore aggravamento della difficoltà a trovare lavoro per chi l'ha perduto e per i giovani che lo cercano". Quel "ancora nel 2012" cosa significa se non una bocciatura, almeno una netta critica all'operato del premier Monti? Monti, cioè, nei suoi tredici mesi non ha operato come doveva operare; si è preoccupato di altro, di mettere in sicurezza banche e l'alta borghesia finanziaria, colpendo i pensionati, i lavoratori, la classe media, ma non chi in questo paese ha di più e che poteva dare senza compiere un grandissimo sacrificio come invece sono stati costretti a fare altri, senza lobby in soccorso, senza difese neppure politiche, come si è visto.
Ed eloquenti sono le parole di Napolitano: "È una questione sociale, e sono situazioni gravi di persone e di famiglie, che bisogna sentire nel profondo della nostra coscienza e di cui ci si deve fare e mostrare umanamente partecipi. La politica, soprattutto, non può affermare il suo ruolo se le manca questo sentimento, questa capacità di condivisione umana e morale". Monti è capace di avere una coscienza intesa in tal senso? La Fornero aveva qualche lacrima, ma le ha subito esaurite, contribuendo poi a colpire pesantemente la fascia di popolazione meno difesa.
Certo, Napolitano è stato compartecipe di un'azione di governo scriteriata dal punto di vista dell'equità sociale dei sacrifici, lo riconosce: "Scelte di governo dettate dalla necessità di ridurre il nostro massiccio debito pubblico obbligano i cittadini a sacrifici, per una parte di essi certamente pesanti, e inevitabilmente contribuiscono a provocare recessione. Ma nessuno può negare quella necessità : è toccato anche a me ribadirlo molte volte". Ovviamente, seppure col senno di poi, non può disconoscere l'azione del governo: "Guai se non si fosse compiuto lo sforzo che abbiamo in tempi recenti più decisamente affrontato che ha consentito un ritorno di fiducia nell'Italia". Insomma, anche se nel modo sbagliato, siamo usciti da una emergenza. E allora?
Ecco critica e proposta nel contempo: "Decisivo è, nello stesso tempo e più in prospettiva, far ripartire l'economia e l'occupazione non solo nel Centro-Nord ma anche nel Mezzogiorno ; cosa - quest'ultima - di cui poco ci si fa carico e perfino poco si parla nei confronti e negl'impegni per il governo del paese". Ed ancora una bacchettata a Monti, al suo governo, alla sua agenda che contempla un'Italia subalterna all'Europa: "L'Italia non è un paese che possa fare, nel concerto europeo, da passivo esecutore ; è tra i paesi che hanno fondato e costruito l'Europa unita, e ha titoli e responsabilità per essere protagonista di un futuro di integrazione e democrazia federale, che è condizione per contare ancora, tutti insieme, nel mondo che è cambiato e che cambia".
E la prospettiva non può che essere unica, e lo dice così dopo aver ricordato i problemi delle giovani generazioni: "Più in generale, una rinnovata visione dello sviluppo economico non può eludere il problema del crescere delle diseguaglianze sociali. Si riconosce ormai, ben oltre vecchi confini ideologici, che esso è divenuto fattore di crisi e ostacolo alla crescita proprio nelle economie avanzate. Porre in primo piano quel problema diventa sempre più decisivo". Monti, però, e il suo governo hanno ampiamente dimostrato di essere choosy, schizzinosi nell'affrontare il tema prendendo il toro per le corna, essendo "portatori sani" di interessi in tutta evidenza non collettivi; e si potrebbe osare nel dire non conformi alla riduzione dello "spread" sociale. Monti non può essere una soluzione per il dopo elezioni. Da qui forse la fiducia posta dal Presidente nel richiamo al popolo: "Sta per iniziare un anno ancora carico di difficoltà. Non ci nascondiamo la durezza delle prove da affrontare, ma abbiamo forti ragioni di fiducia negli italiani e nell'Italia". E nella loro saggezza dimostrata sempre: "Non si può dimenticare che saranno necessari nel nuovo Parlamento sforzi convergenti, contributi responsabili alla ricerca di intese, come in tutti i paesi democratici quando si tratti di ridefinire regole e assetti istituzionali. Non si è, con mio grave rammarico, saputo o voluto riformare la legge elettorale; per i partiti, per tutte le formazioni politiche, la prova d'appello è ora quella della qualità delle liste. Sono certo che gli elettori ne terranno il massimo conto".
Insomma, dice Napolitano sta a voi creare nelle urne le condizioni per una stagione di riforme. Non solo, ma anche una situazione di governabilità, altrimenti la funzione del Capo dello Stato non potrà essere che quella prevista dalla legge: "Il voto del 24-25 febbraio interverrà a indicare quali posizioni siano maggiormente condivise e debbano guidare il governo che si formerà e otterrà la fiducia delle Camere". Se non vi sarà un'indicazione netta, inevitabile sarà raggiungere un compromesso, come ricorda Napolitano stesso: "D'altronde non c'è nel nostro ordinamento costituzionale l'elezione diretta del primo ministro, del capo del governo". C'è però un'alternativa che bisognerebbe tenere comunque in considerazione: la possibilità di sciogliere di nuovo le camere e di rimandare ancora al popolo il compito di dare una soluzione concreta al problema della governabilità.
Quanto a Monti, Napolitano ha detto: "Il Presidente del Consiglio dimissionario è tenuto - secondo una prassi consolidata - ad assicurare entro limiti ben definiti la gestione degli affari correnti, e ad attuare leggi e deleghe già approvate dal Parlamento, nel solco delle scelte sancite con la fiducia dalle diverse forze politiche che sostenevano il suo governo". Una netta precisazione che suona rivolta al premier stesso, come par di leggere tra le righe soprattutto in virtù di quell'accenno alla maggioranza che sosteneva il suo governo; al premier che, come spesso hanno protestato le opposizioni con in primo piano l'Italia dei Valori, ha mostrato un certo snobismo verso le regole ed il Parlamento, e aggiungerei io, verso gli stessi italiani.

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