giovedì 22 novembre 2012

Riformare la struttura degli enti locali

Come si sa, ieri, quattrocento sindaci si sono ritrovati a Milano, rispondendo alla convocazione dall'Anci, per protestare contro i tagli della legge di stabilità, annunciando, senza pudore alcuno, lo "sciopero" della fascia tricolore. Se la legge di stabilità non cambia, siamo disposti alle dimissioni di massa, l'ultimatum minacciato, perché, come ha affermato il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, presidente dell'associazione: o le cose cambieranno "o il 2013 sarà l'anno del funerale dei Comuni".
Qualcuno, tanto per non farsi mancare nulla - dichiarazioni raccolte dai media televisivi, - ha agitato anche il vecchio spauracchio del Ventennio, il podestà, come alternativa alla loro "democratica" sbandierata incapacità di amministrare in periodo di vacche magre, magrissime. Quando la gente tira la cinghia e non ne può più di balzelli e gabelle, un'esasperazione perpetrata dalle diverse amministrazioni che, per lo più serve per mantenere in vita gli inutili "circenses" usati dalla politica, a Roma come a livello locale, per rastrellare il consenso elettorale.
In realtà, nei piccoli comuni, sotto i cinquemila abitanti,e ancor più sotto i tremila, la figura di un "amministratore di condominio", lo si chiami podestà o, perché no, sindaco, nominato dal governo o estratto a sorte da un albo ad hoc di professionisti abilitati alla funzione, sta diventando quasi una necessità inelusibile. Non nascondiamocelo, quasi ovunque in questa terra lodigiana fatta di piccole entità comunali lo si rileva, senza esagerazioni, continuamente; sottolineo, ovunque. Con alcune eccezioni, naturalmente; del resto, come sempre è l'eccezione, se c'è, che fa la regola. Si dice così, no?
Non ampliamo il discorso, ma naturalmente questa sorta di rinuncia alla "democrazia" locale dovrebbe avere una sua contropartita come l'abolizione di tributi comunali con la sola possibilità impositiva di tasse di scopo, regolate magari in maniera referendaria sull'effettiva urgenza dello scopo. Se vogliono indebitarsi i cittadini, sarebbero così loro a deciderlo e non un faraone costruttore di piramidi e dispensatore di "circenses".
Alternativa a quello che chiamo "amministratore di condominio", sarebbe, come è stato fatto per le province, raggruppare i piccoli comuni di pianura in entità di almeno quindici ventimila abitanti, coartamente con una decisione governativa, altrimenti dai campanilismi non se ne esce. Il governo inconcludente dei tecnici, che ha fallito nel suo compito di fare il "lavoro sporco" che i partiti non se la sentivano e sentono di fare perché la loro esistenza è fondata sul consenso, ha scelto anche nella riorganizzazione dell'amministrazione locale di partire per la via più facile intervenendo parzialmente sull'ente intermedio, la provincia, invece di cominciare dal basso, il comune, o dall'alto, la regione. La riorganizzazione degli enti locali corre così il rischio dell'inconcludenza, che porta al fallimento ed al peggioramento della situazione, come si è già ampiamente verificato in altro campo per le diverse riforme scolastiche che nel tempo si sono succedute. E segnali premonitori del possibile default sono già stati levati.
Il problema è che l'ambito locale spesso è visto come o un refugium peccatorum, un luogo dove collocare politici trombati, o per contro dai rampanti come un predellino su cui saltare nella speranza, poiché, come si diceva un tempo, tutte le strade portano a Roma, di ritrovarsi per qualche grazia divina sul torpedone giusto. La volontà di amministrare al meglio e la capacità di farlo sono, come diceva Aristotele, accidenti, non peculiarità, molto spesso, di chi si candida ad occupare le sedie del potere locale. Purtroppo. E a pagarne le conseguenze sono incolpevoli cittadini.

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