Ieri, Amnesty International Italia è di nuovo intervenuta sugli episodi di uso eccessivo della forza verificatisi nelle manifestazioni del 14 novembre scorso. "Chiediamo da molti anni alle autorità italiane e alle forze di polizia di prevedere misure di identificazione per gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico, assicurando che l'identità personale degli stessi sia tracciabile, ad esempio attraverso l'uso di codici alfanumerici sulle uniformi", ha dichiarato Carlotta Sami, aggiungendo: "Questa richiesta è centrale tra quelle della nostra campagna Operazione trasparenza: diritti umani e polizia in Italia, che ha già raccolto oltre 20.000 firme che consegneremo presto alle istituzioni". Come ricorda Amnesty, indicazioni precise sull'identificazione degli agenti durante le operazioni di polizia sono contenute negli standard del Consiglio d'Europa, quali il Codice europeo sull’etica di polizia. Standard che mirano a garantire che sia agevole, per la stessa polizia, tracciare eventuali comportamenti scorretti e che sia al contempo possibile, per chi ne viene colpito, denunciarli.
Secondo la Sami: "L'identificazione dei responsabili di violazioni dei diritti umani e una complessiva trasparenza dell'operato delle forze di polizia sono essenziali per il buon nome della polizia stessa, un organismo chiave per la protezione dei diritti umani. Sono anche importanti per la tutela di tutti gli agenti che durante tali operazioni gestiscono l'ordine pubblico con professionalita’ e rispetto delle persone, i quali sarebbero in tal modo maggiormente al riparo da possibili accuse infondate". Se non viene garantita la possibilità d’identificare il singolo o singola agente di polizia, la responsabilità personale per gli atti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni appare all’opinione pubblica come una nozione vuota. A ricordarlo sono gli stessi standard del Codice europeo sull'etica della polizia.
La cosa non è di poco conto, sottolinea la Sami: "Anche questa lacuna del sistema, come la mancanza del reato di tortura nel codice penale, ha in Italia effetti molto pratici e negativi: favorisce l'impunità in tutti i casi in cui, anche a causa del volto coperto dal casco, non sia possibile riconoscere l'agente neanche da parte di chi è stato colpito a distanza ravvicinata. L’impossibilità di identificare i responsabili ostacola l'azione penale e il complessivo accertamento degli abusi, come accaduto in relazione alle violazioni dei diritti umani commesse a Genova durante il G8 del 2001 in operazioni di piazza, rimaste per la maggior parte impunite".
Non si comprende perché non si voglia percorrere la strada indicata da Amnesty. Del resto, come ricorda Carlotta Sami, "gli stessi standard internazionali citati si pongono la questione della sicurezza del personale di polizia e sottolineano che 'identificazione dell'agente non implica necessariamente che il suo nome sia rivelato. Proprio sulla base di queste considerazioni si propone l'adozione di un codice alfanumerico, istanza rispetto alla quale appare esservi una resistenza che sarebbe a nostro avviso interesse di tutti superare". Una incomprensibile resistenza in democrazia.
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